Il razzismo in Italia: il caso di Seid Visin

Chi è Seid Visin?

Seid Visin era un giovane ventenne italiano di origini etiopi. La storia di Seid non è qualcosa di mai sentito prima d’ora. Il ragazzo è nato in Etiopia ed è stato successivamente adottato in Italia a 7 anni. Ha vissuto gran parte della sua vita a Nocera Inferiore, in provincia di Salerno.

Il giovane ragazzo era appassionato di calcio, infatti aveva giocato nelle squadre giovanili dell’Inter e del Milan, nonostante avesse poi abbandonato il mondo sportivo per motivi personali.

Il suicidio di Seid Visin ha destato molte reazioni, soprattutto politiche, perché è (tristemente) l’emblema di ciò che l’Italia rappresenta per molte persone: un Paese che tratta come estranei i suoi stessi cittadini (e mi riferisco sia alle persone di origini straniere con cittadinanza italiana e sia quelle senza cittadinanza che hanno vissuto la maggior parte della loro vita in Italia).

Le reazioni alla scomparsa di Seid

L’attenzione mediatica che ne è sorta è dovuta principalmente alla lettera di Seid (datata al 2019) che il “Corriere della Sera” ha pubblicato. Nella lettera, il ragazzo denunciava di essere vittima di razzismo. I genitori di Seid hanno subito chiarito come non si trattasse di una lettera inviata alla famiglia e alla psicoterapeuta, ma che in realtà fosse un post che il ragazzo aveva pubblicato su Facebook.

La posizione dei genitori di Seid è che il razzismo subito non è la causa del suicidio. Questa linea è stata presa anche dall’allenatore della squadra di Seid, Antonio Francese. Quest’ultimo ha dichiarato che il giovane fosse perfettamente integrato e pertanto escludeva che Seid fosse effettivamente stato vittima di razzismo a Nocera Inferiore.

Molte reazioni, innanzitutto, nel mondo calcistico. I club del Milan e dell’Inter hanno infatti espresso la loro vicinanza alla famiglia del ragazzo attraverso i loro social media. In particolare, risaltano le parole di Gigio Donnarumma, attualmente portiere del Milan e della nazionale italiana. Donnarumma era stato nella giovanile del Milan con Visin, i due erano stati anche compagni di stanza. Su Twitter, il calciatore del Milan dichiara:

Non ci sono parole giuste per dire addio a un ragazzo di 20 anni: i nostri pensieri vanno a Seid Visin, alla sua famiglia e a chi gli voleva bene. Ho conosciuto Seid appena arrivato a Milano, vivevamo insieme in convitto, sono passati alcuni anni ma non posso e non voglio dimenticare quel suo sorriso incredibile, quella sua gioia di vivere. Era un amico, un ragazzo come me.

La reazione che ha suscitato più scalpore è stata quella di Claudio Marchisio. In un lungo post su Instagram, il calciatore italiano invita i suoi seguaci a riflettere sul ruolo dell’Italia nel suicidio di Visin.

La lettera come denuncia sociale

La lettera di Seid Visin rappresenta un’intera generazione, quella degli italiani di origine straniera, nati o cresciuti qui ma che ricevono un trattamento discriminatorio.

Nel 2019, Visin scrive di come veniva adorato dagli italiani bianchi quando fosse piccolo, ma una volta cresciuto, è stato subito classificato come “immigrato” e sappiamo che la parola immigrato in Italia comporta trattamenti e atteggiamenti denigratori ed emarginanti.

Seid inizia la lettera accennando allo scenario socio-politico italiano, che purtroppo non è cambiato molto dal 2019. Scrive della sua storia, di come l’atmosfera pacifica che lo circondava quando era piccolo era ora diventata un ambiente tossico, pieno di pregiudizi e che fosse impossibile liberarsi da questo macigno.

In particolare, risalta la sua esperienza lavorativa in un bar. Seid Visin ha dovuto lasciare il suo impego a causa di anziani “bianchi” e il loro rifiuto di farsi servire da lui. Quest’esperienza, racconta Seid, lo ha segnato in quanto lo ha reso estremamente conscio di come gli altri lo percepivano. Tutto ciò lo ha portato a un senso di vergogna per la sua stessa pelle e soprattutto a una “crisi d’identità”, per cui gli altri lo categorizzavano in un modo (immigrato, clandestino, ladro di lavoro) ma lui si sentiva solo un ragazzo italiano di vent’anni che studiava giurisprudenza.

La lettera, successivamente, menziona tra gli altri Casa Pound e Salvini, riflettendo su come la loro politica abbia delle ripercussioni sulla vita quotidiana delle persone. Nonostante persone come Matteo Salvini si definiscano contro il razzismo, non si rendono conto che loro stessi lo perpetuano nelle loro proposte di leggi, nei loro discorsi ai comizi elettorali e nei loro post su Twitter ed Instagram.

Cosa ci insegna questa disgrazia?

I genitori di Seid Visin, come già accennato, hanno subito chiarito che non ci fossero motivazioni razziste dietro il suicidio del figlio. Ed è vero che la depressione è una malattia molto complessa da analizzare, ma la lettera mostra chiaramente l’impatto che il razzismo culturale italiano ha avuto su di lui.

Dobbiamo chiederci: spetta davvero a delle persone bianche decidere se il razzismo c’entra o meno? Le stesse persone che Seid ha associato a simboli razzisti come Salvini e Mussolini? Le parole di Seid sono eloquenti, diritte al punto. Non dovremmo modificarle e cambiare il valore della sua lettera senza prima metterci nei suoi panni.

Non a caso, il suicidio del ragazzo ha immediatamente richiamato l’attenzione delle seconde generazioni. Il vissuto di Seid è tristemente molto comune: gli sguardi schivi, i comportamenti emarginanti, gli insulti sono la norma per molti italiani di origine straniera.

Lo stesso Seid Visin ha scritto:

Non voglio elemosinare commiserazione o pena, ma solo ricordare a me stesso che il disagio e la sofferenza che sto vivendo io sono una goccia d’acqua in confronto all’oceano di sofferenza che sta vivendo chi preferisce morire anziché condurre un’esistenza nella miseria e nell’inferno. Quelle persone che rischiano la vita, e tanti l’hanno già persa, solo per annusare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente “Vita”.

È necessario riconoscere che una vita intera in un ambiente ostile, com’è l’Italia oggi per le persone di colore o nere, può avere gravi conseguenze. Ci sono persone che, nonostante ciò, lottano con unghie e denti per prendersi una fetta della torta, per essere trattati equamente sul posto del lavoro, a scuola, tra amici. Ma per quante persone perseveranti come queste ci possano essere, ce ne so sono altrettante che non riescono ad affrontare da soli questa realtà.

 

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