… ma lo spazio di una esistenza che apre davanti a sé l’orizzonte della sua propria possibilità. Da quel “there”, da quel lì dov’è Clarissa crea le coordinate spazio-temporali in cui l’esistenza possa darsi. Da lei clara, clarissima viene la luce che dà il tempo. Ed è un tempo largo, materno, tempo dell’accoglienza e del dono. E annienta ogni no.
Introduzione di Nadia Fusini a La signora Dalloway
Il tempo è una dimensione imprescindibile in Mrs Dalloway (1925) di Virginia Woolf. Ormai quasi appartiene alla coscienza collettiva il fatto che il romanzo si articoli in una sola giornata, come l’Ulysses di Joyce, letto in quegli anni dall’autrice che gli riserva alcune critiche pungenti: “Io dissi che era virile, un caprone; ma non mi aspettavo che Tom fosse d’accordo” (28 settembre 1922). Inoltre l’Ulysses si svolge a Dublino, così come Mrs Dalloway a Londra. Mrs Dalloway intreccia coordinate spazio-temporali in cui si realizza la storia. Così lo spazio risulta indispensabile per concretizzare il tempo e viceversa.
E poi l’onnipresenza dei rintocchi del Big Ben che scandiscono le Ore, titolo originario dell’opera. Gli esempi sarebbero molteplici: quando Clarissa Dalloway esce di casa, quando il marito Richard le regala delle rose senza riuscire a manifestare i sentimenti di cui dovrebbero essere simbolo. Eppure non c’è solo il Big Ben. Quando Septimus Warren Smith e sua moglie Rezia finiscono la visita con lo psichiatra Sir William: “A pezzi, a fette, dividendo e suddividendo, gli orologi di Harley Street si mangiavano quella giornata di giugno, invitando alla sottomissione”
I piani temporali si fondono, snodandosi tutt’altro che lineari, come del resto ci ha insegnato il Novecento: l’istante si dilata in flussi di coscienza; spesso si ritorna fusione dialettica tra passato e presente.
Il tempo conduce dalla vita alla morte
Accanto alla vita e alla morte, che pervadono il romanzo, trova spazio il tempo. Infatti è ciò che aggredisce, sbriciola la vita, conducendo alla morte. Ricoeur in Tempo e Racconto, Vol. 2 afferma a questo proposito come il romanzo si regga su un equilibrio tra tempo mortale e tempo di risoluzione della vita di fronte alla morte. Il tempo è il percorso dalla vita alla morte ed è monito della caducità della stessa esistenza.
È ossessione per Septimus Warren Smith, co-protagonista e doppio di Clarissa, reduce di guerra, che giunge a reazioni spropositate di orrore nei suoi confronti e ordina a Rezia di bruciare le sue Odi al tempo. Nell’immagine di Clarissa che cuce, è stata poi intravista la presenza mitologica di Lachesi, ma lei non tesse il filo della vita. Riesce a cucire l’allora all’ora.
Septimus e Clarissa riescono a trasformare il tempo in ritmo. Il loro rapporto controverso con esso si risolverà alla fine rispettivamente con il suicidio e l’attaccamento alla vita. Così Clarissa si rende conto, di fronte alla mortalità della vita, di doversi prendere cura delle cose effimere. Ma qui, prima di tutto, s’innesta la necessità di senso propria dell’essere umano.
Mrs Dalloway, un’identità costruita sui ricordi
Consideriamo, per un istante e a torto, Clarissa Dalloway solo in quanto signora di mezz’età imprigionata in una vita fatta di apparenze, nella cui superficialità spesso si compiace anche di eccellere. In questo contesto tenta di attuare quello che ritiene il suo senso dell’esistenza, in parte connesso alla sua “religione laica”, di taglio quasi filantropico. Per quella giornata le sue piccole azioni convergono in un’unica direzione: la festa della sera. È un personaggio in movimento, che muove dalla vita alla morte, dalla morte alla vita, sullo sfondo di una Londra dinamica e pulsante soggiogata dal tempo.
Tutto è in evoluzione costante; Mrs Dalloway è un romanzo fatto di un turbinio di percezioni e impulsi. “I personaggi non debbono essere altro che intenzioni, punti di vista: la personalità deve essere evitata a qualunque costo”. Questo scrive Virginia Woolf nel suo diario, il 5 settembre 1923. Ogni cosa esiste in quanto percepita e ogni personaggio assume molteplici sfaccettature a seconda del percipiente. È l’ambiente perfetto per la metamorfosi che avverrà nel moment of being finale in cui Clarissa da esistere passerà a vivere; ma anche per illudersi, cedere alla finzione. È proprio questo il “potere salvifico” finale di Clarissa: sfuggire all’inganno, accogliendo una realtà mortale. Sally Seton e Peter Walsh, suoi amici di gioventù e vecchie fiamme, non ci riescono, ma la luce di Clarissa si riverbera su di loro.
Peter Walsh era pronto a rimproverarla della sua frivolezza, a causa di tutto il suo interesse per la mondanità. Ma l’identità e la sensibilità di Clarissa che si costruiscono sui ricordi, la strappano da questo rischio. Il passato è evocato sin dall’inizio, a partire dal ritorno di Peter Walsh dall’India. Dunque la memoria concorre al suo riscatto di Clarissa, unica tra gli invitati ad accoglie il suicidio di Septimus come qualcosa di più che materia di conversazione. Le impedisce di appiattirsi sulle apparenze, tanto familiari all’ottima società londinese. Questo è il mondo a cui all’inizio Clarissa sembra appartenere tanto bene. Un altro personaggio influenzato profondamente dal ricordo è Septimus. Per lui non poter dimenticare la morte in guerra dell’amico Evans è una condanna. Rezia rimpiange con forza il suo passato e infine Peter viene sfiorato da vaghi sprazzi dell’India, ma nessuno è colto dall’intensità di Clarissa.
Moment of being
In che cosa consiste esattamente la rivelazione, il moment of being di Mrs Dalloway? L’accento viene posto sull’istante stesso, Clarissa è in grado di ricordare un suicidio, al quale non ha assistito.
Lei si era salvata, Ma quell’uomo s’era ucciso.
In un certo senso era il suo disastro – la sua disgrazia. Era il suo castigo di veder sprofondare e scomparire in quel buio profondo ora un uomo, ora una donna, e dover restare lì, in piedi, nel suo vestito da sera. Aveva intrigato, aveva rubacchiato. Non era mai stata veramente degna di ammirazione. […] Non era mai stata tanto felice. Non c’era niente che fosse abbastanza lento, niente che durasse abbastanza a lungo. Non c’è piacere, pensò
Da qui smette di esistere soltanto e torna a vivere, pensando alla morte, scorgendo dalla finestra una vecchia che va a dormire. Si esplica la sua natura di essente, che però al contempo dispiega in sé tutte le sue potenzialità, si apre. Tutto converge sul finale, quando Clarissa fa la sua apparizione, dopo che si è fatta tanto attendere da Peter e Sally. Loro hanno conversato a lungo, perduti forse nelle loro illusioni.
“Vengo”, disse Peter, ma rimase seduto un altro momento. Che cos’è questo terrore? Che cos’è quest’estasi? Pensò tra sé. Che cos’è che mi riempie di una tale straordinaria emozione?
È Clarissa, disse.
Perché, eccola, era lì.
Così si conclude Mrs Dalloway. Peter fino a quel momento aveva disprezzato tutto il mondo che Clarissa significava e rappresentava così bene. Questo romanzo può essere anche una ricerca di senso, senza ridurlo dalle sue molteplici sfaccettature. Si può pure soltanto considerare quante volte in una sola giornata, i personaggi di Virginia Woolf, quasi umani, chiamino in causa la felicità e l’infelicità.
Inoltre il tempo può condurre alla corruzione dell’identità, ragione di follia o presa di coscienza. In ogni caso è fondamentale: rende gli uomini mortali, e i mortali bisognosi di un senso.
Virginia Woolf e Proust
Infine Virginia Woolf, mentre era alle prese con Mrs Dalloway stava leggendo Proust e non lo dimentica. Nei suoi diari, si trova un accenno appena prima della pubblicazione di Mrs Dalloway su che cosa abbia significato l’autore per lei:
Mi chiedo se questa volta io abbia raggiunto qualcosa? Be’, nulla, comunque, in confronto a Proust, nel quale sono immersa. La qualità di Proust è l’unione dell’estrema sensibilità con l’estrema tenacia. Egli esamina quelle sfumature di farfalla sino all’ultima grana. È resistente come il catgut ed evanescente come la polvere d’oro di una farfalla. E immagino che m’influenzerà e insieme mi renderà furiosa con ogni frase mia. (8 aprile 1925)
FONTI:
Virginia Woolf, La signora Dalloway, Feltrinelli, 2019
Virginia Woolf, Diario di una scrittrice, Einaudi, 1980
Paul Ricoeur, Tempo e racconto (Vol. 2), Jaca Book, 2008
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