Storie, viaggi e produzioni
Fin da giovane Elsa Morante mostrò una grande attitudine per la scrittura, diverse sue poesie e racconti infatti furono pubblicati su «Il Corriere dei piccoli» e «Oggi». Per merito di queste pubblicazioni Morante poté lasciare la casa, in cui viveva una situazione familiare scomoda, non appena maggiorenne.
Proprio in quegli anni conobbe Giacomo Debenedetti che fece pubblicare alcuni suoi racconti sulla rivista di Roma «Meridiano». Nello stesso periodo avvenne l’incontro con Alberto Moravia, già affermatosi come scrittore grazie alla pubblicazione di Gli indifferenti, con cui iniziò una relazione all’inizio alquanto tormentata e interrotta da alcuni allontanamenti, ma che arrivò al matrimonio nel 1941.
Nel settembre del 1943 le persecuzioni antisemite e la repressione tedesca si intensificarono; Moravia, che era ebreo, così come Morante, anche se solo da parte di madre, venne avvisato del pericolo che correva e decisero insieme di lasciare Roma. Si rifugiarono nel paese di Sant’Agata fino alla fine della guerra.
Elsa Morante si separò definitivamente dal marito solo nel 1961, dopo una relazione con Luchino Visconti e un’altra con il pittore americano Bill Morrow.
In tutta la sua vita diversi furono i riconoscimenti e le collaborazioni con giornali e altri intellettuali. Nel 1949 curò una rubrica sul cinema per la RAI che però, dopo soli due anni, fu interrotta a causa delle critiche troppo accese della scrittrice, alle quali non aveva intenzione di rinunciare.
Nel 1957 fu pubblicato il suo secondo romanzo L’isola di Arturo per cui ricevette, nello stesso anno, il premio Strega; fu il primo a essere assegnato a una donna.
La prima raccolta di poesie di Elsa Morante è Alibi, pubblicata nel ’58. In questi anni viaggiò molto: in Grecia, in Cina con Giacomo Debenedetti, in Brasile con Moravia e in India con il marito e Pasolini. Con quest’ultimo curò la scelta delle musiche per i film Vangelo secondo Matteo e Medea.
Tutta la produzione della scrittrice fu riconosciuta ma, a distinguersi, insieme al romanzo già citato, vanno sicuramente ricordati Il mondo salvato dai ragazzini, un’aperta denuncia ai totalitarismi del Novecento, e Pro o contro la bomba atomica in cui espone la sua visione della letteratura come un atto di testimonianza.
Morì d’infarto nel 1985, due anni dopo un fallimentare tentativo di suicidio.
Alibi di Elsa Morante, una raccolta dimenticata
La raccolta di poesie pubblicata nel 1958 fu inizialmente accolta con grande entusiasmo: molti critici, fra questi anche Caproni, ne parlarono con interesse dedicandogli diverse attenzioni. Dopo questo iniziale esordio positivo la raccolta fu letteralmente dimenticata. E non per poco: non se ne parlò per circa trent’anni.
È merito di Cesare Garboli se la raccolta è divenuta nuovamente oggetto di attenzioni. Una prefazione, quella scritta dal critico letterario alla raccolta di Alibi, che si apre con un “Sono anch’io responsabile” riferito alla scarsa, se non totalmente assente, attenzione dedicata ai testi della Morante. Segue un’analisi che va dalla pubblicazione delle poesie a una più approfondita di alcune di queste.
Come ben dice Garboli, le parole di Elsa Morante sono libere da ogni regola della poesia classica: non esiste, qui, la rima, il verso regolare o la retorica. Lo stile è libero, il ritmo, interno alle parole quasi melodioso. Una poesia che si potrebbe definire molto poco novecentesca.
Il tema centrale della raccolta non è tanto l’amore, o meglio, non lo è se lo intendiamo nella maniera in cui è stato decantato troppo spesso, quasi abusandone e rendendolo pesante e stucchevole. A farla da padrone in queste raccolte è la capacità insolita della scrittrice di amare in un determinato modo: la protagonista diventa, dunque, lei stessa.
Quando amava qualcosa, scrive la Morante, lo difendeva non solo a costo della sua vita, ma della sua stessa poesia. E questo dice non poco del suo rapporto con la scrittura e con l’amore, capace di essere lucido e, al contempo, alterato. È forse Garboli a trovare, nella prefazione, le parole giuste per descrivere questa raccolta. “Questi amori non sono passioni, sarebbe quasi un eufemismo descriverli in questo modo” dice. Meglio termini quali malattie, infezioni, incantesimi, visioni, deliri.
Una fusione di amore e malattia, in cui il primo, senza questa sofferenza, non può esistere.
L’amore raccontato dalla Morante, che può essere reale o meno, non è mai corrisposto, ma non per questo è infelice. È solamente invivibile. Sono storie che vivono nell’ammirazione di un idolo, che restano incompiute. Pur essendo, questa ammirazione, tutta per l’amato, l’intera raccolta rivela, e il quaderno intitolato a Narciso ne rappresenta l’apice, quanto il culto del narcisismo sia presente nella scrittrice.
La mia colpa: non saper comunicare con gli altri, non capirli, non amarli abbastanza. La mia colpa: non essere mai amata. La mia colpa: non avere amici; non essere felice.
[…]
Avrei sempre bisogno di provare a me stessa che non sono meschina. Quando non attraverso simili grandi prove io mi vergogno di me (ancora segno di narcisismo).
Sottoporsi a grandi prove diventa un obbligo, amare troppo un alibi. Un alibi che cela questo eccesso di morbosa generosità verso l’amato e insoddisfazione verso se stessa. E questo amore, o meglio questo meccanismo a cui la scrittrice dà azione, diviene il motore della scrittura, il pretesto per scrivere e fare della causa un alibi.
Le parole della Morante sono rivolte al futuro: non si parla di passato, ma di conoscenza, di possibili prossime condanne. E questo sguardo dona una certa leggerezza al tragico della scrittrice, che però non nasce mai da uno stato d’animo spensierato: la sua grazia sta tutta nel tragico. Questo tono però, non è abbandonato a se stesso ma è giustamente accompagnato da toni più freschi e giocosi.
Alibi è una raccolta in cui il reale e il fantastico, il tragico e la gaiezza si incontrano per mostrare cos’è la vanità.
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Un commento su ““Alibi” di Elsa Morante, una raccolta (quasi) dimenticata”