Milano, Azimuth e l’Arte programmata tra gli anni ’50 e ’60

Nell’immediato Secondo dopoguerra gli strascichi disastrosi lasciati dalle macerie fisiche, sociali, culturali e morali diedero inizio, in Europa e in Italia, a ricerche artistiche inedite. L’Arte Informale di Jean Fautrier, Jean Dubuffet, Emilio Vedova e Alberto Burri, per esempio, rappresentava per questi artisti europei una risposta. Una reazione alla terribile e angosciante crisi esistenziale provocata dall’esperienza bellica.

Una breve introduzione all’Informale

Nelle loro opere, la trasposizione in pittura della distruzione plastica e materica trova espressione in una particolare poetica. Questa si fonda, pur ispirandosi al canone dell’Espressionismo astratto, sulla tematica costante della negazione della forma. La si pratica anche attraverso processi di degradazione fisica dei materiali, applicati sui supporti. Il caso più celebre è quello dei Cretti di Alberto Burri, ma non è l’unico. 

Alberto Burri, Cretto

La distruzione e la negazione formale, che ispirerà parzialmente anche i Tagli di Lucio Fontana, si configura quindi come un nuovo paradigma pittorico. Gli artisti lo sfruttano come veicolo di espressione emotiva, ma al tempo stesso anche come strumento tecnico per un’indagine sulla forma e sulle sue infinite possibilità di configurazione. In questo modo, il tema artistico dell’informale diventa, paradossalmente, un’attività di ricerca della forma stessa. 

Superato il periodo più complesso dell’immediato dopoguerra, però, ebbe inizio la fase di ricostruzione economico-politica del Vecchio Continente. Con i poderosi contributi economici e finanziari offerti dal piano Marshall, anche l’Europa ritrovò un assetto stabile. Ebbe così inizio un esponenziale progresso economico, industriale e tecnologico. Tra gli anni ’50 e ’60 avrebbe preso il nome di Boom Economico. 

Il rifiuto del “soggettivismo informale

Ed è infatti verso la fine degli anni ’50 che, anche in Italia, come dapprima in Francia e Germania, prendono il via mirate ricerche artistiche. Il loro obiettivo è la riflessione sulle ripercussioni dei nuovi mezzi tecnologici e delle macchine. Soprattutto nel loro rapporto con il fruitore, in riferimento alla loro capacità di modificare, parlando alla Benjamin, le coordinate del visibile. Epicentro di queste sperimentazioni artistiche è Milano, città capitale del Boom Economico italiano nonché indiscusso polo culturale dove si incontrano i fermenti artistici più vivaci. Lo stesso era successo tra gli anni ’10 e ’20. 

Alberto Burri, Rosso plastica

Proprio a Milano negli anni ’50 nasce quella che sarebbe stata definita Arte Programmata o cinetica. Si sviluppa parallelamente e similmente agli sviluppi della corrente Azimuth, fondata da Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e Piero Manzoni. Questi nuovi orientamenti artistici si identificano proprio in relazione all’Arte Informale, rispetto alla quale prendono le distanze. Al tempo stesso, però, proseguono anche una certa riflessione estetica e visuale sulla forma che le stesse ricerche informali di Burri e Fontana avevano avviato.

La rivoluzione di Lucio Fontana

L’Arte Programmata e la corrente Azimuth si formano in forte polemica nei confronti delle pratiche artistiche dell’immediato dopoguerra. L’opposizione più audace è rivolta in particolare al tema dell’eccesso di soggettivismo espresso dagli informali. Artisti troppo concentrati su di sé, sui propri stati d’animo, sulla propria soggettività emotiva manifestata in pennellate di colore furibonde e distruzioni materiche feroci. Questo dicono gli Azimuth e gli artisti programmatici, che propongono invece una sorta di un rappel à l’ordre (ritorno all’ordine) e inaugurano una profonda e radicale tendenza all’oggettività della rappresentazione artistica. Spostano quindi l’accento dai sentimentalismi informali alla razionalità e quasi scientificità dell’indagine sulla forma e sulla materia.

Lucio Fontana

Decisivi per questa ricerca spazio-temporale della forma furono sicuramente i lavori di Lucio Fontana . Con i suoi Concetti spaziali, l’artista diede inizio ad un’interessamento della riflessione artistica su temi quali lo spazio e il tempo. Ancora oggi questi sono centrali nelle sperimentazioni di moltissimi artisti contemporanei, basti pensare all’opera di Anish Kapoor.  I nuovi orientamenti artistici si concentrano su diversi ambiti pertinenti alla forma artistica, ottenendo così esiti piuttosto differenti. Tuttavia, li accomuna la volontà di superare il soggettivismo post-bellico e di esplorare le molteplici dinamiche della forma in sé stessa. Senza quindi la contaminazione emotiva tipica degli informali.

Azimuth

Gli esponenti della corrente Azimuth si concentrano sulla messa in discussione della tradizionale natura bidimensionale della tela. La trasformano così in una sorta di magma ribollente che può assumere diverse configurazioni formali. Attraverso estroflessioni e introflessioni del supporto pittorico, gli artisti della corrente Azimuth (dal nome della rivista fondata nel 1959 da Agostino Bonalumi, Enrico Castellani e Piero Manzoni) esplorano la spazialità mediante le infinite varianti plastiche che la tela stessa può assumere. 

In modo del tutto innovativo, questi artisti operano intervenendo direttamente sulla tela, la quale non è più un semplice supporto su cui disporre e stendere i pigmenti di colore (com’è sempre stato per i dipinti tradizionali).  Diventa invece materiale plastico che viene modellato, al pari del marmo per la scultura, assumendo conformazioni astratte e formalizzate. Mediante introflessioni ed estroflessioni (imbottiture di carta o gommapiuma), la tela nega la sua bidimensionalità e acquisisce così la terza dimensione dando vita a dei quadri-scultura costituiti da forme geometriche a astratte che, proprio in quanto tali, neutralizzano qualsiasi drammaticità o emotività dell’opera.

La parola agli artisti

Uno dei tanti esempi che si potrebbero riportare di questi lavori artistici è senz’altro l’opera di Agostino Bonalumi Rosso (1959), costituita da una tela monocromatica, dipinta appunto di rosso, la quale viene estroflessaper formare quattro forme ellittiche disposte in modo simmetrico. La scelta compiuta da Bonalumi è di operare su una superficie monocroma che limita, intenzionalmente, la possibilità di azione dell’autore. In questo modo neutralizza ogni tentativo di soggettivismo, al contrario della ricerca artistica dell’Arte informale, caratterizzata da una intensa gestualità e dunque espressività. 

Enrico Castellani, Superficie Bianca

Anche Enrico Castellani, uno dei tre fondatori di Azimuth, sceglie di agire nella direzione artistica di Bonalumi. Castellani inoltre, allineandosi alla tendenza del minimalismo, rivolge il suo interesse soprattutto a una radicale minimizzazione degli elementi del dipinto. L’autore utilizza soltanto tele, chiodi e si orienta verso un monocromatismo che si radicalizza nell’utilizzo del solo bianco: l’assenza di colore (e dunque di emotività). Nella sua opera Superficie bianca l’artista ci presenta una tela mossa da una sorta di tessitura di punti che, tramite la dialettica di estroflessione e introflessione, alterna concavità e convessità. Con questa pratica anche Castellani trasforma le sue tele in quadri-sculture, che sembrano brulicare come materia viva. 

Ciò che emerge dalle ricerche artistiche di Bonalumi e Castellani è una costante e ossessiva esplorazione della materia nei suoi rapporti spaziali. Le tecniche attivate da questi due artisti non sono altro che teorizzazioni pittoriche di un’indagine sulla forma, sulla materia e sullo spazio che sviluppa e complica ulteriormente la riflessione spaziale inaugurata da Lucio Fontana. 

L’Arte programmata

Contemporaneamente alle sperimentazioni Azimuth, un’ulteriore reazione artistica al soggettivismo dell’Arte informale è rappresentata dalla corrente della cosiddetta Arte programmata. Secondo questa l’opera d’arte dev’essere concepita e costruita secondo un programma logico e coerente, volto ad indagare i fenomeni ottici. E se gli artisti della cerchia Azimuth si concentrano sulla forma in sé, esplorata tramite le manipolazioni plastiche della tela, gli esponenti dell’Arte programmata, tra cui Bruno Munari ed Enzo Mari, si focalizzano invece sull’indagine dei fenomeni ottico-percettivi. 

Propugnando anch’essi l’oggettività dell’opera d’arte, gli autori di questo orientamento artistico rivolgono la propria ricerca sulle dinamiche percettive e sulle possibilità offerte dai nuovi mezzi e materiali tecnologici. Offrono così allo spettatore un’esperienza di coinvolgimento con l’oggetto artistico, che non ha più una sua staticità contemplativa, bensì si presenta come un’opera dinamica. Supera la distinzione pittura/scultura, assumendo lo statuto di oggetto artistico indefinito, che apre allo spettatore inedite esperienze ottiche. 

Il Manifesto del Macchinismo di Bruno Munari

In questo contesto artistico gli autori rifiutano qualsiasi tentativo di espressività dell’opera e protagonismo emotivo. Abbandonano ogni approccio istintivo per confrontarsi con il progresso scientifico e tecnologico, indagato artisticamente attraverso il ricorso a nuovi strumenti e materiali. 

Uno dei capostipiti dell’Arte programmata, detta anche “cinetica”, è stato senz’altro Bruno Munari. Risale al 1952 infatti il Manifesto del Macchinismo da lui scritto e redatto, all’interno del quale afferma che la ricerca artistica avrebbe dovuto occuparsi di riflettere sulle conseguenze estetiche delle nuove macchine e tecnologie. Secondo l’autore, solo l’artista sarebbe stato in grado di ristabilire un nuovo equilibrio tra uomo e tecnologia, abbandonando pennelli e scalpello e iniziando a operare proprio con le macchine, che si sarebbero configurate in strumenti di produzione estetica. 

Il mondo, oggi, è delle macchine. Noi viviamo in mezzo alle macchine, esse ci aiutano a fare ogni cosa, a lavorare e a svagarsi. Ma cosa sappiamo noi […] della loro natura?Le macchine si moltiplicano più rapidamente degli uomini, quasi come gli insetti più prolifici; […] già ci costringono ad occuparci di loro.Fra pochi anni saremo i loro piccoli schiavi.

Gli artisti sono i soli che possono salvare l’umanità da questo pericolo.

Gli artisti devono interessarsi delle macchine, abbandonare i romantici pennelli, la polverosa tavolozza, la tela e il telaio; devono cominciare a conoscere l’anatomia meccanica, il linguaggio meccanico.

Non più colori a olio ma fiamma ossidrica, reagenti chimici.

La macchina di oggi è un mostro!

La macchina deve diventare un’opera d’arte!

Noi scopriremo l’arte delle macchine!

(Bruno Munari; Manifesto del macchinismo)

L’attenzione agli effetti ottico-percettivi

Ascrivibile sempre all’Arte programmata è anche Dadamaino (pseudonimo di Eduarda Emilia Maino), artista attiva a Milano tra gli anni ’60 e gli anni ’80 e attenta indagatrice degli effetti ottico-percettivi. Interessante è soprattutto la serie degli Oggetti ottici dinamici. Privi di qualsiasi connotazione espressiva o simbolica, in linea con i dettami dell’Arte Programmata, queste costruzioni indagano i fenomeni percettivi delle illusioni ottiche.

Nell’Oggetto ottico dinamico n. 1, esposto al Museo del Novecento, troviamo una serie di tasselli quadrangolari bianchi e neri racchiusi in una cornice nera, la cui variazione dimensionale produce un effetto complessivo di illusione ottica. Questo fa sì che il nostro sguardo percepisca una tridimensionalità inesistente e al tempo stesso dinamizza illusionisticamente la configurazione di quadretti.

Dadamaino, Oggetto ottico dinamico n. 1, 1963, Museo del Novecento (Milano)

Nell’opera, il rapporto ottico che si crea all’aumentare e diminuire della dimensione delle forme quadrangolari genera un effetto percettivo di tridimensionalità, così come induce il nostro sguardo a percepire un movimento delle forme puramente illusorio. Anche nel lavoro di Dadamaino, dunque, troviamo un’attenta esplorazione della dimensionalità formale tra spazio e tempo, che viene studiata visualmente attraverso illusioni ottiche. Su queste, da un lato si sviluppa la riflessione dello Spazialismo di Fontana, dall’altro lato si può intuire anche una certa ripresa degli studi sulla percezione ottica avviati dalla Psicologia della Gestalt. 

Il “Gruppo T”

Uno discorso a sé merita il collettivo di artisti noto come Gruppo T. Fondato sempre a Milano nel 1958 da Giovani Ancesti, Davide Boriani e Grazia Varisco, il Gruppo T (la cui “T” sta per “Tempo”) si allinea e in qualche modo contribuisce alla costruzione del paradigma di ricerca artistica dell’Arte programmata. Le ricerche portate avanti dagli artisti di questo collettivo sono tra le più interessanti e significative del contesto dell’Arte programmata.

Davide Boriani, Ambiente stroboscopico n. 7, 1967, Museo del Novecento (Milano)

Condensando il “mantra” artistico nella lettera “T”, i rappresentati di questo gruppo definiscono la propria poetica, incentrata sull’idea della variazione dell’immagine nella sequenza temporale. Anche in essi, dunque, ritorna nel modo più esemplare la volontà di penetrare con gli strumenti artistici la materia nella sua mutevolezza all’interno dello spazio-tempo. Del resto, nel proprio manifesto i membri del Gruppo T scrivono: 

Ogni aspetto della realtà, colore, forma, luce, spazi geometrici e tempo astronomico, è l’aspetto diverso del relazionarsi dello spazio-tempo o meglio: modi diversi di percepire il relazionarsi fra SPAZIO e TEMPO. Consideriamo quindi la realtà come continuo divenire di “fenomeni” che noi percepiamo nella “variazione”. Quindi considerando l’ “opera” come una “realtà” fatta con gli stessi elementi che costituiscono quella “realtà che ci circonda” è necessario che l’opera stessa sia in continua variazione.

L’avanguardia delle opere dinamiche

In effetti, ciò che colpisce dei lavori di questo collettivo è proprio la realizzazione di opere la cui peculiarità consiste proprio nell’essere concepite come costitutivamente dinamiche. Operando con l’immagine cinetica, i membri del Gruppo T realizzano vere e proprie installazioni artistiche, piuttosto che opere nel senso tradizionale. Così facendo rompono in modo decisivo con la tradizione, consegnando alla critica alcuni degli esempi più significativi di Arte programmata. 

Considerando poi il periodo in cui questi artisti operano (siamo infatti tra gli anni ’50 e ’60), anticipano di diversi decenni l’avvento delle installazioni artistiche e degli ambienti immersivi. Soprattutto Davide Boriani con i suoi ambienti stroboscopici. 


FONTI

Pescio C. (a cura di), Dossier Arte 3 – Dal Neoclassicismo all’Arte ContemporaneaGiunti

David Katz, Gestaltpsychologie

Penarchy

Re-programmed art; “Group T”

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