Mescal, che cos’è e come si produce
Il mescal, o forse meglio pronunciare “mezcal” alla spagnola, è un distillato messicano prodotto e diffuso principalmente nello stato di Oaxaca. In modo particolare nei distretti di Sola de Vega, Miahuatlán, Yautepec, Santiago Matatlán, Ocotlán, Ejutla e Zimatlán. Popolarmente concepito come un “surrogato” della tequila, il mescal è in realtà una bevanda dalla produzione unica e distinta. Contraddistinta da origini antiche e mistiche.
Il percorso produttivo prende avvio dalla pianta di agave, particolarmente diffusa nello stato di Oaxaca, da cui si estrapola però solo la parte centrale, ovvero il cuore, detto anche piña. Quando la pianta raggiunge dai sei agli otto anni di vita inizia la fase di raccolta e taglio delle foglie (solo il centro). A cui segue la cottura in speciali forni interrati.
Dopo questa prima fase avviene la triturazione, che varia (in media) dai 14 ai 30 giorni. Una volta ottenuto il macero il (quasi) mescal si distilla in piccoli alambicchi discontinui. Infine, il composto viene lasciato riposare in grandi botti di legno per un periodo che varia dai due mesi ai sette anni. In tutto questo tempo il mescal può acquisire diverse gradazioni di colore, dal dorato al marrone scuro, indice di “invecchiamento” più o meno maturo.
Più si mantiene “a riposo”, più anche la denominazione cambia. Quando si sente parlare di “añejo“, significa che il mescal è rimasto in botti, con una capienza massima di 200 litri, per almeno un anno. Per “reposado” si intende un distillato tenuto a riposo dai due mesi all’anno. Mentre con “blanco“, ovvero chiaro, il periodo di conservazione è di meno di due mesi. In quest’ultima tipologia la tecnica di aromatizzazione viene affidata a una “larva d’insetto”, fatta depositare all’interno della bottiglia.
Mescal, l’immaginario comune
Nell’immaginario comune il mescal viene considerato come il “cugino lievemente affumicato della tequila”. Quasi come se fosse un distillato di bassa qualità. In realtà la sua origina quasi “mistica”, come detto in principio, lo rende un ingrediente culturale fondamentale per la storia messicana. Già dalla particolare eredità etimologica.
Prodotto fin dai tempi degli Atzechi, il termine mescal prende origine dal nome della divinità Mayatl, che nel Pantheon messicano era una vera e propria “agave”. Ovvero una donna che nutriva il suo popolo da 40 mila seni, dai quali sgorgava ovviamente mescal. Fatto curioso è che nell’antichità era usanza pensare che “se qualcuno si fosse ubriacato con il succo del cuore, sarebbe stato in grado di ospitare in sé lo spirito della dea”. A oggi, che venga considerato come “cibo divino” o “cibo degli dèi regalato al proprio popolo”, mantiene ancora un certo fascino. In Messico il mescal è segno di orgoglio e identità nazionale.
Mescal, l’impensabile successo
Il tutto inizia a partire dalla fine degli anni Novanta. Più precisamente nel 1994, quando il governo messicano promuove la denominazione di origine per il mescal. Un primo passo che segna una svolta per la “maledetta bevanda”, punita con la scomunica in alcune zone e condannata alla clandestinità in altre. Da quel la storia “è tutta in salita”. Nel giro di dieci anni il mescal diventa “la materia prima su cui puntare”. Nelle terre povere del Sud, tra feste popolari e saghe, si iniziano ad organizzare degustazioni e “piani di investimento”. La rivoluzione economica, seppur lenta e “silenziosa”, è ormai alle porte.
In poco tempo Matatlán, paese che conta meno di cinquemila abitanti, situato nello stato meridionale di Oaxaca, diviene la capitale del distillato, riconosciuta anche a livello internazionale. Qui gli amanti del mescal si riuniscono nelle decine di distillerie che offrono il loro prodotto in tutte le tipologie: dal mescal grande al piccolo, dal cristallino e invecchiato, dal vecchio al nuovo. Un commercio che a oggi genera ogni anno un giro di affari da 74 milioni di litri di alcol, dislocato in 68 paesi del mondo. A rimanere aperto è il dibattito tra dimensione locale e globale, sfruttamento e benessere, produzione industriale e artigianale, tra un prima lontano e un futuro incerto. Ciò che è certo però il successo del presente. Un bel “sogno”, sudato e ambito, da cui “il mescal non vuole svegliarsi”.
La risposta forse c’è e si trova, ancora una volta, nella tradizione. In particolare – come riporta Internazionale citando un articolo pubblicato su El Pais – in un proverbio diventato popolare in Messico: “Per ogni male, mescal; per ogni bene, anche; e se non c’è rimedio, un litro e mezzo”.