Migrante

Il viaggio antropologico del migrante

Strabilianti viaggiatori! Quali nobili storie
leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare!
Mostrateci gli scrigni delle vostre ricche memorie,
quei magnifici gioielli fatti di stelle e di etere. […]

Diteci, che avete visto?

Il viaggio di Baudelaire è una poesia delirantemente lucida. Sono i condannati coloro che intraprendono il viaggio di cui scrive il poeta francese: viaggiano, si smarriscono in luoghi che non conoscono, non sanno che cosa succederà e non sanno nemmeno chi incontreranno.

Questo lungo viaggio poetico assomiglia al percorso delle tante persone che oggigiorno si ritrovano a dover attraversare il Mediterraneo. L’astratto protagonista qui descritto dall’autore dei Fiori del male è un viaggiatore moderno, che vuole sì salvarsi, ma che desidera anche vedere. Per mezzo di una barca scappa, vede e si salva. Ma chi è esattamente questo viaggiatore moderno?

Chi è il viaggiatore moderno?

Il Mediterraneo è stato a lungo ed è tuttora luogo di migrazioni, un via vai di persone che per i più svariati motivi arrivano o partono (qui per scoprirne di più). Ad oggi, sembra che il significato del termine “migrante” sia associato ai profughi. In realtà, sebbene la parola “profugo” rientri in suddetto concetto, la definizione di migrante non si riduce a esso. Viene definito profugo una persona che si vede costretta “ad abbandonare la propria terra, il proprio paese, la patria, in seguito a eventi bellici, a persecuzioni, oppure a cataclismi”. Migrare ha invece un significato più ampio, che è quello generico di “andare via”, comprendente dunque anche quello di profugo.

In questo articolo si cercherà di mostrare che cosa significa “fare un giro lungo”, ovverosia analizzare, se non il senso profondo, almeno la ricchezza portata e acquisita da chi migra, una ricchezza da intendere non in senso meramente materiale, bensì in senso umano: una ricchezza che portano al Paese in cui giungono e che acquisiscono dallo stesso. L’obbiettivo è quindi quello di contrastare l’opinione diffusa secondo la quale i migranti altro non sono se non profughi che rubano il lavoro o rovinano la terra in cui migrano.

Andare via

Andare via deriva da emigrare, –ex migrare.

Se emigrare significa andare via, allora il senso comunemente diffuso è sbagliato. L’immigrato va via da casa sua e migra qui; allora l’immigrato non è solo il profugo. L’immigrato è lo studente Erasmus, è chi svolge la tesi o il dottorato di ricerca all’estero, l’immigrato è zio Antonio che apre una pizzeria napoletana a Londra. L’immigrato non è solo il profugo.

Questa precisazione fa riferimento alla diffusa e distorta percezione per cui chi attraversa il Mediterraneo e va da un Paese a un altro è colui che giunge irregolarmente in una delle nazioni del continente europeo per chiedere protezione internazionale. Una tale definizione non tiene conto della realtà. Certamente il concetto di migrante include le migrazioni forzate, ma non si limita a questo, l’abbiamo detto: motivi legati allo studio, al lavoro, alla famiglia e tanti altri.

Ma che cosa vuol dire veramente essere un migrante? O forse sarebbe meno pretenzioso provare a rispondere alla domanda “che cosa vuol dire vivere da migrante?”. Un migrante va via dal posto in cui vive e giunge in un posto che non conosce, “discendere l’Ignoto nel trovarvi nel fondo, infine, il nuovo”. Questo è Baudelaire che con una semplice, breve e densa frase ci regala un significato più sontuoso che mai: l’inconosciuto non è un problema, bensì una possibilità di arricchimento spirituale. Colui che emigra è una ricchezza per chi lo riceve, così come il Paese in cui viene accolto è per lui una fonte di novità.

Fare il giro lungo

Questa novità non è un giudizio di parole costituite dal nulla, si chiama bensì antropologia. Lo studio sull’uomo (antropos, uomo e logos, discorso, studio) si nutre e connette diversità e molteplicità. Bisogna fare un giro lungo, proprio come fa chi attraversa il Mediterraneo: è l’abbandono dell’ordine e l’incontro con il caos, il disordine, il diverso. E se nel diverso ci sono le differenze, queste non sono da considerarsi come fenomeni alteranti il sistema, bensì come parte di esso. Ed è per questo motivo che vanno strettamente tenute in considerazione.

È Edward Tylor, famoso antropologo britannico, a parlare di giro lungo. Con questo, egli descrive la relazione fra la coppia terminologica ordine-mucchio. Il mucchio migra verso l’ordine e, in questo modo, il mucchio entra in una relazione di connessioni con l’ordine e si viene a creare così un nuovo ordine.

Secondo Kluckhohn, la dimensione del ritorno implicata in questo giro lungo concorre a formare l’immagine antropologica; in secondo luogo, rappresenta il momento di elaborazione di legami teorici che permette di uscire dal mucchio; in terzo luogo e allo stesso tempo, è una riconsiderazione inevitabile della nostra società. Ciò significa che il mucchio non porta disordine, ma non conferma nemmeno l’ordine precedente, bensì si trasforma in una configurazione nuova con un più denso significato.

La configurazione appena descritta è l’immagine della nostra umanità, che cambia in continuazione e cambia grazie ai nuovi frammenti che man mano si aggiungono. Non vi è mai un ritorno all’ordine di partenza, perché il giro lungo non termina mai. Il giro lungo è l’elogio alla marginalità, al disordine, è la scommessa sulla capacità di cogliere le relazioni più nuove e più rilevanti. La capacità sta nella disponibilità al mutamento. Il discorso sull’umanità è tanto più articolato quanto più è largo il giro; al contrario, tanto più il giro è corto tanto breve e generalizzato sarà il logos. Ancora, tanto più ascoltiamo e osserviamo la molteplicità dei sensi delle vite umane, tanto più ci arricchiamo vicendevolmente; al contrario, tanto più ci fermiamo ai pregiudizi, tanto più rimaniamo poveri, umanamente e spiritualmente.

L’essenza del viaggiare

Per chi emigra o per chi fa un giro lungo antropologico la dimensione del viaggio è imprescindibilmente presente. E quando si viaggia, necessariamente si osserva: ci si guarda intorno, si svolgono delle investigazioni.

Dal greco historèo, l’investigazione implica domande, interrogazioni e osservazioni. Erodoto considerava il vagare equivalente alla saggezza: l’amore del saper guardare altri paesi, altre culture. In poche parole, conoscere: una conoscenza che si articola nel rapporto con l’altro, in un conoscerlo e in un conoscersi. Ed è questa la grande fortuna umana.

Dunque viaggiamo e, viaggiando e conoscendo, creiamo la nostra personalità. Il viaggio di ognuno di noi determina il nostro particolare racconto, è la nostra particolarità. E questa particolarità non è da intendersi come la norma. Non è la regola contrapposta alle stranezze degli altri, o peggio, alla barbarità dei costumi del diverso, dell’immigrato, di colui che è differente da noi.

L’altro

Siamo tante particolarità che insieme formano una molteplicità – ordine e caos. Ed è la consuetudine che spinge l’essere umano a indebolire la sua particolarità, rendendola, appunto, un canone. Omologando caratteristiche umane pretenziosamente simili, si tende a escludere la differenza e dunque ad affievolire non solo gli altri, ma anche e inconsapevolmente, se stessi.

Eppure, nella storia del Mediterraneo e non solo, l’uomo si è sempre spostato come migrante da un Paese all’altro. Si pensi solo agli abitanti dell’Italia meridionale che salirono al Nord nella seconda metà del Novecento, ma si pensi anche ai ricchi aristocratici che nel XVII secolo intraprendevsno il Grand Tour, ma ancora più indietro nel tempo ai pastori nomadi erranti.

L’incontro con l’altro c’è sempre stato e ha aiutato la specie umana a conoscersi a e progredire. La definizione della propria individualità passa attraverso un processo di analogia e differenza con l’altro. In questo modo si nota sì la differenza, ma si crea anche l’unitarietà. E quest’ultima non è da intendersi come costituita da sostanza mobile, fissa, stabile bensì in processo di relazioni e connessioni. Il giro lungo non torna mai al punto di partenza, poiché il giro non termina mai, ma è in constante movimento: la differenza è parte integrante di esso, la differenza è parte di noi, è la nostra ricchezza.

Per una riflessione

Può essere una fonte di conoscenza, una possibilità rinnovata di guardare il mondo, uno spunto per una nuova riflessione socialmente utile, in ogni caso, in questo articolo, attraverso un approccio e un appoggio filosofico e antropologico, si è cercato di mostrare un nuovo lato del migrante, ciò che spesso e troppo spesso passa inosservato sotto l’occhio del pregiudizio comune: la ricchezza dell’incontro con l’altro. Ci si distacca dall’opinione diffusa circa questa figura (ovverosia del diverso come pericolo e disordine) e si prova a esplorare un aspetto meno circoscritto, più globale, più umano. Si è cercato di mostrare come il confronto con il diverso può voler dire in realtà avere la capacità di aprirsi, al mondo e a se stessi.  Attraverso la dimensione differenziale e analogica, è una ricchezza riuscire a uscire dai propri miti, essere orfani erranti e finire per sentirsi a casa nel mondo, ma anche avere la capacità di rimpicciolirsi costì tanto da raggiungere la profonda conoscenza del sé.

FONTI

C. Baudelaire, Il viaggio

WordReference

Treccani.it

F. Remotti, Noi primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Bollati Boringhieri, (TO), 2009

CREDITI

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Un commento su “Il viaggio antropologico del migrante”