La moda per Fellini, sin dagli albori della sua longeva carriera, ha rappresentato un’occasione per temprare la sua creatività e sviluppare nuove idee, ispirazioni e immagini. Il regista ha sempre mostrato la volontà di mantenere vivo lo spirito creativo connaturato nell’anima del fanciullino, di cui Pascoli, nella sua letteratura, ci ha narrato l’essenzialità e lo spirito.
È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello.
Federico Fellini: "One of the greatest handicaps is to fear a mistake. You have to move freely into the arena not just to wait for the perfect situation, the perfect moment If you have to make a mistake, it's better to make a mistake of action than one of inaction." pic.twitter.com/Fbi8pQ9WoY
— Martina Vaira (@marterinn) June 3, 2021
Oscar per i migliori costumi
Era il 1960 quando per la prima volta al cinema Capitol del capoluogo lombardo veniva proiettato La Dolce vita di Fellini. Non conoscerlo equivale a un’utopia, impossibile non amarlo. Una pellicola che ha saputo catturare l’immaginario di milioni di persone e che, con la sua magia, ha raggiunto una dimensione altra, ricca di particolarismi, soventi e ancestrali dimensioni emotive.
Il racconto verte sul protagonista, Marcello Rubini, un giornalista che si occupa di cronaca mondana, ma che al contempo nutre il sogno di diventare un romanziere affermato. Il film è ambientato nella città eterna: Roma. Un luogo che seguirà il personaggio nel suo cammino e nelle sue riflessioni con i suoi ritmi frenetici, le sue indubbie nevrosi, la sua drammaticità e il silenzio.
Qualche volta la notte, questa oscurità, questo silenzio mi pesano. È la pace che mi fa paura, temo la pace più di ogni altra cosa: mi sembra che sia soltanto un’apparenza e che nasconda l’inferno. Penso a cosa vedranno i miei figli domani, ‘il mondo sarà meraviglioso’ dicono, ma da che punto di vista se basta uno squillo di telefono ad annunciare la fine di tutto. Bisognerebbe vivere fuori dalle passioni, oltre i sentimenti, nell’armonia che c’è nell’opera d’arte riuscita, in quell’ordine incantato… Dovremmo riuscire ad amarci tanto da vivere fuori del tempo, distaccati… Distaccati…
Marcello interiorizza il nervosismo di Roma, è immerso nella folla che lo destabilizza, ma lo immerge in una dimensione colma di stimoli, utili anche per il suo lavoro. Il suo essere a tratti irrequieto traspare anche nel suo modo di abbigliarsi, in cui si esprime perfettamente la sua psiche, il suo modus operandi.
I costumi
Fellini disegnava abiti. Aveva questa capacità quasi innata di renderli vivi. Sin dalle prime scene della pellicola, i capi dei protagonisti catturano l’occhio dello spettatore, che vorrebbe essere lì per sfoggiare quegli outfit meravigliosi. Un guardaroba che non è fine a se stesso, ma rappresenta un veicolo attraverso cui esprimere e costruire la psicologia, l’essere interiore dei personaggi. La dimensione comunicativa è di fondamentale importanza, moda e psicologia si scontrano creando un unicum ricco di essenzialismi e profonde conoscenze.
Il 1962 è stata una data emblematica: L’Academy assegna a La Dolce Vita due premi per la categoria Migliori Costumi. Un Oscar vinto da un film in bianco e nero, il cui titolo è diventato sinonimo di uno status di vita lussuoso e ricco di eccessi. Il guardaroba della pellicola è stato ispirato dall’abito a sacco creato da Balenciaga. Il capo ha fatto la sua storica apparizione nel 1957; fu soggetto a diverse polemiche e dibattiti per via delle sue caratteristiche contrastanti rispetto alla classica forma a clessidra molto costrittiva che aveva contraddistinto la moda fino a quel tempo.
Qualcosa all’improvviso cambia e il mondo si ritrova a fare i conti con una libertà nuova, fuori dagli schemi arcadici; una moda che Fellini sin da subito decise di accogliere con fermento, comprendendo le potenzialità e l’importanza di questa novella e fiammante indipendenza. Sempre parlando della forza del film, non si può non ricordare il bustier nero che avvolgeva un’audace Anita Ekberg nella scena simbolica della Fontana di Trevi; frame ripreso da Dolce&Gabbana durante la sfilata del 2004/2005.
“Persons can even be induced to 𝑪𝒂𝒎𝒑 without their knowing it. Consider the way Fellini got Anita Ekberg to parody herself in LA DOLCE VITA.” — Susan Sontag, NOTES ON “CAMP” (1964) pic.twitter.com/ZVSGRzkSCr
— 𝕰 𝖟 𝖊 𝖖 𝖚 𝖎 𝖊 𝖑 . 🌹🐩🖤🤍💜 (@aka_X27) May 7, 2019
La forma e la silhouette ottenute dagli abiti a sacco fanno innamorare Fellini; era sicuro di poter creare una nuova identità per le sue protagoniste femminili. Gli abiti dovevano essere rigorosamente giovanili, irrispettosi, divertenti con un velato rimando alla convenzionalità.
Il costumista Piero Gherardi ha ricoperto un ruolo di fondamentale importanza creando uno stile impeccabile, con la particolarità di rappresentare una società glamour nella Roma del secondo dopoguerra. Indimenticabile anche per aver lanciato la moda per gli uomini del cappotto corto, che traeva ispirazione dal celeberrimo Marcello Mastroianni. Una curiosità che forse molti non conoscono: il film La Dolce Vita ha dato il nome al maglione a collo alto o “dolce vita”.
È uno strano film, il più difficile che ho immaginato finora. La Dolce Vita andrebbe proiettato tutto insieme, in una sola enorme inquadratura. Non pretende di denunciare, né di tirare le somme, né di perorare l’una o l’altra causa. Mette il termometro a un mondo malato, che evidentemente ha la febbre. Ma se il mercurio segna quaranta gradi all’inizio del film, ne segna quaranta anche alla fine. Tutto è immutato. La dolce vita continua. I personaggi dell’affresco continuano a muoversi, a spogliarsi, ad azzannarsi, a ballare, a bere, come se aspettassero qualcosa. Che cosa aspettano? E chi lo sa? Un miracolo, forse. Oppure la guerra, i dischi volanti, i marziani. Il cinema è come una vecchia puttana, come il circo e il varietà, e sa come dare molte forme di piacere.
Un film agli antipodi, criticato, ma che alla fine si rivelerà quel racconto essenziale di un’Italia rigenerata, nuova, che ha visto gli orrori della Seconda guerra mondiale e che cerca di andare avanti allontanandosi dai valori costrittivi rappresentativi del passato. Un Paese che si illumina per dare spazio a sogni, speranze e desideri de La Dolce Vita.
Un commento su “La Dolce Vita: Fellini, il disegnatore di abiti”