Parlare di Amelia Rosselli non è mai un compito facile. La particolarità delle sue poesie e la fragilità del suo animo non transigono alcun tipo di generalizzazione sulla sua scrittura e sulla tendenza, a volte troppo larga, a rivestire l’intera sua opera con un certo stereotipo pseudo-femminista. In particolare, ciò può accadere perché è stata l’unica donna a essere inserita nell’antologia del 1978 di Pier Vincenzo Mengaldo, Poeti italiani del Novecento.
Questo fatto la proclama senza dubbio come un’eccezionalità nello scenario letterario italiano, ma in ogni caso gli intenti che sottostanno alla scrittura della Rosselli sono molto più profondi e sofferti di quanto non si creda. Le conquiste da lei ottenute e gli straordinari risultati raggiunti poeticamente, sono prima di tutto il tentativo di rimettere insieme parti della propria vita, affidando alle parole, spesso anche straniere, il coraggio di farlo.
Dunque, come se avessimo tra le mani un fiore, delicato e raro, proviamo ad entrare nell’universo di Amelia Rosselli. La sua vita, le sue poesie e la sua verità, ci guideranno lungo sentieri complicati, ma troppo meravigliosi per rimanere sconosciuti.
Dall’infanzia da apolide alla perdita di tutti i punti di riferimento
Amelia Rosselli nasce a Parigi, il 28 marzo del 1930. È la seconda figlia di Carlo Rosselli, antifascista ed ebreo, che in quel periodo si trovava in esilio nella capitale francese, e dell’inglese Marion Cave. Marion Cave, trasferitasi da Londra a Firenze dopo la laurea, conosce Carlo, con il quale condivide lo spirito liberale. Da lui, oltre ad Amelia, avrà altri due figli, John e Andrea. In questi anni tantissime sono le disavventure che li vedono protagonisti, come ad esempio l’arresto di Marion a Lipari, mentre era incinta della bambina.
I due cercano di andare avanti proseguendo la loro attività politica e non lasciandosi scoraggiare nemmeno dall’esilio. Tuttavia, nel 1937 si assiste al tristemente famoso “Caso Rosselli”. Carlo e suo fratello Sabatino, meglio conosciuto come Nello, vengono assassinati da alcune forze miliziane francesi su mandato di Galeazzo Ciano e Benito Mussolini. Perciò, Marion e i suoi figli sono costretti nuovamente a fuggire. Arrivano a New York, dove rimangono per qualche anno, e poi tornano di nuovo a Firenze. Ma la malattia cardiaca della donna, unita a forti problemi di depressione, non le lascia scampo, e Marion muore nel 1949.
La vita corre comunque
Le gravi perdite, i continui spostamenti, l’esilio e la guerra segnano irrimediabilmente la giovane Amelia. Questi sono anni assai complicati per una ragazza che sin da piccola ha conosciuto troppo da vicino il dolore. Tentare di ricostruire certi tasselli ormai andati in frantumi, è per lei un’impresa quasi impossibile, contro la quale lotta costantemente.
Ma dal dolore, Amelia, che intanto è dovuta crescere all’improvviso, riesce a tenersi a galla, dedicandosi alla musica e alla scrittura, passioni che già da allora nutriva dentro di sé. In effetti, dopo aver imparato a suonare il violino e il pianoforte, studia teoria della composizione e, qualche anno dopo, approfondisce l’entomusicologia grazie all’incontro con Scotellaro.
Momenti complicati
Gli anni Cinquanta sono un momento in cui si uniscono per la Rosselli sperimentazione, nuove scoperte e numerose conoscenze con personaggi famosi del nostro panorama culturale. Ma sono anche anni emotivamente molto complicati per la poetessa, a causa del sopraggiungere di forti crisi nervose. È proprio per via di queste, infatti, che viene sottoposta alle prime sedute di elettroshock.
Tali difficoltà in ogni caso non le impediscono di dedicarsi alla scrittura: produce diverse traduzioni sia in inglese che in francese, e pubblica alcuni testi molto interessanti. Appartengono allo stesso periodo il saggio intitolato La serie degli armonici e dedicato alla musica dodecafonica, e La libellula, un poemetto incentrato, invece, sulla possibilità di creare un nuovo verso metrico. La Rosselli, in effetti, cerca di pensare ad una nuova metrica che non poggi più sul verso libero né tantomeno sui versi tradizionali.
[…]
Fluisce fra me e te nel subacqueo un chiarore
che deforma, un chiarore che deforma ogni passata
esperienza e la distorce in un fraseggiare mobile,
distorto, inesperto, espertissimo linguaggio
dell’adolescenza! Difficilissima lingua del povero!
rovente muro del solitario! strappanti intenti
cannibaleschi, oh la serie delle divisioni fuori
del tempo. Dissipa tu se tu vuoi questa debole
vita che non si lagna. Che ci resta.
[…]
L’esordio poetico e l’apprezzamento di Pasolini
L’inizio degli anni Sessanta per la Rosselli corrisponde all’ingresso ufficiale tra gli scrittori più conosciuti di quel periodo. Nel 1963 pubblica sulla rivista Il Menabò di Elio Vittorini Ventiquattro poesie, accompagnata da una Notizia di Pier Paolo Pasolini. Questi, infatti, individua nella poetessa una grandissima capacità di sperimentazione, che in quel periodo pochissimi altri avevano, soffermandosi su un elemento particolare, il lapsus, che garantiva alla sua poesia un carattere unico.
Il modus operandi rosselliano in effetti provoca non poco stupore. Lo stesso Vittorini consiglia invano alla Rosselli di ridurre certi meccanismi linguistici fortemente presenti nelle sue poesie. Parole troncate, inesistenti o in disuso sono tratti distintivi di questi testi.
[…]
Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione
fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti
e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro.
Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati. Speranzosa
nell’Ovest ove niente per ora cresce.
Il caffè-bambù era la notte.
La congenitale tendenza al bene si risvegliava.
Da Variazioni alla Serie ospedaliera
Nel 1964 Amelia Rosselli pubblica un’opera dal titolo Variazioni belliche, che si suddivide in due sezioni: una dedicata alle Poesie, esclusivamente in verso libero; l’altra, invece, Variazioni, raccoglie testi in metrica chiusa. A concludere poi tutta la raccolta subentra un altro saggio musicale, intitolato Spazi metrici. Insomma, già dal modo in cui la Rosselli costruisce la sua raccolta, può evincersi la tendenza a scardinare ogni ordine prestabilito delle cose. Sono i versi stessi a combattere e a tentare di rimescolarsi in un’incessante guerra linguistica, guidata proprio dalla poetessa, dove le parole variano, si scambiano, e non rispondono più a rigide regole sintattiche.
Qualche anno dopo, nel 1969, esce un’altra raccolta, Serie ospedaliera, nella quale prevalgono maggiormente i confronti con la tradizione poetica precedente. Poeti come Montale e Campana vengono riutilizzati dalla Rosselli come punto di partenza per un ulteriore tentativo di esplosione-liberazione della poesia, lasciando però che un filo sottilissimo continui a legarle.
Contiamo infiniti cadaveri. Siamo l’ultima specie umana.
Siamo il cadavere che flotta putrefatto su della sua passione!
La calma non mi nutriva il sol-leone era il mio desiderio.
Il mio pio desiderio era di vincere la battaglia, il male,
la tristezza, le fandonie, l’incoscienza, la pluralità
dei mali le fandonie le incoscienze le somministrazioni
d’ogni male, d’ogni bene, d’ogni battaglia, d’ogni dovere
d’ogni fandonia: la crudeltà a parte il gioco riposto attraverso
il filtro dell’incoscienza. Amore amore che cadi e giaci
supino la tua stella è la mia dimora.
Altri risultati editoriali e la fine
Tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, Amelia Rosselli prosegue inarrestabile la sua attività poetica. Pubblica, infatti, Documento, ispirato al Canzoniere di Petrarca, ma reso estremamente contemporaneo dai fatti narrati e dalla lingua utilizzata. Subito dopo, la poetessa si trasferisce a Londra, dove rimane fino al 1977.
Il decennio successivo si apre con una stagione editoriale molto interessante: torna a Roma e nel 1981 pubblica un poemetto Impromptu, con prefazione di Giovanni Giudici. Tante altre sono le novità che continuano a vederla protagonista in questi anni, da Diario ottuso (1990) a Sleep (1992), una raccolta di poesie in inglese.
[…]
questa notte con spavaldo desiderio
scesi per le praterie d’un lungofiume
impermeato d’antiche abitudini
ch’al dunque ad un segnale indicavanomelma, e fiato. Solo sporcizia
sì, vidi dall’ultimo ponte, dubitando
d’una mia vita ancora rimasta al
sole, non per l’arrosto ma peril fuoco è buona
[…]
Tuttavia, i suoi disturbi psichici non le lasciano tregua, aumentando spaventosamente e segnando Amelia in maniera irreversibile. Fino a che, nel 1996, muore suicida, gettandosi dalla finestra del suo appartamento romano. Il suo lascito culturale e letterario è enorme: non solo come poetessa, ma prima di tutto come donna che ha cercato di esorcizzare il dolore raccontando la sua realtà da straniera. Una realtà tutta da conoscere e che noi oggi, grazie ai suoi componimenti, abbiamo il privilegio di poter ricostruire.
CREDITI