Il 5 maggio di quest’anno si è celebrato il bicentenario dalla morte di Napoleone: il 5 maggio 1821, infatti, Napoleone Bonaparte morì nell’Isola di Sant’Elena, dove era stato esiliato dagli inglesi dal 1815. L’isola di Sant’Elena è tutt’ora un possedimento britannico nel mezzo dell’Oceano Atlantico, dove sarebbe stato impossibile ogni tentativo di fuga. Gli inglesi, infatti, ricordavano come Napoleone eluse i controlli fuggendo dall’Isola d’Elba. Egli rimase nell’isola fino alla morte, che ebbe una risonanza memorabile in tutta Europa. La data del 5 maggio è strettamente connessa all’ode omonima scritta da Alessandro Manzoni, tradotta anche in tedesco da Johann Wolfgang von Goethe. Con quest’ode, Manzoni non volle né glorificare la figura di Napoleone né muovere a pietà il lettore, ma offrire uno spaccato di vita di una delle personalità più controverse del suo secolo.
I primi sentimenti politici
I suoi genitori ebbero stretti rapporti con l’indipendentista Pasquale Paoli, che per il giovane Napoleone divenne quasi come un primo idolo. In gioventù percepiva la sua identità còrsa in maniera ancora molto forte, fino a che i suoi genitori non ruppero i rapporti con Paoli e si rifugiarono definitivamente in Francia.
La carriera in Francia
La provenienza còrsa fece sentire il giovane Napoleone sempre un po’ straniero, nonostante stessero iniziando a crescere i suoi sentimenti legati alla Grande Nation, quest’ultimi contrapposti al fatto che non apprese mai a scrivere correttamente in francese. La sua personale lotta all’emarginazione nacque durante gli studi al collegio militare di Brienne-le-Château e poi alla scuola militare di Parigi.
Il suo destino militare fu quasi obbligato: data l’origine nobiliare della famiglia, il padre poté chiedere aiuto al Re per avere sostentamento economico per i figli, che ricevette sotto forma di borse di studio. Questo denaro servì quindi anche a finanziare inizialmente la carriera in esercito di Napoleone. Il giovane fin da subito coltivava una forte ambizione e pur risultando tra gli ultimi classificati in Accademia, ebbe l’opportunità di iniziare la sua carriera nel momento ideale, ovvero quando la Rivoluzione Francese aveva sconvolto tutte le gerarchie. Fino al 1789, infatti, fare carriera era possibile solo per gli aristocratici.
I primi successi militari
Il carattere di Napoleone si rifletteva molto nella sua strategia militare: era infatti impulsivo, pragmatico e poco incline alla riflessione. Allo stesso tempo, però, sembrava molto resistente alle fatiche.
La sua fama di genio militare nacque da alcuni elementi che contraddistinsero le sue imprese: un esercito numeroso e ben preparato; un saldo rapporto di fiducia con gli ufficiali; la deliberata mancanza di una tattica precisa e troppo articolata; l’analisi attenta del nemico.
Dopo l’Accademia si mise in mostra e ottenne alcuni incarichi che gli conferirono prestigio: nel 1795 represse militarmente una rivolta realista a Parigi e nel 1796 fu messo a capo dell’Armata d’Italia, con cui ottenne una serie impressionante di vittorie. I successi militari che poi ne seguirono, permisero a Napoleone di entrare sempre di più anche nel mondo della politica francese, ancora incapace di avere un governo stabile dalla fine della Rivoluzione.
Il colpo di stato e l’incoronazione
Dopo questo avvenimento, Napoleone fu nominato primo console e instaurò un regime autoritario, limitando le libertà di stampa e di opposizione. Ma non passarono che pochi anni e Napoleone si rese conto che il consolato per lui non era abbastanza.
Pensò al titolo di Imperatore per poter reintrodurre la monarchia senza riferimenti troppo espliciti all’Ancien Régime. Il richiamo a cui Napoleone aspirava era più quello dell’età classica e della Roma Antica, da cui era molto affascinato. Il protocollo dell’incoronazione di Napoleone seguì quello di mille anni prima in occasione di quella di Carlo Magno ma con qualche modifica: se nell’Ottocento era stato il Papa a incoronare Carlo Magno, nel 1804 Napoleone si incoronò da solo.
Il Napoleone razzista
Di Napoleone ricordiamo soprattutto le grandi battaglie contro gli inglesi, le fughe rocambolesche e il carattere sempre fiero. Uno degli aspetti più controversi dell’età napoleonica, però, non riguardò i campi di battaglia europei ma i possedimenti francesi in America Centrale.
Nel 1794 la schiavitù nelle colonie francesi era stata abolita, ma Napoleone la ristabilì con una legge del 1802. La schiavitù era infatti ritenuta il modo più rapido ed efficace per aumentare la produzione agricola. Negli ultimi tempi, soprattutto nei paesi anglosassoni, si è formata una corrente di pensiero che giudica Napoleone uno schiavista, un razzista e “un’icona del suprematismo bianco”. Questa corrente di pensiero si è amplificata con i movimenti di protesta antirazzisti nel 2020, con l’abbattimento di statue di numerosi personaggi storici con un background di azioni razziste.
“Ricordare, non commemorare”
La commemorazione di Napoleone Bonaparte in Francia non è volta a celebrarlo, ma lo scopo è in gran parte divulgativo: si vogliono quindi raccontare anche gli aspetti più oscuri legati alla sua figura. “Commemorare, ma non celebrare”, raccomandò Hubert Védrine, consigliere diplomatico di François Mitterrand e poi ministro degli Esteri socialista durante la presidenza Chirac.
“È giusto ricordare Napoleone perché le sue gesta sono esistite, ma non si deve celebrarlo perché si celebra ciò di cui si è fieri, con le nostre mentalità attuali”. Arthur Chevallier, autore di Napoléon sans Bonaparte, volle con il suo libro non solo non solo combattere l’idea del mito, ma anche mostrare come, attraverso l’ordinarietà del suo carattere, abbia contribuito alla sua popolarità presso i francesi per più di due secoli. Napoleone non è l’eroe di una parabola, ma un essere umano che ha spinto i limiti della storia che era stata scritta per lui.