Vivere oggi significa soprattutto avere a che fare con la tecnologia. Partendo dai cosiddetti Baby boomers per arrivare fino alla più recente generazione Z, milioni di persone vengono ogni giorno coinvolte nell’utilizzo di un dispositivo tecnologico, si tratti di smartphone, tablet, computer e così via.
L’utilizzo di questi devices viene poi incentivato dalla presenza di svariati social media disponibili: questi protagonisti del web, come Facebook, Tik Tok, Instagram, Twitter e co., sono essenzialmente applicazioni diverse che rispettano il medesimo principio, ossia far interagire le persone.
Se a prima vista l’esistenza di queste piattaforme potrebbe sembrare un modo fantasioso e creativo per mettere in contatto tra loro individui che vivono ai capi opposti del globo, i numerosi risvolti negativi di queste sono stati messi in luce più e più volte negli ultimi anni.
L’importanza dell’Immagine sui social media
Dalle foto di piatti ricercati a quelle di paesaggi mozzafiato, da video di fitness a quelli di performance di ballo, chiunque visiti un social network non può che essere travolto da una miriade di suggestioni visive, il più delle volte pensate proprio per stupire.
Tutto ciò non viene meno quando si parla di foto che ritraggono persone: sebbene le eccezioni esistano e siano (fortunatamente) non sporadiche, un elevato numero di persone sceglie, nel momento in cui si fa fotografare, di iniziare la propria gara con gli altri utenti, instaurando un rapporto di somiglianza e allo stesso tempo di superiorità con loro. L’obiettivo, perciò, è uniformarsi al canone estetico altrui e, contemporaneamente, superarlo.
Questo implica logicamente una visione assai competitiva del media in questione, il quale, il più delle volte, arriva a intaccare la percezione che l’utente ha di sé. Sebbene considerare i social media la causa scatenante di alcuni problemi psicologici sarebbe forse troppo audace, è legittimo ritenerli responsabili del peggioramento di stati problematici già esistenti.
Un disturbo legato all’immagine corporea: il BDD
Questo è, appunto, un disturbo dell’immagine caratterizzato da persistenti preoccupazioni riguardo a un difetto corporeo che una persona riconosce in sé e che viene quindi ingigantito o addirittura immaginato.
Il detestare qualcosa del proprio corpo è un sentimento piuttosto comune, peccato che le persone affette da BDD:
«think about their real or perceived flaws for hours each day. They can’t control their negative thoughts and don’t believe people who tell them that they look fine. Their thoughts may cause severe emotional distress and interfere with their daily functioning. They may miss work or school, avoid social situations and isolate themselves, even from family and friends, because they fear others will notice their flaws».
L’imperfezione, magari impercettibile, diventa quindi un vero e proprio ostacolo al normale svolgimento della routine di chiunque soffra di questo disturbo mentale. L’ADAA (Anxiety and Depression Association of America) ha stimato che circa 1 persona su 50 ne soffre, colpendo in egual misura maschi e femmine, ma con una frequenza maggiore tra gli adolescenti.
Le cause di questa malattia non sono chiare, ma si pensa siano coinvolti fattori biologici, ambientali, genetici, neurobiologici, personali ed esperienziali. In Italia
«Il disturbo è presente con una prevalenza che varia dal 9% al 12% nei pazienti dermatologici, dal 3% al 53% nei pazienti sottoposti a interventi di chirurgia estetica, dall’8% al 37% in soggetti con disturbo ossessivo compulsivo, dal 10 al 13% nei soggetti con fobia sociale e dal 14% al 42% in quelli con disturbo depressivo maggiore».
Spesso è poi accompagnato da altre tipologie di disturbi mentali, tra cui disturbo depressivo maggiore, la fobia sociale, i disturbi del comportamento alimentare e di personalità e il disturbo ossessivo compulsivo. Segni che un individuo soffre di dismorfismo corporeo sono la tendenza a controllare più e più volte la propria immagine allo specchio, l’uso di strategie protettive come vestiti larghi, trucchi pesanti e posture che contrastino il presunto difetto e, in generale, una continua ricerca di rassicurazioni in grado di ridimensionare la percezione “catastrofica” che si ha di sé.
Come diagnosticare il BDD
Nonostante il riconoscimento di questo disturbo, facile da confondere con la banale abitudine di preoccuparsi del proprio aspetto, sembri arduo, è stato studiato un metodo che proverebbe la presenza di meccanismi neurologici anomali nel cervello di chi soffre di BDD.
La neuropsicologa Susan Rossell e il suo team di ricerca alla Swinburne University of Technology hanno infatti scoperto come sfruttare la tecnologia di eye-tracking per verificare se le persone affette da BDD concentrino il loro sguardo sull’aspetto in modo differente da quello delle persone che non soffrono del disturbo.
In sostanza, si è visto che sottoponendo gli individui, affetti da BDD e non, alla visione di un’immagine, i risultati cambiano: mentre la gente comune focalizza la propria attenzione sui tratti principali, ossia quelli utili a far comprendere il maggior numero di informazioni (come
Il mondo per chi soffre di BDD: l’obiettivo è nascondersi
Tutto questo comporta quindi numerose conseguenze dal punto di vista relazionale. Gli individui che soffrono di dismorfismo tendono facilmente a isolarsi e ad evitare le uscite in pubblico, proprio per non “offrire” agli altri la possibilità di notare il difetto che la persona stessa disprezza tanto.
Se è temuta la visibilità in pubblico, quando si parla di vedere la propria immagine fissa in una fotografia la questione peggiora ulteriormente, rendendo il difetto in questione impossibile da nascondere, innegabile in tutta la sua evidenza.
Basta uno scatto di un secondo a far peggiorare nella persona il disgusto già molto intenso che questa prova verso di sé, portandola a tormentarsi anche per periodi di tempo molto lunghi. Se da un lato, poi, si è detto che chi ne è affetto cerca rassicurazioni, è anche vero che i complimenti altrui non sono mai visti come una fonte attendibile: il parere che conta è il proprio, ed è quello più severo.