Avorio

Avorio, storia di un traffico di morte

Avorio, bianco come il latte ma rosso come il sangue. Tratto perlopiù dalle zanne d’elefante, questo prezioso quanto raro materiale è stato da sempre utilizzato per ricavarne monili, oggetti od ornamenti tanto di uso quotidiano quanto, specialmente negli ultimi decenni, simboli di potere, ricchezza ed esclusività. Denominato anche come “oro bianco”, titolo che non a caso condivide con la cocaina, oggi l’avorio è uno dei protagonisti del mercato nero internazionale, che muove enormi quantità di denaro e persone in tutto il globo ai danni della sopravvivenza delle specie di elefanti, sempre più a rischio d’estinzione.

Il legame tra l’avorio e l’estinzione

Proveniente dalle zanne degli elefanti africani e indiani – in quest’ultimo caso solo dagli esemplari maschi in quanto gli unici dotati di tale apparato – l’avorio, assieme alla deforestazione, sta causando la progressiva estinzione di questi splendidi pachidermi, che vengono uccisi e cacciati, anche all’interno dei parchi naturali preposti alla loro conservazione, dai bracconieri, che spesso coinvolgono in feroci e brutali scontri armati le guardie delle riserve.

Il WWF stima che ogni anno circa 20.000 elefanti africani vengano sterminati dai cacciatori di frodo. Il primo intervento normativo di rilievo per cercare di fermare questa carneficina è datato 1989, quando la Convention on International Trade in Engangered Species, abbreviata in Cites, chiuse il mercato internazionale dell’avorio. Naturalmente quella che era stata annunciata come una fine definitiva si tramutò piuttosto in una pausa momentanea.

Nel 2007, infatti, venne reso possibile a Namibia, Sudafrica, Botswana e Zimbabwe di vendere, soprattutto a Cina e Giappone che sono i maggiori acquirenti, le scorte di avorio realizzate negli anni: in teoria si tratta di materiale raccolto da elefanti morti per cause naturali o di vecchiaia, ma in realtà questo ha permesso ai bracconieri di intensificare le loro attività illegali, uccidendo e depredando quanto più possibile, mescolando il naturale con l’artificioso.

L’Europa che prende (poco) posizione

La situazione in Europa è leggermente diversa ma altrettanto pericolosa, e necessita un’adeguata normativa. Attualmente, infatti, sono permessi liberamente solo il commercio e la lavorazione di avorio acquistato e “prodotto” prima del 1947, mentre è completamente proibita la compravendita di materiale successivo al 1990. Infine, riguardo quanto prodotto tra il 1947 e il 1990, è possibile un utilizzo commerciale ma solamente previa una documentazione dettagliata. Nel 2017 la Commissione Europea ha pubblicato un documento al fine di cancellare l’esportazione dell’avorio da parte degli Stati membri.

Le problematiche maggiori inerenti a queste politiche, tanto europee quanto quelle della Cites, consistono nel permettere una zona grigia normativa che i trafficanti sfruttano, rendendo legale ciò che non dovrebbe essere: il mercato nero, infatti, è vivo e vegeto, consapevole di poter trafficare avorio strappato a elefanti teoricamente tutelati che viene poi fatto passare per materiale di provenienza datata o recuperato in seguito a morte naturale.

Occorre naturalmente ricordare che questo enorme mercato internazionale criminale provoca instabilità militare e politica nelle aree in cui agiscono le bande di bracconieri, favorendo un finanziamento economico importante nelle casse di guerriglieri, terroristi o “semplici” banditi più o meno organizzati.

Il 2017 come anno della svolta?

Se il problema in questi anni non ha subito arresti decisivi e il peggioramento delle condizioni climatiche ha favorito la possibile estinzione degli elefanti, è bene osservare come, dal 2017, diverse iniziative normative eterogenee stanno cercando di intervenire in materia, portando, ad oggi, risultati positivi.

Regno Unito e USA hanno messo in atto misure volte al quasi totale blocco del commercio di avorio, prevedendo solamente poche e documentate eccezioni. Hong Kong, che è il più grande mercato per questo bene al mondo, ha stabilito di volere eliminare entro tre anni il commercio d’avorio. Ma la novità più importante riguarda il divieto di commercio dell’avorio imposto dalla Cina nel 2017, che ha avuto un impatto fortemente positivo.

Stando a quanto riportato da diverse ricerche internazionali, infatti, la Cina fino al 2015 era il destinatario finale di più del 50% delle spedizioni d’avorio globali. Oggi la volontà di acquistare tale materiale si è fortemente ridotta, pur restando viva una domanda (e un’offerta) nel mercato illegale. Un primo passo, comunque, è stato fatto nella giusta direzione.

L’UE e la necessità di una normativa più stringente

Una grossa responsabilità pesa sulle spalle dell’Unione Europea. Con la sua normativa estremamente porosa e facilmente aggirabile, invero, l’avorio e gli elefanti non sono assolutamente tutelati, tanto che oggi, con la restrizione portata dalle norme cinesi, il mercato del Vecchio Continente sembra aver assunto un ruolo di primo piano. Per poter fermare il fenomeno alla radice, consentendo di ammirare gli elefanti nei loro habitat naturali e non solo in disegni nei libri per bambini, occorre una legge definitiva, chiara e che non permetta equivoci.

Nel mondo del nuovo millennio, sempre più dominato dalla tecnica, dalla produzione e dall’economia, i cui valori sono unicamente la maggior resa possibile a fronte del minor impegno possibile, occorre che la politica, così come l’etica, si facciano strada nella società. Sono le leggi ad avere il compito di guidare i cittadini verso il futuro, un futuro che deve essere scelto secondo i bisogni degli uomini e non delle nostre strutture economiche. Saper prendere una decisione che in modo definitivo salvaguardi dei valori in quanto tali, in questo caso la non estinzione degli elefanti a causa del commercio delle loro zanne ricche d’avorio, e non seguendo logiche di mercato, è la vera natura della politica, della Democrazia.

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