Nell’articolo precedente dedicato alla sezione di attualità, abbiamo visto come il tema del glocalismo sia senz’altro rilevante e fondamentale sul piano dell’informazione. Oggi questo argomento lo affrontiamo in relazione al mondo della musica con un occhio di riguardo ad alcuni aspetti che permettono il rapporto così indissolubile tra locale e glocale, tra la necessità di restare autoctoni e al contempo quella di aprirsi a livello internazionale. Glocalismo è infatti una parola coniata a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta per definire alcune strategie di marketing e in particolare descrive un prodotto, non necessariamente materiale, distribuito a livello globale ma adattato in base alle esigenze e necessità del consumatore locale. In che modo dunque questo tipo di accomodamento si inserisce in un contesto musicale?
Cosa oramai scontata è quella di considerare il panorama musicale come un mondo che negli ultimi decenni ha visto trasformazioni notevoli, in ogni sua parte. Già di per sé, il fatto che la musica non sia più la stessa di trent’anni fa è sintomo di come le cose cambino anche e soprattutto in relazione al contesto storico-culturale di un Paese; di come il singolo si apra a opportunità diverse e di come anche il mondo della musica abbia risentito dell’ondata travolgente determinata dall’avvento della globalizzazione. Diverse sono le situazioni in cui una canzone, un testo o una semplice melodia viene riadattata in base al Paese di distribuzione per meglio essere compresa o accettata. Prenderemo in esame alcune realtà in cui si verificano eventi di questo tipo.
La canzone in dialetto
Fatte queste premesse, veniamo al dunque. Un fenomeno molto in voga negli ultimi anni e che ha permesso una rapida ascesa di alcuni complessi musicali – che sarebbero rimasti probabilmente quasi del tutto sconosciuti – è quello di aver portato in auge la musica popolare e più precisamente quella cantata in dialetto. In Italia vi è una consolidata realtà musicale folkloristica e tradizionale, che affonda le sue radici tra il popolo, tra i movimenti di protesta, tra le realtà contadine e operaie.
Non è certamente un patrimonio di cui si sente spesso parlare, ma è altrettanto fondamentale per la costruzione di un’identità forte. Parliamoci chiaro, la canzone popolare esiste da sempre, frutto di commistioni, di usanze e di lingue diverse, frutto di insediamenti, canti popolari di montagna, cori alpini, ballate salentine. Tuttavia il contesto sociale nel quale viviamo ci sembra essere un’occasione buona per parlare di questa realtà dal punto di vista più prettamente “giovanile”.
La conoscenza locale viene così promossa a livello extraregionale attraverso complessi musicali che portano in scena il dialetto. Scelta coraggiosa quella di fare musica cantando in dialetto, c’è il rischio di restare ancorati al territorio di provenienza. Tuttavia se una musica è fatta bene e piace, può piacere ovunque. È il caso ad esempio di Davide Van De Sfroos, pseudonimo di Davide Enrico Bernasconi, chitarrista e cantautore italiano che ha fatto del dialetto comasco il suo primo amore. Dopo aver trascorso molti anni in compagnia della sua band – De Sfroos – prende la via solista e nel 1999 pubblica il suo primo lavoro Brèva e Tivàn che gli vale il premio Tenco come miglior artista emergente.
Da lì in poi colleziona solo successo e riconoscimenti portando sul palco storie musicate e cantate nel dialetto di Como. Narra di amori, sogni, speranze, quotidianità il tutto portato in scena forse nell’unica lingua più pura e autentica che ci possa essere, quella che appartiene alle generazioni passate e che ancora oggi ci comunica molto di ciò che siamo e da dove veniamo.
Sulla stessa linea d’onda si inserisce un gruppo musicale veneto, noto alla buona parte del pubblico come Los Massadores, nove giovani cantanti che puntano sulle tradizioni, sulla semplicità e sulla simpatia cantando in dialetto veneto. Una contaminazione di generi e strumenti diversi, danno luogo a molto di più di semplici concerti da sagra: travestimenti, dialoghi comici, scenografie, coinvolgimento dei fan.
E ancora i Rumatera, altra band veneta che ha spopolato negli ultimi anni: narrare la vita di giovani di provincia, senza troppi condizionamenti e trasmettendo un modo di essere genuino e semplice si può fare, anche mediante la canzone dialettale. Per non parlare poi di Liberato, il cantautore partenopeo dall’identità anonima la cui fortuna deriva dalla mescolanza di canzoni interamente scritte in napoletano, con parole o intere frasi in italiano, inglese e spagnolo.
… e le musiche popolari
Abbiamo citato solo qualche figura che nel panorama musicale odierno rappresenta un importante patrimonio culturale conosciuto in buona parte della penisola italiana. Anche una canzone popolare sarda, riadattata da un cantante in stile moderno, accattivante e orecchiabile – magari remixata – diventa in poco tempo un esempio di come il locale possa diventare internazionale. Un canto popolare oggigiorno non avrebbe molto successo senza degli interventi artificiali che permettano un avvicinamento a un contesto storico e culturale differente rispetto a quello di decenni fa.
Analogamente, si assiste sempre più spesso alla presenza sugli scaffali di dischi di musica entica, folk, africana che fino a qualche tempo fa erano presenti solamente in alcuni negozi specializzati. Siamo di fronte a una sorta di abbattimento delle frontiere – in questo caso musicali – che consentono a una musica prettamente locale o comunque circoscritta ad aree geografiche ben precise di inserirsi a pieno titolo all’interno dell’industria discografica mondiale. Ed ecco che allora pezzi tradizionali vengono reinterpretati, rielaborati magari con la collaborazione di più artisti dando vita a una commistione di voci, culture, Paesi differenti, mantenendo inalterata la base di partenza e aprendosi all’altro, al globale.
La lingua inglese e il rap
I temi ricorrenti portati in scena dagli artisti sono l’amore, la vita di periferia, la violenza, il lavoro. Temi radicati in contesti sociali locali che tuttavia si allargano a confini ben più ampi, che interessano la maggior parte delle persone. Anche la sua diffusione così notevole ha permesso una sorta di connessione tra mondi e culture diverse, diventando di fatto un genere musicale onnipervasivo e di nicchia.
L’esperienza di Amici della Scala
Abbiamo visto come nel mondo musicale ci sia una grande varietà di situazioni nelle quali il locale si fonde con il globale, molte volte senza accorgersene. Un semplice suono può essere riadattato e modificato in base alle esigenze del mercato in modo tale da rendere apprezzabile un prodotto che altrimenti sarebbe confinato all’interno di un preciso territorio. E oggi più che mai è necessario aprirsi all’incontro con l’altro e la musica può essere un veicolo davvero importante. Proprio a Milano, vi è un’associazione musicale voluta dal maestro Arturo Toscanini che promuove la musica in senso lato.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Teatro alla Scala fu distrutto dai bombardamenti e venne ricostruito per volontà del direttore d’orchestra che fondò l’associazione con lo scopo di supportare il teatro attraverso iniziative e manifestazioni con risonanza anche a livello internazionale. Nel corso degli anni poi, essa si è evoluta mantenendo però intatto l’obiettivo di valorizzare le attività del teatro con mostre, dibattiti, incontri. A partire dal 2004, gli Amici della Scala hanno potuto confrontarsi con svariate associazioni e istituzioni sparse per il mondo creando così una fitta rette di scambi interculturali e pubblicizzando il teatro lirico milanese. Un’identità culturale così forte che affonda le radici nel popolo si è aperta a contesti ed esperienze globali.
La Settimana Santa in Sardegna
Un altro esempio di come la musica molto spesso sia più globale di quanto pensiamo riguarda un incontro culturale svoltosi qualche anno fa nella subregione sarda della Baronia durante il Giovedì Santo. Decine di estimatori e studiosi della musica popolare provenienti da diverse parti d’Italia e del mondo si sono riuniti per condividere la passione per i canti di tradizione polivocale.
La partecipazione a questi eventi è sinonimo di come una conoscenza locale possa diventare inevitabilmente nota in ogni parte del globo; non vi è soltanto un interesse nei confronti di queste tradizioni (spesso poco conosciute), ma altresì la volontà di entrare in contatto con i cantanti del luogo e apprendere da loro le tecniche e i rituali tipici della zona. Il rispetto delle altre culture e la convivialità, sembrano essere i punti cardini di questo tipo di iniziative che avanzano verso una musica glocale, approfondendo le specificità tipiche di un luogo e trasmettendo ai posteri le forme tradizionali culturali.
Cosa ci insegna la musica
Forse più di tutti, la musica è da sempre lo strumento migliore per avvicinarsi alle diversità culturali e non; ce lo ha insegnato la storia con i canti di protesta contro la guerra o a favore dei diritti civili e ce lo insegna tutt’ora mediante la presenza di svariati fenomeni musicali che permettono un salto ideale e geografico tra due realtà. Abbiamo visto alcune situazioni molto diffuse nel panorama musicale odierno che consentono di parlare di una musica glocale e non più solamente riferita a determinati contesti sociali. La canzone, in generale, dovrebbe essere un medium per cogliere le prospettive e gli orizzonti di pensiero presenti nel mondo contemporaneo, molto spesso così disgregato e frantumato in pregiudizi e opinioni.
Noi vi abbiamo raccontato solamente in parte la forza unificatrice della musica, adesso tocca alla sezione di letteratura spiegarci in che modo anche il mondo della narrazione, dei media e dell’editoria si sta aprendo sempre di più a una sorta di omologazione internazionale, privilegiando una certa uniformità a discapito di soluzioni più identitarie.