Se si pensa alla storia, si pensa al cambiamento. Ciò, tuttavia, non implica necessariamente un miglioramento: per dirla col Manzoni, “Non sempre ciò che vien dopo è progresso”. Questa legittima convinzione vive da sempre, potrebbe addirittura essere nata con la storia stessa, in quanto il cambiamento che lo scorrere del tempo provoca può essere fonte di reazioni tanto positive quanto negative.
Il luddismo come reazione a un cambiamento
Un esempio del secondo caso si ritrova nel fenomeno del luddismo, un movimento operaio nato nella Gran Bretagna del XIX secolo come conseguenza dell’introduzione nell’industria di macchine che rimpiazzavano il ruolo di migliaia di lavoratori specializzati, rendendo i metodi precedenti obsoleti e decisamente meno produttivi.
In questo senso, il cambiamento (ossia la rivoluzione industriale) ha provocato il declino di un’intera classe: i tessitori che impiegavano i metodi tradizionali per cucire calze, pizzi, merletti e altri prodotti tessili a mano, si videro sostituiti da macchine automatizzate in grado di produrre il doppio della merce nella metà del tempo. Inoltre, le abilità richieste agli operai che lavoravano con queste macchine erano ovviamente assai inferiori a quelle possedute dai lavoratori specializzati e la merce era, come prevedibile, di qualità decisamente più scarsa. Questa situazione costrinse i tessitori qualificati a cercare lavoro proprio presso l’industria che gliel’aveva portato via e che, oltre a questo, li ripagava con salari miseri.
Il malcontento che ne derivò finì per sfociare in un’ondata di proteste contro i proprietari delle fabbriche che di fronte alle richieste degli operai potevano scegliere o di scendere a compromessi o, come accadde il più delle volte, di rifiutarsi. La mancanza di accordi tra lavoratori e proprietari portò dunque alla distruzione di molti macchinari da parte degli operai e, spesso, a numerosi scontri violenti tra le parti.
Le rivolte, concentrate nel biennio 1811-1812, si estero da Nottingham alle regioni dello Yorkshire, Lancashire, Derbyshire e Leicestershire. Questi gesti divennero presto crimini con l’emanazione del Frame-Breaking Act, il quale prevedeva la sentenza di morte per coloro che avessero distrutto qualunque sorta di attrezzatura industriale. Numerose truppe vennero successivamente mandate in tutto il territorio a sedare le rivolte e gli scontri causarono perdite sia tra i rivoltosi sia tra i proprietari di fabbriche, con frequenti arresti e condanne a morte dei primi. Dopo qualche tempo di apparente tranquillità, il movimento riprese nel 1816 a causa del crescente declino economico, peggiorato anche dalla scarsità dei raccolti di quell’anno.
Ned Ludd chi?
Perché il nome luddismo? Ebbene, nonostante non ci sia alcuna certezza, sembrerebbe che il gruppo di rivoltosi dovesse il
“According to Pellew’s Life of Lord Sidmouth (1847) III. 80, Ned Lud was a person of weak intellect who lived in a Leicestershire village about 1779, and who in a fit of insane rage rushed into a ‘stockinger’s’ house, and destroyed two frames so completely that the saying ‘Lud must have been here’ came to be used throughout the hosiery districts when a stocking-frame had undergone extraordinary damage”.
Il discrimine tra queste due storie sarebbe dunque l’intenzionalità di Ludd. In ogni caso, questa figura imprecisata venne presto accostata a quella dell’idolo folkloristico Robin Hood, in quanto i due personaggi, oltre a provenire entrambi da Nottingham, erano visti come i paladini della giustizia popolare. Alcuni credevano perfino che i due avessero in comune anche il loro nascondiglio: la vicina foresta di Sherwood.
Luddismo moderno
Sebbene si sia portati a pensare che un simile comportamento nasca esclusivamente tra gli individui che hanno più difficoltà a interfacciarsi con realtà così diverse rispetto a quelle tipiche del periodo in cui sono nati (come la generazione dei cosiddetti baby boomer, per esempio), non è raro incontrare neo-luddisti anche tra le più recenti generazioni, soprattutto quando si parla di social media: chi per inclinazione naturale, chi per paura di un’eccessiva esposizione dei propri dati personali, chi per timore che il ricorso a quel mondo a portata di click diventi una dipendenza.
Il futuro è sempre progresso?
Il futuro è dunque sempre sinonimo di progresso? In molti, e con ragione, risponderanno di no. Come durante la rivoluzione industriale l’introduzione di macchine automatizzate ha portato a un calo dei prezzi della merce e al consecutivo ampliamento del potenziale gruppo di consumatori, ma, al tempo stesso, ha significato un maggiore sfruttamento degli operai, costretti a lavorare in condizioni infime in cambio di salari minimi, e il declino della qualità del prodotto, analogamente, al giorno d’oggi, la tecnologia ha saputo risolvere numerosi problemi, ma non senza crearne altri. Fatto certo è che il freno posto da coloro che resistono alle innovazioni non va visto come un ostacolo da superare, ma come la radice del passato che ricorda alle persone di non accogliere a braccia aperte e incondizionatamente tutto ciò che viene spacciato come miglioramento, poiché “Non sempre ciò che vien dopo è progresso”.