Esiste una profonda capacità sinestesica che caratterizza la pittura. Pur fondandosi sulla rappresentazione visiva, l’arte pittorica non sollecita soltanto la percezione ottica, ma è anche capace di intervenire su altri canali sensoriali, movimentando diverse dimensioni dell’esperienza percettiva. In questo modo l’arte figurativa opera con linee, forme, colori e figure per appagare non solo il nostro sguardo. Costruisce quindi delle configurazioni che si rivolgono tanto alla vista, quanto all’udito e al tatto.
La percezione materica del colore
Così, il rosso che Raffaello utilizza per realizzare la veste di velluto che ricopre la mozzetta di Leone X nel celebre ritratto, non viene colto dal nostro sguardo solamente come un rosso, ma anche come un rosso velluto. In quel colore, e soprattutto nel modo con cui l’Urbinate lo stende, la nostra percezione visiva coglie non soltanto i dati meramente ottici o cromatici dell’oggetto, ma persino il materiale con cui è realizzato.
Allo stesso modo il verde con cui Cézanne dipinge il vaso presente in una sua natura morta, viene descritto da Maurice Merleau-Ponty nei termini di un “verde ceramica”. Anche qui, la stesura e la scelta stessa del colore utilizzato suggeriscono alla percezione dello spettatore tanto il colore dell’oggetto, quanto il suo materiale. Alla vista si aggiunge il tatto, l’esperienza ottica diventa anche esperienza quasi-tattile.
Che dire poi della pittura di van Gogh? La stesura plastica del colore, come se fosse “spremuto direttamente dal tubetto”, è uno dei tratti distintivi della sua pittura, soprattutto delle opere più tormentate. Una plasticità del colore che nel Campo di grano con volo di corvi (1890) raggiunge la sua forma compiuta e si configura come l’aspetto che più di tutti in quest’opera evoca potentemente la disperazione di Vincent. Qui, il vento che spazza le fronde del granturco e al contempo gremisce i corvi è restituito dal pittore con pennellate decise e plastiche, nelle quali si proiettata tutta la turbolenza dell’animo tormentato di van Gogh.
La sinestesia della pittura tra colore e suono
Ma il tatto non è l’unico senso sollecitato dalla sinestesia della pittura. Anche l’udito, infatti, vuole la sua parte.
In questo senso, l’Urlo di Munch si presta come l’esempio perfetto per comprendere la capacità della pittura di sollecitare diverse aree sensoriali. Il grido del soggetto in primo piano, che deforma e allunga il volto, si estende anche all’ambiente circostante e viene proiettato sulle forme, volumi e colori che amplificano il lamento. Viene così prodotta nello spettatore la sensazione di sentire il lamento negli elementi formali e cromatici che vengono deformati, come materia plastica, dal grido disperato di Munch.
E forse è proprio Munch che apre la strada, a cavallo tra ‘800 e ‘900, ad una fertile riflessione pittorica attorno alla proprietà sinestesica dell’arte figurativa, che avrebbe impegnato alcuni dei maggiori artisti e teorici dell’arte di primo Novecento. In questa riflessione, Vasilij Kandinskij primeggia su tutti. Il pittore, infatti, fonda la sua ricerca artistica e teorica proprio sull’esplorazione della sinestesia tra suono e colore.
La sinestesia nella pittura di Kandinskij
In Dello spirituale nell’arte, tra gli scritti teorici più importanti del ‘900, Kandinskij teorizza questo legame, insistendo in particolare sull’idea secondo cui la pittura avrebbe dovuto avvicinarsi sempre più alla musica. Come scrive il pittore russo, “i musicisti possono fare arte senza bisogno di raccontare qualcosa di realistico”.
Ed è proprio su questo legame tra musica e pittura che Kandinskij avrebbe inaugurato l’arte astratta, nella quale le composizioni si costituiscono in linee, forme e colori che, al pari delle note nelle composizioni musicali, si alternano in successioni in cui le tonalità formali e cromatiche suggeriscono tonalità emotive.
Di certo una simile posizione non sarebbe stata condivisa appieno da Leonardo che, in antitesi a Kandinskij, ma con circa quattro secoli di anticipo, affermò:
la musica non è da essere chiamata altro che sorella della pittura, […] ma la pittura eccelle e signoreggia la musica perché essa non muore immediate dopo la sua creazione, come fa la sventurata musica, anzi, resta in essere, e ti si dimostra in vita quel che in fatto è una sola superficie. (Trattato della pittura; §-25)
Alla capacità della musica di scuotere lo spirito, pur astraendosi da qualsiasi riferimento con la realtà (come scrive Kandinskij), Leonardo avrebbe opposto la fugacità intrinseca della performance musicale, di contro invece alla persistenza della rappresentazione pittorica.
La pittura del silenzio
Così come la pittura è capace di evocare suoni, al contempo è anche abile nel suggerire l’assenza di suono: il silenzio. La staticità, l’immobilità, l’alienazione, sono tematiche che spesso ricorrono nelle opere d’arte, soprattutto del ‘900. Prima ancora di essere tematizzato in questioni esistenziali però, il silenzio viene suggerito in pittura anche da dipinti che in se stessi non sono stati intenzionalmente realizzati per suggerire il silenzio e ciononostante sono dotati di una tale fissità, quasi scultorea, da far sprofondare la scena nella più assoluta assenza di suono.
Se si considera, ad esempio, la Pala di Brera di Piero della Francesca, l’estrema razionalizzazione e geometrizzazione che caratterizzano la composizione e l’ambiente architettonico, unite all’assenza di espressività dei personaggi illustrati, determinano un profondo senso di silenzio che domina questa scena. Completamente priva di pathos ed eros a tal punto che la si potrebbe definire quasi astratta. Non nel senso però di una astrazione dal reale, bensì per via dell’assoluta assenza di qualsiasi riferimento emotivo.
Anche nella pittura di Giorgio de Chirico il silenzio domina incontrastato. Con le sue piazze vuote, ritratte al calar del sole e nelle quali si uniscono elementi della modernità e dell’antichità, de Chirico si presenta come l’erede novecentesco di Piero della Francesca (di cui il pittore ferrarese fu attento studioso). In de Chirico, però, il silenzio si unisce a questioni esistenziali quali l’alienazione dell’uomo moderno, suggerita dalla rappresentazione di manichini e statue antiche che prendono il posto delle figure umane. Il pittore li inserisce poi in contesti caratterizzati dalla presenza di elementi della modernità, come ciminiere e sezioni di fabbriche, che si innalzano su cieli crepuscolari, quasi a voler illustrare il crepuscolo dell’uomo moderno.
Parlando di alienazione e solitudine, se ci spostiamo negli States un altro pittore del silenzio è stato sicuramente Edward Hopper. Nei suoi dipinti il silenzio si connette alla solitudine dei personaggi che appaiono soli e silenziosi in contesti di vita quotidiana. Tra di loro si erge un muro di incomunicabilità e immobilismo esistenziale che determina un forte senso di alienazione, trattata però sempre con grande poesia dal pittore statunitense, come emerge nell’opera Morning sun del 1952.
Un commento su “Il legame tra sinestesia e arte pittorica”