Il 13 maggio, giorno dell’anniversario dell’abolizione della schiavitù in Brasile, migliaia di brasiliani si sono riuniti a Rio de Janeiro portando con sé candele e cartelli che recitavano la scritta “Non uccidermi, uccidi il razzismo”. Allo stesso modo a San Paolo i numerosi messaggi dicevano: “I neri vogliono vivere”. Ma il 13 maggio per il Brasile, più che un’occasione di celebrazione e commemorazione, è giorno di riflessione e di continua lotta per la libertà. I manifestanti in questa occasione si sono uniti per accusare il presidente di estrema destra, Jair Bolsonaro, di genocidio attraverso le operazioni violente della polizia.
Il raid del 6 maggio
A Rio de Janeiro, i manifestanti brasiliani hanno accusato la polizia di aver ucciso 28 persone nella favela di Jacarezinho, durante un’operazione mirata contro ventuno sospetti trafficanti di droga. È stata la più mortale incursione della polizia nella storia della città. “Stiamo segnando la data della falsa abolizione della schiavitù e della tragedia a Jacarezinho“, ha sottolineato all’agenzia di stampa «Reuters» il manifestante João de Oliveira. “Il presidente Bolsonaro e il suo vicepresidente hanno persino applaudito il massacro. Ha commesso un genocidio”.
Il raid di giovedì 6 maggio a Jacarezinho è stato effettuato da circa duecento agenti di polizia pesantemente armati, incluso un elicottero blindato con un cecchino. L’area, nella zona nord di Rio, è dominata dal Comando Vermelho, o Comando Rosso, una delle più grandi organizzazioni criminali del Brasile, ed è la seconda più grande baraccopoli della città. La polizia ha affermato di aver avviato l’operazione per scontare ventuno mandati di arresto come parte di un’indagine durata un anno. Ma nessuno dei giustiziati, di cui la maggior parte “soldati” destinati alla difesa del territorio, è riuscito ad arrivare a una cella, né tanto meno a un interrogatorio. Su un totale di ventuno mandati di arresto, infatti, solo tre sarebbero stati portati a termine, mentre gli altri ricercati sarebbero morti o scappati.
Il fatto: i brasiliani denunciano
I residenti brasiliani affermano che la polizia avrebbe sparato a persone disarmate senza dar loro il tempo di arrendersi e che sarebbe entrata nelle case senza un mandato. Da parte loro gli agenti hanno respinto l’accusa di esecuzione. La polizia sostiene di aver compiuto un’operazione contro la criminalità organizzata nel rispetto della legge. Il raid però è avvenuto non tenendo conto di una sentenza del tribunale dello scorso giugno, che aveva limitato l’azione della polizia nelle aree povere di Rio durante la pandemia, a eccezione di quanto ritenuto essenziale.
Gli esperti, d’altro canto, affermano che le operazioni sono spesso mal pianificate e solitamente finiscono in spargimenti di sangue. Le accuse di cattiva condotta da parte degli ufficiali sono raramente indagate e l’impunità è praticamente la norma. I gruppi per i diritti umani, tra cui Amnesty International, hanno affermato di aver ricevuto rapporti e immagini da residenti, i quali affermavano che le loro case erano state invase e che la polizia aveva ucciso persone che non rappresentavano una minaccia.
Jurema Werneck, direttore esecutivo di Amnesty International Brasile, ha commentato l’accaduto come del tutto inaccettabile. “Anche se le vittime fossero sospettate di associazione a delinquere, cosa non dimostrata, esecuzioni sommarie di questo tipo sono del tutto ingiustificabili“. Secondo il rapporto A cor da violência policial: a bala não erra o alvo (Il colore della violenza della polizia: il proiettile non manca il bersaglio) redatto dall’ Observatórios da Segurança/CESeC a dicembre del 2020, i brasiliani “di colore” sono il 75% dei morti per mano della polizia.
La violenza della polizia non riduce il verificarsi dei crimini
“Questo tipo di operazione non smantella i gruppi criminali, provoca solo dolore e sfiducia“, ha sottolineato in un comunicato l’Igarapé Institute. Secondo gli esperti dell’Istituto, l’impatto sociale di questo caso è ancora sconosciuto ma durerà sicuramente per anni. L’ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto un’indagine indipendente sul caso, descrivendolo come una “tendenza di vecchia data di operazioni di polizia non necessarie e sproporzionate”. Il portavoce Rupert Colville ha dichiarato a Ginevra:
Avete le istituzioni che controllano queste operazioni … Quindi, sembra che collettivamente, non stiano riuscendo a fermare questo tipo di operazioni davvero inquietanti, esagerate e letali. Quindi c’è chiaramente qualcosa che non va.
La lotta al traffico di droga in Brasile si concentra da sempre sull’azione repressiva da parte delle forze di sicurezza, con lo scopo di ridurre l’offerta di sostanze illegali sul mercato. In questo contesto la situazione nella città di Rio de Janeiro è esemplare. Nelle favelas vengono messe in atto operazioni di polizia che hanno spesso carattere violento e che colpiscono principalmente gli abitanti brasiliani del posto e i piccoli spacciatori. In questo modo il sistema, invece di ridurre il potere delle organizzazioni criminali, ha solamente aumentato la violenza e il numero degli arresti.
Il Brasile figura anche come l’ultimo paese delle Americhe ad aver abolito la schiavitù nel 1888, quando Isabel, principessa imperiale del Brasile, firmò la legge che liberava gli schiavi. Ad oggi la popolazione nera non ha ancora diritti, come ha riportato Josiane Peçanha, appartenente al collettivo Afrodivas, a Globo TV durante una protesta nella città di Niterói, nell’area metropolitana di Rio. “Questo è un buon giorno per riflettere sulle ferite della schiavitù nella società brasiliana“. Il Forum brasiliano sulla sicurezza pubblica, un’organizzazione non governativa, ha riportato un dato drammatico e rilevante: circa il 57% della popolazione brasiliana è nera o di razza mista, ma rappresenta i due terzi delle vittime di violenza.