In un celebre e fortunato saggio del 1989 dal titolo The power of images, lo storico dell’arte e pioniere degli studi di cultura visuale Clemente Greenberg rifletteva sulle immagini. In particolare sulla loro capacità – sia in senso artistico, sia in senso tout court – di restituire allo spettatore lo sguardo ad esse rivolto. Con l’espressione di “potere delle immagini” infatti, Greenberg – memore forse delle riflessioni fenomenologiche di Merleau-Ponty – ribaltava, nel campo specifico degli studi sulle immagini e sull’arte, la consueta dialettica soggetto-oggetto.
Le immagini ci restituiscono una risposta emotiva
Sottolineava, quindi, come le immagini non costituiscano soltanto oggetti passivi e inerti, sottoposti allo sguardo attivo dello spettatore. Piuttosto si configurano anch’esse come “dispositivi attivi“ in grado di restituire allo spettatore-fruitore una risposta emotiva. Questo è possibile innescando in colui che osserva una reazione emozionale (desiderio, terrore, eccitazione, estasi, commozione…). In questo modo le immagini sono capaci di di determinare attivamente la condizione del soggetto osservante.
Nel 2016, in un articolo dall’eloquente titolo Invisible images (Your pictures are looking at you), l’artista visuale e ricercatore Trevor Paglen ha fatto un interessante punto sulla situazione. L’oggetto di analisi è la condizione di costante osservazione e monitoraggio visivo a cui negli ultimi decenni – e in particolare dopo l’avvento delle tecnologie digitali – siamo sottoposti e ci esponiamo. Paglen ha quindi posto in rassegna una serie di esempi relativi all’applicazione dei sistemi di monitoraggio ottico adottati in diversi ambiti (sicurezza, marketing, geolocalizzazione satellitare ecc.). Tra questi, come si vedrà tra poco, non è escluso nemmeno l’ambito artistico.
ENEA e ShareArt: di cosa si tratta?
Le indagini e le riflessioni, appena accennate, di Greenberg e Paglen possono infatti essere degli utili punti di partenza per contestualizzare concettualmente e criticamente i dispositivi messi a punto nel progetto ShareArt. Quest’ultimo è stato sviluppato recentemente dagli esperti di ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e applicato nelle sale espositive delle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna.
Ma in cosa consiste esattamente il progetto ShareArt, di cui si sta molto parlando nelle ultime settimane? Nasce nel 2016 ed è recentemente stato messo a punto e sviluppato dall’equipe di esperti di ENEA. Il gruppo è composto da Stefano Ferriani, Giuseppe Marghella, Simonetta Pagnutti e Riccardo Scipinotti. Il loro obiettivo è volto alla realizzazione di sistemi di monitoraggio sulla frequenza e le modalità fruitive dei visitatori all’interno dei musei, gallerie, pinacoteche e in generale delle istituzioni museali. In particolare il sistema è costituito da una serie di dispositivi con telecamera integrata posti a lato delle opere esposte e in grado di rilevare dati sulla fruizione da parte dei visitatori.
I comportamenti del visitatore analizzati
Tra questi, ad esempio, la durata di sosta dinanzi a un’opera, il numero, il genere e l’età dei visitatori, il grado di apprezzamento, il percorso di avvicinamento. Tutto questo è possibile attraverso la rilevazione di informazioni come la distanza dal dipinto, la variazione delle espressioni del volto, i rapporti di prossemica e molti altri dati che vengono poi rielaborati. Emerge così una panoramica molto precisa e puntuale sui comportamenti dei visitatori.
Come hanno sinteticamente spiegato i quattro ricercatori di ENEA coinvolti nel progetto:
Attraverso una telecamera posizionata nei pressi dell’opera, il sistema rileva automaticamente i volti che guardano in direzione dell’opera stessa, acquisendo dati relativi al comportamento degli osservatori come, ad esempio, il percorso compiuto per avvicinarsi, il numero di persone che l’hanno osservata, il tempo e la distanza di osservazione, il genere, la classe di età e lo stato d’animo dei visitatori che osservano.
I benefici di ShareArt
Questi sistemi di monitoraggio saranno sperimentati sul medio-lungo periodo per la prima volta nelle sale espositive al secondo piano di Palazzo d’Accursio a Bologna. Un tempo residenza dei Cardinali Legati pontifici, oggi la struttura ospita una ricca raccolta di dipinti, sculture e opere d’artigianato provenienti dalle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna.
La sperimentazione di ShareArt, inaugurata lo scorso 10 giugno in un’apposita conferenza, è il frutto dalla collaborazione tra ENEA, i cui studiosi sono da anni impegnati nell’elaborazione di nuovi sistemi tecnologici per la conservazione e valorizzazione dei beni culturali, e l’Istituzione Bologna Musei. E il presidente, Roberto Grandi, in occasione dell’evento, ha evidenziato come:
Vi sono domande che si rincorrono tra le mura di un museo. In cosa consiste il gradimento di un’opera? Quali sono le variabili personali e ambientali che influiscono su questo gradimento? Le risposte tradizionali sono troppo approssimative […]. Ecco allora che l’Istituzione Bologna Musei ed ENEA hanno considerato alcune sale delle Collezioni Comunali d’Arte come un laboratorio sul campo per approfondire le dinamiche della fruizione in presenza delle opere […]. Non solo il modo di osservare, ma anche come si arriva all’opera e quanto tempo la si osserva sono aspetti che aiutano i curatori dei musei a comprendere meglio i comportamenti dei visitatori e i ricercatori ad approfondire le dinamiche della percezione del gradimento attraverso la raccolta e l’elaborazione di un grande numero di dati.
I vantaggi di monitorare l’esperienza fruitiva
Come si evince dalle parole di Roberto Grandi dunque, c’è un primo grande beneficio offerto da questi inediti – quantomeno in Italia – sistemi di monitoraggio. Questo consiste proprio nella possibilità di perfezionare l’attività di rilevazione e monitoraggio delle esperienze fruitive dei visitatori, nonché il relativo afflusso, attraverso informazioni puntuali e dettagliate sui loro comportamenti nel corso di una visita. Tutti dati e informazioni che, quanto più sono precisi, tanto più rappresentano un punto di partenza per curatori e operatori museali. L’opportunità per rivedere criticamente l’offerta proposta, analizzandone punti di forza e aspetti critici, e intervenire con la programmazione e la pianificazione delle proposte espositive.
Accanto agli ineccepibili vantaggi di monitoraggio sulla fruizione, l’altro grande beneficio riguarda anche tutti quegli aspetti relativi alla gestione dei flussi di visitatori. Soprattutto in relazione alla sicurezza museale, con una particolare attenzione rivolta -(speriamo ancora non per molto) al distanziamento fisico tra i visitatori e il corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale – le mascherine – nelle sale del museo.
FONTI
TheNewInquiry (sull’articolo di Trevor Paglen menzionato in principio)