Antonio Latella porta in scena al Piccolo Teatro Hamlet, una regia che ripropone il celeberrimo testo shakespeariano: Amleto. La sfida del regista e la sua pretesa di ritornare a lavorare su tale testo teatrale ogni dieci anni sembrano aver condotto a pieno successo. Il teatro, pieno nel rispetto delle norme di sicurezza a causa della pandemia, sembra essere rimasto estasiato dall’interpretazione del capolavoro.
Lo spettacolo, la prima produzione del Piccolo Teatro di Milano firmata Antonio Latella, mette in scena il testo di Amleto in modo integrale, conservando sia le scene minori che quelle spurie. Da qui la scelta di dividere la performance in due appuntamenti differenti (la prima parte a questo link). Il pubblico resta così ben concentrato, in grado di seguire attentamente l’intera durata dello spettacolo (circa sei ore). Latella sceglie di utilizzare la morte di Polonio (corrispondente alla fine del terzo atto) come elemento di cesura per dividere le due parti di spettacolo.
La regia
La scelta risulta effettivamente efficace, anche dal punto di vista della regia. In effetti la seconda parte vede un incredibile aumento del ritmo, un maggior utilizzo della musica e del microfono. Lo spettacolo sembra più “urlato”, gridato a squarciagola e con voce strozzata. Latella inserisce molto più pathos ed emozione. Tale incremento di ritmo è in effetti evidente anche nel testo originale di Shakespeare, così come è principale caratteristica di tutti i testi teatrali.
Il teatro classico e shakespeariano presentano infatti una partenza moderata che consente ad attori e pubblico di immergersi nell’atmosfera dello spettacolo, per poi incalzare a livello ritmico nella prosecuzione nella storia. Nell’Amleto è la fine del terzo atto a rappresentare il momento di cesura: l’inizio della fine. La morte di Polonio rappresenta infatti solo la prima di un susseguirsi di terribili stragi che condurranno alla morte della totalità dei personaggi, con l’unica eccezione di Orazio.
Acqua e Terra: sul palco gli elementi primordiali
La scenografia resta identica alla prima parte di spettacolo: una botola al centro, ormai scoperta, lascia trasparire dell’acqua. Sarà il letto di morte di Ofelia, la giovane suicida. Latella sceglie di rappresentare la morte della fidanzata di Amleto in modo sobrio ed elegante, quasi minimale. Non ci sono infatti sfarzi e grandi gesta: le azioni, anche se importanti e pregne di tragicità, si risolvono nell’essenza, e non nella rappresentazione. L’attrice infatti si tuffa nella botola piena d’acqua e inizia a galleggiare come una morta. Pochi gesti semplici, ma evocativi, che interrogano lo spettatore e lo stimolano nell’immaginazione: quali sentimenti? Quali emozioni? Quali gesti? Latella rappresenta il nucleo dell’azione, per lasciare al pubblico l’abbellimento scenografico.
Durante l’atto quinto invece la botola si riempie di terra: è un cimitero, il luogo in cui viene seppellita la suicida e ambientazione della famosa ma contestata “scena dei becchini”. Accanto al realismo scenografico, Latella propone due becchini piuttosto neutri, poco impattanti da un punto di vista fisico. Ciò contraddice la tradizione in cui il personaggio del becchino è associato a un clown. Nonostante venga conservata la comicità della scena, il regista ripropone uno stile minimale, attento ai dettagli ma non eccessivo da un punto di vista estetico.
Acqua e terra sembrano essere gli elementi caratteristici degli ultimi due atti della tragedia. Lo spettacolo sembra dunque una riconduzione agli elementi primordiali, al nucleo e all’essenza della vita, ma anche della morte. Così, l’acqua, ambiente in cui nasce la vita, in Amleto è causa di morte della bella Ofelia e la terra, fonte di nutrimento, accoglie i corpi dei morti.
Il duello finale: l’irrappresentabilità del teatro
Allo stesso modo appare sconcertante e straordinariamente impattante la scelta di raccontare, e non rappresentare, la fine della tragedia. Il duello finale Amleto-Orazio non si vede infatti sulla scena, ma si può solo ascoltare. Orazio, a leggio, recita le battute dei personaggi. Sono gli spiriti che aleggiano nell’aria a ricordare la presenza dei personaggi e la magia del teatro ne consente una rappresentazione. Così, se la scena finale dell’Amleto risulta irrappresentabile, non resta che ascoltare le parole del poeta, davanti a una platea di personaggi morti.
Orazio ricorda molto un prete che celebra la messa e l’intero spettacolo assomiglia a un funerale. Latella mette in scena una estrema unzione, ma d’altronde si tratta di una strage, quella di Amleto. Così, vestiti a lutto, i personaggi vagano nello spazio del teatro alla ricerca della loro identità scenica, della loro essenza di attori, oltre che di anime teatrali.
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