Descrivere Antonia Pozzi, questo personaggio enigmatico, non è semplice. Riassumere la sua breve ma intensa esistenza in una manciata di righe ancor meno. Racchiudere il senso e la profondità della sua vita in un articolo quasi impossibile. Il suo mondo visto con i suoi occhi sarebbe senz’altro stupefacente, quasi un’opera teatrale, talvolta commedia, talvolta tragedia, non importa. Per questo, e per rendere giustizia ad Antonia, sarebbe bello raccontarla dividendo la sua vita in atti.
Atto primo
Lampi
Stanotte un sussultante cielo
acuisce a sprazzi vividi
il mio desiderio insonne
e lo fa duro e lucente
come una lama d’acciaio.
Margherita, 23 giugno 1929
Antonia Pozzi è il nome sempre troppo poco ricordato di una grande poetessa del Novecento. Figlia di un avvocato milanese e un’aristocratica contessa, Antonia nasce a Milano nel 1912 e cresce in un ambiente culturalmente raffinato e vivace. Da sempre fu indirizzata verso una vita di studi e tenuta a distanza dalle distrazioni che la sua giovane età poteva comportare. Coltiva sin dall’infanzia un grande amore per la montagna come testimoniano le tante fotografie che di lei ci rimangono.
Dopo una prima istruzione di base si iscrive al Liceo-ginnasio Manzoni di Milano, dove coltiva la passione per le parole, per il latino e il greco e per la poesia. Inizia prematuramente, nel 1929, la sua attività poetica. Dai suoi primi scritti traspare l’entusiasmo di una giovane donna alla scoperta del mondo nella Milano del tempo, affascinata da un ambiente tanto colorito come quell0 liceale.
Atto secondo
Negli stessi anni nasce l’amore che segnerà tutta la sua esistenza: quello per Antonio Maria Cervi, il professore delle sue materie predilette. Non l’aspetto esteriore, né particolari discendenze nobiliari la faranno innamorare di lui. Si invaghirà della sua straordinaria cultura senza fine. Dietro la severità dell’insegnante trova un mondo a lei così dolcemente affine: la passione per il sapere, l’amore per l’arte, la poesia, la magnifica semplicità della natura. Il fascino iniziale si trasforma in un’intensa passione, che sembra non dover finire mai.
Come ogni storia travolgente avrà un finale tragico: il padre di lei ostacola sin dall’inizio l’infelice unione e fa rinunciare la figlia al proprio sogno di vita, allontanando in ogni modo il professore.
Vuoto
Per A.M.C.
Ieri sera le stelle
erano fitte come i battiti del mio orologio.
Questa sera sono cadute tutte nella strada:
ingigantite dalla vicinanza, noi le chiamiamo lumi.
Su non rimane
che qualche briciola rada,
qualche minuzzolo smarrito
nella vastità immota:
il cielo è cieco e stupito
come una tazza vuota.
Ed io guardo all’azzurro irraggiungibile,
per non guardare a quello che ho compiuto,
e mi allontano da te
come un pezzo di carne insensibile,
senza piangere, senza gridare:
io che non so neppure pregare
pel tuo fratello caduto.
Milano, 30 maggio 1929
Atto terzo
Scena prima
Se da una parte il distacco dalla persona amata sarà per lei estremamente doloroso, dall’altra diventerà spinta per l’intensificazione dell’attività poetica. L’affetto per il professor Cervi non svanirà mai e quell’amore resterà un segno indelebile nella sua breve ma tormentata vita: si illuderà di altri amori, progetti, passioni, ma nessuno sarà paragonabile a quello provato nei tempi giovanili.
Nel 1935 si laurea con una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert. Da quel momento decide di viaggiare, visitare quelle zone che costituivano il centro d’interesse suo e del suo vecchio amore: una crociera nelle terre di Grecia, Sicilia e dell’Africa mediterranea. In seguito viaggerà tra Austria e Germania, ma questo non servirà a placare quel crescente dramma esistenziale che la ancora giovane Antonia sta vivendo.
Scena seconda
Brezza
Mi ritrovo
nell’aria che si leva
puntuale al meriggio
e volge foglie e rami
alla montagna.
Potessero così
sollevarsi
i miei pensieri un poco ogni giorno:
non credessi mai
spenti gli aneliti
nel mio cuore.
8 giugno 1935
Diventa “maestra” in fotografia nel tentativo di cogliere il “sentimento nascosto” dietro alle cose, alle persone, alla natura. Nella ricerca di un senso, Antonia cerca di conferire a tutto ciò su cui posa lo sguardo quell’eternità che la realtà neppure permette di immaginare. Ne fa la sua missione di vita: attraverso la poesia, attraverso la fotografia. Inizia a insegnare nel 1937 presso l’Istituto Tecnico Schiapparelli. Sempre alla ricerca di quel senso comincia con un’amica l’impegno sociale a favore dei poveri, ma nemmeno così riuscirà a trovare quel che cerca. Svariati progetti si susseguono, ma non vengono portati a termine. E, ancora una volta, la ricerca di un senso all’interno del suo dramma esistenziale porta lei e noi al tragico epilogo di questa breve vita: ai soli ventisei anni Antonia Pozzi si toglie la vita mediante ingestione di barbiturici. Era una sera nevosa di dicembre del 1938.
Nel biglietto di addio che lascia ai suoi genitori parla di una “disperazione fatale”, ma ovviamente le circostanze della sua morte sono occultate dalla famiglia per non infangarne il nome. Dichiarano sia stata una polmonite a portare via Antonia, che ancora aveva così tanto da imparare sulla vita. Il suo testamento viene distrutto dal padre che censura e manipola anche moltissime sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora inedite.
Così volge al termine la vita di Antonia Pozzi, il 3 dicembre 1938. Non possiamo dire se questo ai suoi occhi fosse il finale più adatto per una sensibilità vissuta così intensamente. Di certo possiamo però dire che questo è stato il finale che lei ha scelto.
La poesia
La poesia di Antonia Pozzi è una dichiarazione di solitudine che sconfina in un’unica struggente poesia d’amore che varia con lei durante tutta la sua vita. L’entusiasmo giovanile e l’euforia per la natura e l’esistenza cedono il passo all’arrendevole passione delle sue confessioni e la romantica rassegnazione della vita adulta. I versi riassumono un sentire di sacrificata sensibilità.
Parte dal crepuscolarismo di Sergio Corazzini cogliendone l’autenticità, la stessa tanto agognata in vita sua e mai raggiunta. I paesaggi desolati e le atmosfere inquietanti sono chiara influenza dell’espressionismo tedesco. Della poesia scrisse una volta in una lettera che “ha questo compito sublime: di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci rimbalza nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella celeste vastità del mare“. Montale a posteriori apprezzò di lei l’asciuttezza ermetica, mentre l’inglese T. S. Elliott ammirò le sue poesie per la loro musicalità e purezza di spirito.
La poesia visiva di Pozzi testimonia l’inquietudine dell’esistenza umana vista dagli occhi di una giovane donna schiacciata dal peso di una società che non sapeva avanzare. Quell’esistenza colma di desideri e di illusioni. Il destino della poetessa non ha via d’uscita se non nell’unico finale possibile segnato così disperatamente, dopo tanta ricerca, dalla consapevolezza che colmare quel vuoto interiore le era impossibile.
FONTI
Tu sei l’erba e la terra, Antonia Pozzi, Garzanti, 2020