Che cosa significa essere dandy oggi?
Nell’Ottocento era colui che si immergeva nella vita cittadina alla costante ricerca della differenziazione, della modernità, in quei dettagli vivaci che permettevano all’uomo di riscattarsi dall’omologazione imposta dalla nuova società. Il tormento del dandy era infatti la distinzione dalla massa, per conservare ancora un briciolo di autonomia in una società sempre più ossessionata dal tempo e dal guadagno. Oggi l’obiettivo di questa figura non cambia; la moda, seppur in modi diversi, viene sempre vissuta come un fatto di differenziazione ed espressione della propria personalità.
Il dandy
Che lo si voglia chiamare Lord Brummel o pittore della vita moderna, il dandy ottocentesco esce di casa e si prepara per un’altra giornata in cui non farà sostanzialmente nulla, se non mettersi alla disperata ricerca di ciò che è in voga nella sua modernità. È un perdigiorno, come lo definiscono alcuni, ma la sua spiccata personalità è in grado di ridefinire i tempi, le mode, i codici estetici. Come? Semplicemente cercando ciò che è indizio di moda e vaga nell’aria, al limite del divenire tendenza: pieno quindi di potenzialità.
Ma essere dandy è anche, e soprattutto, un’attributo femminile. Lo amava sottolineare Baudelaire, lo conferma la storia della moda. L’emancipazione femminile richiedeva il supporto dell’apparenza esteriore per esprimere i caratteri più forti e indipendenti, date le impossibilità di una società prettamente maschile. Saper gestire lo spirito del tempo, attraverso l’abbigliamento e il proprio stile, era una delle poche opportunità di riscatto per le donne di allora. Far emergere la propria individualità, attraverso le declinazioni contingenti dell’abito, è considerato intrinsecamente femminile per natura.
Emancipazione, moda e cultura
Coco Chanel, Schiaparelli, Madeleine Vionnet. Tutte rivoluzionarie che hanno lasciato un segno nella storia – della moda e non solo – attraverso una rielaborazione personale dei codici vestiari, per adattarli alle nuove esigenze culturali e, soprattutto, femminili. Non più taciturna obbedienza, ma rivendicazione di un’individualità più personale e definita.
E così anche Marlene Dietrich, Bette Davis e Greta Garbo, che hanno plasmato nuovi modi di fare e apparire attraverso abiti troppo dirompenti per la moda degli anni Trenta. Sicuramente anche grazie alla forza cinematografica, le silhouette maschili prima, lo stile androgino poi, fanno il loro ingresso nel guardaroba femminile contro ogni regola. Perché tutte prendano confidenza con questo stile ci vorrà qualche anno in più, ma il passaggio è sempre lo stesso: un visionario, Yves Saint Laurent, che porta in passerella capi mai visti.
Ed è la logica della moda come strumento funzionale all’individualità: vale finché permane un’atmosfera di esclusività, sempre ai limiti dello scandalo, entro i confini dell’accettazione collettiva.
Dal dandy ottocentesco a quello contemporaneo
Un tratto tipico dell’uomo moderno, la ricerca della differenziazione, che ha il suo riflesso nell’individuo contemporaneo, per il quale parte della lotta all’omologazione si gioca ancora sul campo dell’apparenza esteriore. Ossessione per la differenza, che diventa ricerca di un terreno comune, al fine di non sentirsi del tutto a disagio con la propria diversità. Un disegno perfettamente illustrato da Simmel nel suo saggio La filosofia della moda, in cui la moda soddisfa contemporaneamente un duplice bisogno: appartenenza ed espressione individuale.
Un concetto contraddittorio che forse sfuma un po’ ai giorni nostri, dove quotidianamente si sfidano tabù e si rompono stereotipi. Siamo nell’epoca delle mille opportunità, delle infinite occasioni, delle non definizioni, del genderless e dell’androgino, dove è sempre più difficile trovare soluzioni nuove e al tempo stesso stabili, con una moda che sempre ritorna, ripercorrendo il suo ciclo e anteponendo il vintage alle ultime novità.
Con questo si spiega anche il crescente interesse per i vintage retailers, il secondhand, l’upcycling e i servizi di customization: quando anche le opportunità di shopping diventano mainstream, si opta per quelle pratiche ancora poco conosciute. Si preferisce essere devianti nel modo di fare shopping e di vivere la moda.
Che cosa significa essere dandy oggi?
Con la libertà d’espressione e gli stili che si contaminano l’uno con l’altro, ha ancora senso parlare di uno stile dandy? Si può identificare con il fascino alla D’Annunzio o con le figure del mondo di Baudelaire? Pesa ancora così tanto l’ossessione per la diversità, quando il nuovo valore è il sentirsi a proprio agio con la propria diversità? Di conseguenza, l’omologazione conta sempre meno?
Sicuramente essere dandy non ha più a che fare con uno stile, ma rimane un atteggiamento alla ricerca delle infinite possibilità della moda. Non esistono più definizioni: ce lo ricorda Alessandro Michele con Gucci, le cui collezioni rompono ogni volta gli schemi e tutto ciò che è stato precedentemente definito.
Sens
Classico esempio quello di Chiara Ferragni, definita come colei che trasforma in oro tutto ciò che tocca, e allo stesso tempo in grado di mobilitare opinioni e coscienze sociali su temi importanti.
Il gioco della moda
Poiché la moda viaggia sempre più veloce, queste figure sono premiate proprio per la capacità di mantenere, o addirittura anticipare, il ritmo delle tendenze. Trend sempre più effimeri proprio in quanto svaniscono nello stesso momento in cui si diffondono. Forse per questo oggi diventiamo tutti un po’ dandy, prendendo come riferimento evolutivo il ritmo di noi stessi e del nostro stile. Misuriamo la nostra capacità di dominare mode, o di crearci addirittura uno stile tutto personale.
Cosa resta della moda oggi?
Per dirla come Baudelaire, un aspetto imprescindibile della bellezza, “una promessa di felicità” in continuo rinnovamento, mai completamente raggiungibile.
Ognuno di noi conserva quell’aspetto del dandy ottocentesco, cercando di far valere la propria unicità attraverso l’aspetto. Anche se codici e confini di stile non sono più così esattamente definiti, la forza della moda sta proprio nell’esplorare continue possibilità. È il gioco dello stile: saper mantenere la propria identità, vestendola di volta in volta con lo spirito del tempo. Come afferma Alessandro Michele:
Costruire un antidoto all’omologazione normativa della biopolitica non può significare imporre all’ordine un contro-ordine. Non vuol dire disfarsi di regole, imponendone altre. La moda, piuttosto, ha un altro compito: fare intravedere campi di possibilità, suggerire indizi e aperture, coltivare promesse di bellezza, offrire testimonianze e profezie, rendere sacra ogni forma di diversità, alimentare un’irrinunciabile capacità di autodeterminazione.
FONTI
Charles Baudelaire, Il pittore della vita moderna, 1863
Georg Simmel, Filosofia della moda, 1905
Un commento su “Siamo tutti un po’ dandy?”