Il potere delle immagini nella lotta fra israeliani e palestinesi

Le tensioni fra israeliani e palestinesi di Sheikh Jarrah non si svolgono solo sul territorio locale, ma anche globalmente. Si tratta anche di scontri mediatici fra la disinformazione diffusa da parte degli israeliti e la contro-lotta da parte di associazioni internazionali che si battono per il rispetto dei diritti digitali.

Nello specifico, in questo articolo, si vuole indagare il ruolo che gioca il potere delle immagini in questo violento confronto.

Che cosa succede a livello mediatico

In questi giorni, Twitter e Instagram hanno cancellato post, foto o video, hanno rimosso o bloccato account relativi alla tragica situazione palestinese.

Mona Shtaya, difenditrice dei diritti umani e responsabile della difesa locale per 7amleh, centro arabo per il progresso dei social media, dichiara che i contenuti dei post, ma perfino gli archivi delle vecchie storie, sono stati cancellati da Instagram così come Twitter ha sospeso la maggior parte dei profili pubblicanti contenuti volti a mostrare la tragedia palestinese.

La risposta di Instagram e Twitter è stata che il tutto è stato causato da un errore di sistema. In realtà non tutti i contenuti sono stati poi ripristinati. Marwa Fatafta, adviser per la Access Now, associazione no-profit per i diritti digitali, si è infatti rivolta alla Fondazione Thomson Reuters con queste parole: “The issue was not resolved. We’re demanding clarity on this censorship, and system glitches are no longer accepted as an excuse”. Marwa sta chiedendo a nome di tutti, a nome del rispetto dei diritti digitali, chiarificazione circa questa attività censoria. Ed è partendo da questa parola e da ciò che implica che si sviluppa la nostra riflessione circa il potere che le immagini hanno sul comportamento umano, sia sul fruitore sia sul creatore.

Perché lotta alle immagini?

Che la causa di tali eliminazioni sia un algoritmo sbagliato del sistema oppure che la causa sia dovuta a delle operazioni censorie volute ancora non è dato sapersi, la questione che si vuole affrontare in questo articolo tuttavia è capire la forza che le immagini esercitano.

Le organizzazioni per i diritti digitali stanno spingendo su questo fronte, sul ripristinare le immagini che sono state cancellate. Le domande che dobbiamo porci allora sono: perché? Che potere queste organizzazioni stanno conferendo alle immagini? Ma anche: che potere la censura vuole togliere alle immagini?

Combattere la disinformazione

Una motivazione delle associazioni potrebbe essere quella di combattere la dilagante disinformazione promossa dai mass media da parte degli israeliani. Questi ultimi infatti dichiarano di combattere per motivi religiosi. Quel che fanno effettivamente è bombardare una parte del territorio palestinese, Gaza per la precisione, dove abitano palestinesi di religione e islamica e cristiana e ebraica.

L’informazione supportata da immagini tramite social network, in questo specifico caso Instagram e Twitter, ha più forza e più presa rispetto a quella emessa tramite piattaforme digitali più tradizionali, soprattutto sui giovani. Non per niente uno dei post che Instagram ha cancellato è quello di Key48 Return, un’organizzazione comunitaria di studenti che spera nel Diritto di Ritorno dei Rifugiati Palestinesi.

Il post di Key48 Return riportava dieci immagini a fumetto in cui due ragazze, attraverso un dialogo e una presentazione storica delle difficili vicende che da sempre intercorrono fra questi due poli, chiarificano la situazione attuale: non si tratta di un conflitto religioso, ma di un’azione di colonizzazione da parte degli israeliani a danno dei palestinesi. La figura che risponde alle domande afferma che l’obbiettivo degli occupanti è di fare pulizia etnica, apartheid. Dichiarare che si tratta di un conflitto religioso è una scusa che serve a minimizzare la portata della situazione e a negare il diritto dei palestinesi alla liberazione, alla libertà e alla giustizia.

Risvegliare le coscienze

Un ulteriore motivo, strettamente legato al primo, potrebbe essere quello di risvegliare globalmente le coscienze, cioè combattere la disformazione attraverso la diffusione di immagini e video volti a mostrare le atrocità che si stanno svolgendo e a mostrare l’inimmaginabile, o forse sarebbe meglio dire “volti a mostrare l’immostrabile”.

Ma perché le immagini e non semplicemente l’articolo di giornale? Perché le immagini talvolta possono essere più espressive delle parole, la parola cioè può rappresentare un limite per l’immagine.

Questo carattere di limite appare con più evidenza quando mancano le parole per cogliere la densità di significato dell’immagine, o, per converso, ci si rende conto di non essere in grado e ci è fatto divieto di creare un’immagine di ciò che, tuttavia, può essere detto o nominato: Dio, l’infinito, il caos assoluto o il vuoto.

È stato fatto divieto di creare immagini di un vuoto così tanto pieno, di postare foto di una distruzione che lascia un nulla colmo di vittime.

La forza delle immagini

Ed è da qui che le tesi di William John Thomas Mitchell contenute nel suo volume Pictorial Turn diventano più concrete che mai: che cosa vogliono davvero le immagini?

Ponendo questa domanda, Mitchell sembra conferire a degli oggetti inanimati, le immagini, una forma di vita: le immagini vogliono, desiderano. Che senso avrebbe infatti cancellare delle immagini se queste non avessero una loro propria forza soggettiva?

Le immagini sono dei segni, esse comunicano dei significati e sono in grado di influenzare il comportamento umano. La questione dunque è come la soggettività di questi oggetti ha forza nella esperienza umana.

Si guardi l’esempio proposto da Mitchell in cui si dice che razionalmente ogni individuo ammetterebbe che le foto sono meri oggetti materiali. Eppure se un’immagine presentasse la foto della madre defunta, l’agente non sarebbe tanto propenso a distruggerla. Ecco allora che le immagini spesso comunicano con noi, come se fossero dotate di coscienza, di volontà, di agency.

Image e Picture

A questo punto è opportuno introdurre la differenza di significato fra image e picture. Image è l’immagine mentale, una allucinazione o l’immagine di una narrazione, mentre picture è l’immagine materiale, cioè su un supporto materiale. In parole più semplici, le picture può essere appesa ad una parete, ma la image no; la picture può essere distrutta mentre la image sopravvive alla distruzione e continua a vivere nelle narrazioni o nelle raffigurazioni successive.

Ed è qui che la teoria di Mitchell è più attuale che mai: le immagini hanno un potere sociale e le picture sono un antagonista politico popolare. Ma bisogna essere veloci se si vuole distruggere delle picture, bisogna essere più veloci della image che esse portano con sé, altrimenti le cose rimangono come prima, se non peggio. È la stessa tesi che supporta Derrida nel saggio Come non parlare. Denegazioni (contenuto in Psyché. Invenzioni dell’altro)  per cui evitare di parlare di qualcosa, soprattutto se l’impronunciabile è proibito, nel senso che non si tratta di un rifiuto scelto, ma di una incapacità imposta, ha l’effetto esattamente opposto, ovvero succede che “si ha successo nel dire molte cose”.

La messa in scena dell’impronunciabile

Quello che le organizzazioni dei diritti digitali stanno facendo è una messa in scena di ciò che gli israeliani (e a quanto pare non solo loro) vogliono che sia impronunciabile.

Questa lotta è condotta attraverso mezzi di comunicazione di massa e non mediante atti di violenza, proprio perché i mass media sono soprattutto visivi, riescono cioè a trasmettere e diffondere immagini. Le immagini che hanno un loro potere, quello di influenzare la reazione di chi ne fruisce. E se la picture viene cancellata da Instagram o da Twitter, ecco che la image si rafforza ancora di più.

Cancellare il post significa solo cancellare la traccia grafica, ma la traccia mentale rimane nella memoria più impressa che mai. L’immagine mentale può essere tanto forte quanto la violenza fisica, può modellare le reazioni umane, diffondendosi globalmente, tanto quanto un atto di violenza fisica. Si sta cercando di proibire le parole o le immagini in quanto violatrici del comandamento del silenzio e della non-visibilità. In altre parole, la censura esercitata in questo periodo dai mass media fa apparire ovvio il grande potere che le immagini hanno di operare un cambiamento.

FONTI

AlJazeera: Instagram, Twitter blame glitch for deleted Sheikh Jarrah posts

W. J. T. Mitchell: Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2017

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