È trascorso ormai qualche mese dal decimo anniversario della sua scomparsa, ma ricordare Giovanni Giudici è quasi un dovere, oltre che un piacere per i nostri sensi. La sua capacità di saper unire la grande vena poetica all’impegno politico lo ha reso uno dei più grandi intellettuali della contemporaneità.
Tuttavia, la figura di Giudici, soprattutto come poeta, soffre la tendenza ad essere lasciata in disparte, in favore di scrittori più conosciuti e attivi nello stesso periodo. In realtà, pochi altri come lui sono riusciti a lasciare un segno netto nella nostra storia letteraria combinandola con quella politica e sociale. Proviamo ora ad approfondire l’opera di Giovanni Giudici, ripercorrendo le tappe centrali della sua vita e della sua scrittura. Vedremo affiorare la storia di un uomo che ha saputo usare le parole con intensità e grazia, restando da un lato vicino alla tradizione soprattutto pascoliana, dall’altro sperimentando nuove forme poetiche.
Le origini e la famiglia Giudici
Giovanni nasce il 26 giugno del 1924 a Le Grazie, sul golfo di La Spezia. All’età di tre anni perde la madre, maestra elementare, per le conseguenze di un parto. Un vuoto che il poeta porterà sempre dentro di sé e con il quale spesso tornerà a fare i conti. Il padre, invece, dopo essersi risposato e aver avuto cinque figli, si trasferisce prima a Cadimare e poi a La Spezia, insieme all’intera famiglia. Tutto ciò provoca nel piccolo Giovanni un forte senso di sradicamento: è costretto ad allontanarsi dai nonni paterni – ai quali è legatissimo – e a cambiare costantemente vita e abitudini. Riuscirà a tornare a Le Grazie solo qualche anno dopo, nel 1932.
Il nuovo impiego del padre, prima nell’ISTAT e poi al ministero della Guerra, costringe la famiglia a un ulteriore trasferimento. Arrivano infatti a Roma, città dove Giudici si forma definitivamente. Frequenta prima un collegio di preti, poi il liceo classico Giulio Cesare, in una sede distaccata. Terminati gli studi superiori, si iscrive alla facoltà di Medicina, ma verso la fine del 1942 passa alla facoltà di Lettere.
La guerra e i primi impegni politici e intellettuali
Con l’università, Giudici inizia ad entrare nell’entourage intellettuale dell’epoca. Suo compagno di studi è Ottiero Ottieri, con cui condivide la passione per la scrittura sia in versi che in prosa. Tuttavia, sono gli stessi anni in cui la guerra dilaga in Italia: così, intorno al 1943, si nasconde come renitente alla leva, per poi cominciare clandestinamente l’attività nel Partito d’Azione. Infine, entra nella Guardia di Finanza di Roma, in cui rimane fino al termine della guerra.
Da queste esperienze nascono sia alcuni testi poetici, all’interno della raccolta Lume dei tuoi misteri (1984), sia un testo in prosa dai toni assai ironici, La Presa di Roma (1999). Giudici poi continua a coltivare la passione per la scrittura, acquista una copia del Canzoniere di Umberto Saba e nel frattempo si laurea con una tesi su Anatole France.
Tra giornalismo e poesia
La fine degli anni Quaranta per Giudici corrisponde all’inizio della carriera giornalistica. È prima cronista de “L’Umanità” di Roma, legata al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, poi approda a “L’Espresso”. Nel 1949, grazie alla conoscenza dell’inglese, inizia a lavorare per la United States information service a Roma e contemporaneamente entra in contatto con alcune tra le più importanti personalità letterarie della capitale, come Giorgio Caproni.
Dalla Olivetti a La vita in versi
Tra il 1957 e il 1958 sono moltissimi i cambiamenti che coinvolgono Giudici. L’attività poetica prosegue in maniera considerevole, dando risultati significativi con la pubblicazione di un’altra raccolta, intitolata L’intelligenza col nemico. Ma a dare il via ad una nuova stagione per lo scrittore, arriva l’ingresso nella Direzione pubblicità e stampa della Olivetti, e il conseguente trasferimento a Milano, vera e propria capitale economica e culturale.
Sono anni di evoluzioni, incontri e nuove amicizie, che gli permettono di confermare la sua qualità intellettuale e poetica anche nel capoluogo lombardo. Conosce Franco Fortini, Giacomo Noventa e Vittorio Sereni. Scrive sul Menabò, collabora con la rivista di sinistra “Quaderni Piacentini”, e pubblica con Mondadori – grazie alla spinta di Sereni – un insieme di componimenti che porta il titolo di La vita in versi (1965). Si tratta del grido generazionale di chi ha vissuto la guerra, di un uomo diviso tra educazione cattolica e impegno politico, che ha vissuto lo sradicamento dalla propria terra e si è dovuto riadattare ad una nuova vita.
UNA SERA COME TANTE
Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un’altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti.
Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l’educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.
[…]
Traduzioni e novità poetiche
Dopo questi importanti lavori, Giovanni Giudici inizia a coltivare l’altra sua grande passione, cioè la traduzione. Verso la fine degli anni Sessanta, infatti, dopo essere entrato in contatto con il traduttore Vladimír Mikeš, approfondisce lo studio della cultura slava e del ceco. Dopo un viaggio a Mosca, inoltre, si avvicina alla poesia russa e inizia a tradurre alcuni componimenti di Puškin.
Numerosi sono i viaggi compiuti in questo periodo: soggiorna varie volte a Praga, poi in Finlandia per la Olivetti, e a Mosca. Ma tra un impegno e l’altro, mantiene attiva comunque la sua produzione poetica: nel 1969 esce la raccolta Autobiologia, che contiene La Ballata della lingua, resoconto di questi anni dedicati alle traduzioni.
La ballata della lingua
Mia lingua – italiana
variante colta milano-romanese
lingua del mio bel paese
cantata in amabili suoni
di ricche clausole
e di elette commozioniMia lingua – innocente
a capo chino mia colpa confessata
a denti stretti assennata
polvere dei miei ginocchi
mia contrizione
mie lacrime dentro gli occhiMia lingua – puntuale
parola sopra cosa parola fondata
lingua vulnerata
da miei infiniti perdoni
da grazie molte
da pie dissimilazioniMia lingua – esitante
bocca per secoli a pronunciare “ti amo”
inerme amore lontano
lingua di meretrice
che mi riposa
liscia lingua guaritrice[…]
Instancabile poeta
Insomma la creatività poetica di Giudici sembra davvero impossibile da arrestare. Durante gli anni a venire, per Mondadori pubblica Il male dei creditori e, poco tempo dopo, Il ristorante dei morti. Il rapporto di Giudici con la poesia si fa sempre più intenso e profondo, con un’attenzione particolare agli elementi fonetici e morfologici di ogni singolo componimento. Riemerge la sua vicinanza a Pascoli e, insieme, l’interesse verso la poesia d’amore medievale. Una passione talmente forte che lo porta alla produzione di canzoniere moderno intitolato Salutz (1986).
Per tutti gli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, lo scrittore continua ad alternare la produzione poetica ai viaggi, soprattutto nell’Unione Sovietica. Lascia Milano per tornare in Liguria, e successivamente viene eletto per il PCI consigliere comunale di La Spezia.
Il sipario si chiude
Gli ultimi anni della vita di Giudici sono caratterizzati dalla nascita di molteplici raccolte antologiche. Per Garzanti, infatti, esce un volume che raccoglie le poesie composte tra il 1953 e il 1990. Nel 1994, in occasione dei suoi settant’anni, esce un altro volume intitolato Un poeta del golfo. Ogni singola opera, dunque, sembra voler cercare di celebrare al meglio la carriera di un poeta che ha contribuito a rendere grande la nostra letteratura. Un uomo che fino alla fine ha espresso se stesso attraverso l’arte, scegliendo di raccontarsi e raccontare con i suoi versi contemporaneamente delicati e potenti.
Il 23 maggio 2011, all’età di 87 anni, lo scrittore si spegne nell’ospedale di La Spezia, costretto a cedere ad una malattia che nell’ultimo periodo lo ha visto sempre più allontanarsi dal pubblico e dalla sua attività letteraria. Di lui ci rimane moltissimo: la magnificenza della sua poesia, la forza del suo impegno politico, l’amore per le lingue e per le culture lontane. Sta a noi averne cura e ricordarne costantemente l’importanza, facendo in modo che Giovanni Giudici continui a parlare alle nuove generazioni.