Marion: Un uomo deve avere un hobby.
Norman: Beh… è più di un hobby. Un hobby serve solo a far passare il tempo. Non a riempirlo.
Dal film Psycho (1960)
Come impiegano il loro tempo libero i Millennials? Ci si può chiedere se in un’era pervasivamente dominata dal digitale e dalla realtà virtuale esista ancora il concetto di hobby. Come attività fisica, manuale, concreta, che implichi continuità. Certo, si può parlare di continuità anche per un’attività puramente visiva come il binge watching, ovvero la smania famelica di guardare un episodio dopo l’altro di una serie TV.
Le piattaforme online di visione, tra cui primeggiano Netflix e Prime Video, offrono pacchetti seriali e invogliano le nuove generazioni a piegarsi all’abbandono contemplativo. Tale attività sembra colmare lo stesso obiettivo di un hobby: liberare la mente, rilassarsi e fuggire dalle cose che non si vogliono fare, che sia lo studio, il lavoro o un’attività indesiderata.
Dal binge watching al binge racing
Tuttavia non si può parlare di un reale coinvolgimento hobbistico, in quanto l’appagamento è momentaneo. Una volta consumata l’intera serie solitamente non se ne inizia un’altra subito dopo. Si tratta quindi di un hobby che certamente appartiene ai Millennials ma che è connotato temporalmente, anche se ne esiste una forma più prolungata. Si tratta del binge racing, una “grande abbuffata” che consiste nella visione continuativa di una serie tv completa per la durata di 24 ore.
Così non diventa più una forma di rilassamento, ma una sfida contro gli altri e contro sé stessi. Per di più davanti a un computer che non ci offre un beneficio fisico, ma agisce contro la vista e la postura. Davanti quindi a un apparente e crescente abbandono del televisore, le piattaforme online appaiono come la Torre di Babele dei televisori, accattivante per raggiungere una soddisfazione momentanea, ma forse non troppo stabile come hobby.
L’avanguardia artistica del meme
Se però il binge watching è un’attività puramente passiva, la creazione dei meme che spopolano sui social è un atto creativo. Una forma di coinvolgimento nei fatti contemporanei e un appiglio catchy e ironico di vizi e stravizi di un’ampia cerchia di persone, soprattutto Millennials. Tali immagini stanno progressivamente conquistando un’autorevolezza estetica, grazie al loro potere coesivo e democratizzante e al sapore umoristico.
Si tratta di una forma embrionale di arte d’avanguardia, già però ampliamente conosciuta e apprezzata, tanto da conquistare una posizione nelle mostre a tema meme. Quindi un contesto differente da quello precedente, perché in questo caso lo sforzo creativo diventa parte integrante o totalizzante del tempo libero, alla maniera di un hobby.
Tuttavia, coloro che vogliono conferire ai meme dignità artistica e intellettuale si allontanano dalle forme populiste di meme che abbracciano le grandi masse. Questi ultimi rappresentano il più grande avvicinamento tra autore e spettatore poiché quest’ultimo può far suo il prodotto di un altro e riciclarlo con la condivisione. Un moto perpetuo, in cui il feticcio artistico passa di mano in mano fino a spegnersi nella serializzazione produttiva.
The Comedian, Maurizio Cattelan
In alcuni casi, però, il risultato è un’esplosione mediatica, come è accaduto per l’opera The Comedian di Maurizio Cattelan, data in pasto al pubblico digitale per poterne usufruire come opera-meme. C’è quindi un paradosso che si interpone nella valutazione di questo hobby. Il meme è elitario o popolare? E laddove sia popolare, si può ancora parlare di opera d’arte? A far luce sul problema sarà il tempo, con l’evoluzione intrinseca dell’arte dei meme. Forse avverrà una divisione storica, come quella tra letteratura e paraletteratura. O forse no.
È vero che la sfera digitale assorbe gran parte degli interessi dei Millennials, ma non è l’unica. Come dimostra una ricerca statistica condotta dalla rivista YPulse nel 2019, la maggior parte degli intervistati tra i 13 e i 36 anni mette al primo posto come interesse la musica. Non solo assorbita dagli auricolari collegati a Spotify, ma anche praticata. Al secondo posto ci sono gli sport, che mantengono la loro antica autorevolezza e al terzo i videogiochi.
Seguono però, a non troppa distanza, la lettura, l’arte, il cinema e i viaggi. Questi ultimi legati alla crescente passione per la fotografia e al desiderio di evasione e conoscenza dei Millennials, che cercano nuove esperienze di studio o lavoro all’estero. Tali esperienze poi forse saranno raccolte tra le storie in evidenza di Instagram, contribuendo così a quello stesso fenomeno di avvicinamento e interazione con il pubblico sopracitato per i meme.
Qual è il futuro degli hobby?
Forse però c’è un problema alla base. Spiegherebbe la difficoltà dell’arte già consolidata a raccontare di tale argomento, se non in una forma popolare e serializzata. Non c’è più una vera consapevolezza del tempo libero, in quanto questo è vissuto negativamente, come un intralcio o peggio, l’artefice del senso di colpa che attanaglia chi non sta facendo qualcosa di produttivo.
Avviene quindi un’eterna battaglia tra quello che si vorrebbe fare e quello che si dovrebbe fare secondo le norme aleatorie imposte dalla società e dal temibile panorama lavorativo. Tutto questo può condurre alla progressiva estinzione degli hobby a favore di attività ristrette temporalmente. Come cambierà semanticamente la nozione di hobby? Affidiamo ai Millennials l’inesauribile capacità creativa di trovare l’arte nel quotidiano, quando lei non trova noi.