Una persona saggia mette un pizzico di zucchero in tutto quello che dice agli altri, e ascolta con un grano di sale tutto quello che gli altri dicono.
Proverbio Tibetano
Materia cristallina ed enigmatica, fautrice di gesti apotropaici e protagonista di una storia biblica. Questa è la magia del sale, fattore indispensabile di sostentamento, fin dai tempi in cui il lavoratore ne veniva pagato in sacchetti. Il sale ha e dà vita, lo sa bene l’artista israeliana Sigalit Ethel Landau, che da anni gioca con questa soluzione chimica per creare strabilianti oggetti di design.
Alcuni sogni ci raccontano una storia, altri possono diventare realtà. Ci sono anche desideri che si evolvono nel tempo e trovano la loro strada verso l’inedito futuro.
Un’infanzia suggestiva
Le origini di Sigalit Landau trovano dimora in un paesaggio molto suggestivo in cui crescere. Ma, dopo un’infanzia trascorsa fra le colline che si affacciano sul deserto della Giudea e il Mar Morto, l’artista si trasferisce con la famiglia prima a Philadelphia e successivamente a Londra, incontrando le grandi metropoli. Una volta laureata alla Bezalel Academy of Art and Design di Gerusalemme, l’artista comincia ad esporre le proprie opere a partire dal 1994, partecipando a due mostre collettive a tema nomadismo.
Nella prima, Transit, decide di utilizzare come sito per le installazioni il quinto piano della stazione centrale degli autobus di Tel Aviv, oramai abbandonata e usata come nascondiglio dai senzatetto. Export Surplus, invece, si rivela una vera e propria mostra di strada, in cui la multidisciplinare Landau è intervenuta con ricercatezza e originalità, conformemente alla propria poetica esistenziale, sempre alla scoperta di materiali nuovi e vitali che facciano da collante fra gli opposti.
Il container del deserto
Sigalit Landau si esprime attraverso una vasta gamma di forme d’arte che vanno dalla scultura, al video site-specific, alle fotografie fino alle performance. Utilizza articoli e materiali più disparati, tra cui sale, zucchero, carta e oggetti pronti. Così è riuscita a creare sia installazioni indipendenti su larga scala, che accurati ambienti inclusivi, capaci di cambiare totalmente gli spazi in cui lavora.
Un esempio è Resident Alien, del 1997, realizzato per il progetto collettivo Documenta X. Con lo scopo di ricreare un paesaggio analogo al deserto della Giudea, l’artista decide di deformare il pavimento di metallo di un container marittimo, utilizzando calore e martellamenti, così da definire via via delle simil dune. Ai visitatori, inoltre, è stata data l’opportunità di entrare nel container e interagire con l’ambiente e la musica, proveniente da una piccola radio appesa in un angolo del soffitto.
Le sue complesse produzioni, poi, mettono in luce temi molto attuali, come l’identità femminile e l’esperienza corporea, lo sfruttamento economico della natura e le complesse questioni di giustizia. Abbracciano argomenti come l’esilio, l’Olocausto, la situazione politica in Israele e la violenza strutturale. Sempre gettando uno sguardo approfondito sulla condizione umana, motivo chiave della propria attività artistica.
La rievocazione è sia il mio punto di partenza che quello di svolta, tornare indietro, avanti e indietro, desiderando senza fine per svelare i ricordi della mia famiglia sulla riva.
Tra contemporaneità, provocazione e coscienza
In una dicotomia di realismo e simbolismo, aggressività e innocenza, le sfaccettate opere di Landau tendono spesso a concentrarsi sull’elemento della circolarità. E, seguendo la migliore tradizione Duchampiana, a riutilizzare oggetti trovati per produrre sculture, a loro volta integrate in performance e video da lei girati e di cui molto spesso è protagonista.
Barbed Hula, ad esempio, vede l’artista, nuda su una spiaggia di Israele, eseguire una danza con un hula hoop di filo spinato, provocandosi ferite sempre più profonde. Gli echi dei campi di concentramento sono soltanto la punta dell’iceberg del profondo concetto che sta alla base di questa spaventosa e scioccante coreografia. Esaminandola più a fondo, infatti, si può notare che l’acuminato filo ha le spine rivolte verso l’esterno, quindi non si spiegano né le ferite né il sangue che scorre ininterrottamente sul corpo della donna.
Almeno fino a quando non interviene la stessa Landau, spiegando che l’origine delle ferite inferte, proviene dalla società in cui viviamo, nel momento in cui ci impone di creare un nostro proprio ghetto, che siamo obbligati a difendere. E nel farlo, molto spesso, ne usciamo profondamente feriti.
Basta un poco di zucchero e…
La figura di Sigalit Landau è quindi traducibile al tempo stesso in performance, improvvisazione e a volte in esplicito riferimento agli eccessi del consumismo. Come in Thread Waxing Space, per cui l’artista decide di trasformare una fabbrica tessile dei primi del Novecento, in un vero e proprio cratere di zucchero filato, all’interno del quale si esibisce facendo girare intorno a sé e al pubblico le fibre di zucchero, al ritmo della musica di Arab-Snow. Ma non è solo il presente a stimolare la sua arte, quanto le memorie personali, come rivela questa sua dichiarazione:
Guardare il Mar Morto e lavorare a Sodoma è un viaggio continuo, un rituale di guarigione, che affonda le radici nella mia infanzia. Il disorientamento che questo comporta è diventato per me uno stile di vita.
…un briciolo di sale del Mar Morto
Le sue creazioni, alcune particolarmente commoventi, rivelano un forte legame con la propria terra nativa di Israele. In particolare, grazie all’utilizzo del luogo della tradizione culturale israeliana per eccellenza, situato nella depressione più profonda della Terra. Il Mar Morto, in ebraico Mare di sale, le cui placide rive altamente salate non hanno mai mostrato nessun segno di vita. Almeno fino all’arrivo della nostra progettista.
DeadSee ne è una dimostrazione. Si tratta di una ripresa video dall’alto, che vede l’artista ben assicurata all’interno di una zattera a forma di spirale, composta da 500 angurie. Tenute assieme da una corda galleggiante sulle acque del Mar Morto. Mentre il dolce succo dei frutti si mischia con le acque salatissime del lago, l’artista fluttua con un braccio teso verso di loro, rivelando una dopo l’altra le ferite rosso sangue presenti sulle angurie.
Lentamente poi, la corda si srotola, dispiegando la forma del nautilus e lasciando la superficie del mare di un azzurro quasi monocromatico, con il solo corpo dell’artista completamente esposto al contatto con l’acqua salina. L’utilizzo delle angurie e la loro metamorfosi per mano della salinità sono servite all’artista per esprimere una complessa e potente metafora legata all’ambiente che circonda Israele. Così ostile e instabile da eliminare ogni specificità, senza che lo Stato stesso abbia uno scatto di orgoglio, rendendosi conto di ciò che sta avvenendo.
Il ritorno salino in Salt Years
Congelate, ma concepite dal sole del tramonto e dalle acque infuocate, le sculture sono per me come testimonianze archeologiche personali cristallizzate e immortalate.
A partire dal 2004, l’atmosfera desertica e surreale del Mar Morto, assieme alla sterilità e galleggiabilità delle sue acque salate, sono diventate un motivo rituale nell’arte di Landau. Di particolare impatto sono i suoi “battesimi” di oggetti mondani, creati in decenni di lavoro e successivamente esposti al Museum der Moderne di Salisburgo nella serie Salt Years.
Reti da pesca, violini, abiti, arredi ed effetti personali dell’artista, vengono immersi per mesi nello specchio d’acqua ipersalino del Mar Morto. Fino a quando, ricoperti da cristalli di sale, si trasformano in oggetti dalla bellezza inquietante e poetico simbolismo, svelando la componente divina da sempre insita nella natura.
Utilizzando l’elemento di conservazione di oggetti per eccellenza, in un ambiente geograficamente sterile, l’artista israeliana invita gli spettatori a intraprendere un viaggio nel campo della memoria, privata e collettiva. Gli oggetti diventano così simbolo della speranza di una futura convivenza pacifica di religioni, culture e visioni del mondo.
Potentemente commovente, profondamente poetico e intrigantemente simbolico
Così l’artista lancia un ultimo sguardo alla perdita della realtà israeliana contemporanea con le Salt Installations, che assicurano un’autentica esperienza trascendentale. A partire da De Deux, un tutù cristallizzato e fissato su una barella; Sepulcher, un raggruppamento di teschi di bestiame ricoperti di cristalli di sale; Strand, paralumi e spirali di filo spinato rivestiti della medesima soluzione salina.
La magia di un abito da sposa
Tuttavia, l’opera dalla metamorfosi più strabiliante, tale da diventare virale sul web per la sua bellezza estetica e forte carica poetica è senza dubbio Salt Crystal Bridal Gown o Salt Bride. Si tratta di un abito di tessuto nero, appartenente alla tradizione chassidica, un movimento ebraico nato nel XVIII secolo e basato sul rinnovamento spirituale, immerso e trasformato in un vestito bianco e lucente, interamente ricoperto di sale.
L’opera site-specific ha coinvolto un numero consistente di collaboratori, per edificare tettoie e impalcature, metà subacquee e metà in emersione, con corde e pesi a contrastare la resistenza dell’elevata salinità dell’acqua che porta a galleggiare gli oggetti. Partecipazione decisamente significativa è stata quella del fotografo Yotam From, che ogni tre mesi, immortalava la progressiva cristallizzazione del progetto-vestito, restituendo infine delle foto di grandezza uniforme all’abito stesso.
Gli uomini discutono, la natura agisce
Dopo due anni, il processo naturale di scultura, svoltasi senza alcuna influenza o intervento umano, ha tramutato il funereo abito, simbolo di morte e di follia, in un candido abito da sposa, emblema di candore, finezza e di speranza. L’abito, infatti, è ispirato a quello indossato dalla protagonista femminile della commedia novecentesca The Dybbuk, mentre lo spirito del defunto amante si impossessava della sua anima.
Il “battesimo” della Landau ha, quindi, un valore performativo e cerimoniale pari a quello dell’esorcismo, grazie ai cristalli di sale che gradualmente aderiscono al tessuto e lo trasformano in quello che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio della drammatica storia. Un luccicante abito da sposa, che poi darà il titolo all’opera.
Perfetta sintesi tra scultura, fotografia e processi naturali, nonché singolare simbolo di purificazione, Salt Bride, è riuscito a riabilitare un luogo mortifero e di conflitto come il Mar Morto, trasformandolo in un vessillo di vitalità e rinascita, capace addirittura di trasformare un oggetto di uso comune in una strabiliante opera d’arte.
Il messaggio di speranza di Sigalit Landau
Imparando ad accettare enigmi e contraddizioni, e cambiando prospettiva, il mondo può, come per magia, rivelarsi improvvisamente.
Senza alcun vincolo a concetti esistenti e con la flessibilità e l’immaginazione proprie di un bambino, Sigalit Landau è riuscita a riformulare l’ambiente e l’esistenza umana nel suo complesso. In un’era di ansia e prospettive future sfuggenti, l’artista aspira a riscoprire le profondità arcane del mondo e il potenziale intrinseco degli esseri umani. Cerca, inoltre, di realizzare il proprio sogno utopistico di un Salt Crystal Bridge, che funga da punto d’incontro fra le nazioni di Israele, Giordania e Autorità nazionale palestinese.
Non resta che augurarle un’evoluzione curativa e visionaria che, come il sale, sostenga l’essenza della vita e allo stesso tempo curi dolorosamente le ferite.
CREDITS
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