Gonzalo Borondo: tra Street Art e Site-specific

Nel panorama artistico contemporaneo, una delle modalità d’espressione figurative più percorse è costituita dalla Street Art. Parallelamente, le ricerche artistiche contemporanee sono attraversate da una tendenza multimediale, che la critica d’arte statunitense Rosalind Krauss ha ben sintetizzato nell’espressione Post-medium condition”. 

Nam June Paik, Medien Denkmal, 1990, mixed media, ‘Museum für Kommunikation’, Frankfurt

La condizione post-mediale, dunque, è sempre più esplorata dagli artisti visuali contemporanei. La sua produzione si fonda sull’impiego di una pluralità di media artistici, combinati tra loro in molteplici configurazioni al fine di esplorare i nuovi orizzonti della visualità. È peraltro da questa condizione che sono nate, a partire dagli anni ’90, le installazioni artistiche.

Chi è Gonzalo Borondo?

Gonzalo Borondo, artista spagnolo classe ’89, si colloca proprio sul confine tra Street Art e installazione. Un confine decisamente peculiare che costituisce la principale direzione formativa percorsa dall’artista iberico. Nato a Valladolid, Borondo ha trovato a Madrid la vera ispirazione creativa. Quello che lo ha condotto a intraprendere la via dell’arte figurativa, costruendosi inizialmente un background da street artist. È infatti nella capitale spagnola, dove si è trasferito nel 2003, che Borondo ha dato inizio alla sua carriera artistica, trovando nella strada il luogo d’espressione prediletto. 

Sarà però il 2010 l’anno in cui inizia a dipingere pareti di grandi dimensioni. Da allora Borondo ha compiuto numerose opere in tutta Europa, concentrandosi soprattutto sulla realizzazione di installazioni urbane. Perché Gonzalo Borondo nasce come street artist, ma si distingue fin da subito per una notevole versatilità delle tecniche pittoriche impiegate e delle tematiche trattate, nonché per la volontà di costruire un dialogo tra diversi media artistici. 

Gonzalo Borondo, Mites terram possident, 2018, mixed media on wall, Malegno (BS), Italia

Il rapporto con la Street Art e l’importanza del contesto

Nonostante ciò, uno dei perni su cui ruota la sua attività creativa resta sempre l’importanza per il contesto, un tema assolutamente centrale per la Street Art. Fin dalle prime opere infatti, la poetica di Gonzalo Borondo si concentra sull’esplorazione delle possibilità spaziali, psicologiche e narrative, che l’immagine è in grado di dischiudere allo sguardo dello spettatore attraverso gli effetti prospettici. Lo stesso artista scrive infatti:

La parete non è una facciata chiusa, bensì una superficie sulla quale creare portali che aprono la dimensione mentale attraverso la prospettiva. I limiti fisici sono soltanto dei varchi (gaps). Quando lavoro su una parete cerco sempre un dialogo cromatico e poetico con la percezione spaziale, attraverso l’osservazione dell’intero contesto. […] Cerco sempre di preservare la relazione dialettica tra lo spazio e le persone.

L’opera come interazione tra immagine, contesto e pubblico

Dunque, oltre al contesto inteso in senso fisico e ambientale, l’attenzione della poetica di Borondo si rivolge anche e soprattutto al contesto pubblico. Pone quindi al centro della ricerca artistica lo spettatore e il suo rapporto con l’opera.

Proprio per questa ragione, l’opera di Gonzalo Borondo si potrebbe definire intrinsecamente ambientale, ovvero un’opera che si costruisce sempre sulla relazione tra immagine, contesto e pubblico. In virtù di questa forte attenzione alla dimensione della spectatorship, l’artista ritiene poi che le opere debbano aprire molteplici orizzonti di significato che si stratificano in base al soggetto spettante. Borondo stesso, in un’intervista rilasciata ad Artecracy, sottolinea:

Non vorrei mandare un messaggio unidirezionale, mi piace che le opere abbiano una prima lettura semplice e immediata, accessibile più o meno a tutti, e poi diversi livelli di lettura per chi vuole approfondire.

Installazioni ed environments

L’interesse della pratica artistica di Gonzalo Borondo per il contesto lo ha portato sempre più ad allontanarsi dalla Street art, con tutte le sue connotazioni politico-sociali. Piuttosto, l’artista si è avvicinato al mondo delle installazioni, nelle quali la compresenza tra più media e materiali artistici . trattati, a loro volta, con diversi metodi – domina lo spazio della creazione.

I recenti progetti espositivi di Borondo danno quindi vita a opere ambientali, all’interno delle quali lo spettatore non si trova di fronte ad un’opera, bensì entra nell’opera. Nella maggior parte dei casi si tratta di interventi artistici compiuti in edifici architettonici preesistenti (chiese, cappelle, spazi espositivi ecc.). Oppure di installazioni multimediali e multisensoriali, con le quali il fruitore intrattiene un rapporto di diretta co-partecipazione all’opera artistica. In questo modo, il soggetto fruitore piuttosto che fruire l’opera in senso tradizionale, compie una vera e propria esperienza artistica: egli percorre l’opera, anziché contemplarla, la esperisce, anziché fruirla.

 

L’importanza dell’aspetto architettonico

Sotto questo profilo, i lavori e i progetti artistici di Borondo si avvicinano molto più all’architettura e all’installazione artistica, anziché all’arte figurativa in senso tradizionale. Proprio come nelle opere architettoniche, l’artista spagnolo esplora non tanto la questione di rappresentare qualcosa, quanto piuttosto il tema di costruire spazi artistici. Attraverso questi vengono esplorate questioni centrali nell’esperienza umana, come il tema del sacro, che compongono uno spartito estetico indeterminato e vibrante.  L’interesse per l’installazione e la realizzazione di ambienti artistici ha poi portato Borondo a collaborare con enti e istituzioni per la progettazione di interventi artistici commissionati dalle amministrazioni locali.

Uno degli interventi più interessanti è sicuramente quello compiuto a Bordeaux, volto a restaurare artisticamente l’interno del Temple des Chatrons con affreschi e installazioni site-specific. Il tempio, rimasto chiuso al pubblico per circa trent’anni, è stato sottoposto all’intervento artistico di Borondo, che ha compiuto un lavoro di ristrutturazione estetica dello spazio interno fondata sull’esplorazione del complesso tema del rapporto tra uomo e natura. 

Temple Des Chatrons

Come scrive l’artista, si tratta di un progetto site-specific (dunque sempre attento al contesto) che affronta la contraddittoria relazione tra uomo e natura. Lo fa attraverso l’inserimento di elementi vegetali all’interno dello spazio sacro e simbolico di un tempio. Il progetto dunque esplora e sperimenta l’introduzione e la “santuarizzazione” in un tempio di elementi vegetali che, in questo modo, diventano parte stessa dello spazio architettonico e sacro del luogo. Quest’ultimo è arricchito anche da dipinti a fresco, immagini cinetiche, suoni e proiezioni che animano lo spazio, rendendolo ancora più suggestivo.

Attraverso la giustapposizione di immagini ed elementi visivi trattati con media differenti, giochi prospettici e variazioni percettive, l’intera installazione sembra inserire lo spettatore all’intento di uno spazio altro. La questione poi della sacralizzazione degli elementi vegetali trova la sua massima esplorazione nella scelta di collocare nell’abside un albero. Questo, disposto e configurato a formare una croce latina, fa le veci di un crocifisso cristiano, rafforzando ulteriormente la dimensione sacra che il progetto vuole esplorare ed evocare in linea con il contesto dell’opera. 

Gonzalo Borondo
Gonzalo Borondo, Ubiquitas, 2016, glass scratch, acrylic, neon, Ex Dogana, Roma

I progetti italiani

Esiste poi uno speciale rapporto che lega Borondo all’Italia. L’artista infatti nel 2011 arriva a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti e da quel momento rimane profondamente ancorato alla città. Sia sotto il profilo formativo, sia sotto il profilo dell’ispirazione artistica e delle possibilità offerte in generale dal nostro paese per gli artisti contemporanei. Da questo punto di vista, quindi, sono tanti i progetti portati a termine da Gonzalo Borondo in Italia, anche in collaborazione con artisti contemporanei italiani come Edoardo Tresoldi. 

Tra i suoi lavori italiani più affascinanti occorre ricordare le due installazioni progettate ed esposte proprio a Roma: Ubiquitas (2016) e Non plus ultra (2018). In modo particolare è interessante soffermarsi sul progetto Non plus ultra, compiuto nel 2018 al MACRO di Roma e costituito da una serie di serigrafie realizzate su cinquantadue pannelli di vetro trasparente alti due metri. La particolarità è che, su un unico pannello, (riprodotto in serie di cinquantadue) coabitano due immagini grafico-pittoriche visibili indipendentemente. 

Non plus ultra

Guardando l’opera, da un lato del pannello lo spettatore può osservare l’immagine serigrafica di una colonna antica. Viene ripetuta in serie di cinquantadue, creando in questo modo una sorta di colonnato labirintico che si sviluppa nello spazio espositivo e che viene percorso dallo spettatore. Dall’altro lato dei cinquantadue pannelli invece, si percepisce la sagoma di un uomo visto da dietro, che tende le braccia assumendo la posizione del Cristo crocifisso. Rievoca così un motivo iconografico caro alla nostra tradizione artistica. 

Il risultato è la coabitazione nel medesimo ambiente di due tipologie di figure. Queste sono replicate in molteplici esemplari che compongono lo spazio, a creare una sorta di bosco di colonne da un lato e di bosco di crocifissioni dall’altro. L’effetto ottenuto è quello di una percezione alternata di due diversi pattern estetici che occupano diversamente lo spazio, offrendo due percorsi visuali percorribili dallo spettatore. La figura umana è sempre protagonista e la sua natura crocefissa prende il posto strutturale che spetta alle colonne, coabitando con esse come delle cariatidi moderne.

Gonzalo Borondo, N̶O̶N̶ P L U S U L T R A, 2018, serigrafia su vetro, MACRO (Roma)

L’esplorazione di materiali e il fascino del vetro

Il progetto artistico di Borondo, come suggerisce il titolo stesso Non plus ultra, ruota attorno al concetto di limite e in particolare alle possibilità offerte dal limite del pannello di vetro. Una barriera fisica impenetrabile e al tempo stesso varco visivo che consente di vedere attraverso. Il lavoro è così il risultato di una ricerca sul vetro iniziata con l’opera intitolata Shame, realizzata ad Atene nel 2013 ed esplorata anche attraverso la già citata opera Ubiquitas, esposta sempre a Roma nel 2016. 

Il vetro è un materiale delicato e al tempo stesso resistente, puoi guardarci attraverso senza però passarci attraverso. È un limite spaziale che però traspare per sua stessa natura. Essere di fronte ad un limite ti permette di affrontarlo, tradirlo e imbrogliarlo, obbligandoti ad andare oltre.


 

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