Cosa accadrà quando il cambiamento climatico sarà irreversibile? Questa è la domanda al centro di Il muro di John Lanchester, un romanzo che rimescola le paure di questo momento per creare un futuro distopico che per certi versi potrebbe essere molto vicino a noi. A mancare all’appello è solo la pandemia, che del resto nessuno poteva immaginare nel 2019 quando questo libro è stato pubblicato per la prima volta in inglese.
John Lanchester ha dichiarato che il libro è stato ispirato da un sogno ricorrente di una figura in piedi su un muro. La prima domanda che Lanchester si è fatto è stata: “Chi è questa figura?”, ma poi si è reso conto che la vera domanda sarebbe dovuta essere: “Che cosa è successo? Perché è in piedi su quel muro?”, così è nato il libro.
Il romanzo è ambientato in un Regno Unito ormai autarchico dove, dopo l’innalzamento delle acque causato dal cambiamento climatico, è stato eretto un muro che percorre tutta la costa, non solo per impedire che il mare sommerga ampi spazi di terre, ma anche per tenere fuori gli Altri, ovvero tutti coloro che cercano di fuggire da zone del mondo ormai inabitabili. Tutti i ragazzi in questo futuro sono costretti a passare due anni sul muro come Difensori, devono cioè impedire che gli Altri riescano a oltrepassare l’imponente fortificazione di cemento. Qualora ciò accadesse, il gruppo di Difensori responsabile verrebbe abbandonato in mare e gli Altri accettati nella società a patto di servire come Aiutanti, ovvero a patto di diventare schiavi. I giovani si possono sottrarre a questi anni di servizio solo se decidono di diventare Figliatori: la crisi demografica causata dalla consapevolezza di consegnare i nuovi nati a un mondo brutale è fronteggiata dal governo con questa allettante proposta che permette un certo controllo anche sul concepimento.
Mancano alcuni dei classici elementi distopici. Non troviamo un governo autoritario che tutto sa e tutto spia, anche se il controllo sui cittadini è rigido e non lascia spazio per alternative. Non viene esplorato neanche il ruolo delle nuove tecnologie: l’unico tipo di controllo che offrono si realizza nell’impiantare un microchip in ciascun cittadino, dettaglio comunque piuttosto inutile, visto che queste tecnologie alla fine paiono non avere nessuna utilità. Manca anche una descrizione della classe politica. Sappiamo solo che fa parte di un’élite che si può ancora permettere di prendere l’aereo e di evitare la leva sul muro. Nonostante ciò Lanchester non si fa mancare il politico-caricatura che va a trovare i Difensori per incoraggiarli con messaggi vuoti e distanti dalle loro esperienze.
Grande assente del genere distopico è anche un qualche tipo di ribellione: ci aspetteremmo che il protagonista diventi parte di un’organizzazione o che conosca qualcuno che gli faccia capire quanto sia sbagliato il sistema, ma niente di tutto questo accade. Joseph Kavanaugh resta sempre fedele agli ideali del mondo che lo ha cresciuto, tutto si riduce al puro istinto di sopravvivenza.
La trama segue Joseph Kavanaugh da quando iniziano i suoi due anni sul muro fino a un incidente per cui verrà abbandonato in mare. Il libro si divide, piuttosto rigidamente, in tre grandi sequenze: la prima ci mostra Joseph che arriva al muro e deve abituarsi alla sua nuova vita, nella seconda entriamo nel pieno dell’azione, prima con un’esercitazione ad alto tasso di adrenalina e poi con uno scontro fatale che ci porta alla terza parte in cui Kavanaugh e il suo gruppo vengono abbandonati in mare e devono cavarsela nel mondo fuori dal muro.
La prima parte potrebbe essere descritta da due parole chiave: piattezza e grigiore. Il lettore si trova davanti a una sconfinata descrizione di eventi quotidiani, del freddo e del pessimo cibo. Il problema è che la monotonia della vita sul muro viene esasperata a un punto tale da diventare un orrore non solo per i Difensori, ma anche per i lettori. Questa parte però dovrebbe servire a definire le relazioni e i personaggi principali, peccato che “definire” non sia il verbo adatto: i personaggi e le loro relazioni appaiono infatti sempre e solo abbozzati. Forse Lanchester voleva richiamare Non lasciarmi di Kazuo Ishiguro in cui l’autore decide di non definire i propri personaggi per creare un contrasto tra l’assoluta normalità della loro interiorità e la situazione tutt’altro che ordinaria in cui si trovano. O forse voleva semplicemente mostrare l’alienazione di questi giovani dal futuro incerto, ma il risultato resta piuttosto blando.
Nella seconda e terza parte del libro veniamo catapultati in una serie di scene d’azione, in cui i personaggi e il mondo vengono messi in secondo piano per portare in superficie una storia di sopravvivenza in un mondo in cui vige la regola “ciascuno per sé”.
Su una cosa però Lanchester ha colpito nel segno: la guerra generazionale. Kavanaugh e i suoi amici, a cui è stato consegnato un mondo in fiamme, bruciano di risentimento per la generazione dei loro genitori che ha deciso di non agire e ha lasciato che il cambiamento avvenisse. Uno stravolgimento che fra l’altro non si ferma, continua a modificare i paesaggi e a mettere in fuga le persone che si trovano costrette a scappare, diventando Altri. La spaccatura che divide i giovani dagli anziani è enorme, è fatta non solo di rabbia, ma anche di rimorso e sensi di colpa e non c’è modo di creare un ponte che la attraversi. Quando Kavanaugh torna a casa per le vacanze i suoi genitori aspettano che se ne vada per perdersi nella nostalgia del mondo che non tornerà mai, guardando un documentario sul surf quando non esistono nemmeno più spiagge.
Il muro è un libro particolarmente incentrato sulla metafora, anzi è una metafora resa reale, al punto da diventare accondiscendente e sentenzioso, a tratti persino banale. Tuttavia l’idea di questo libro, almeno nelle intenzioni, può essere estremamente utile. Potremmo infatti classificarlo, più che sotto il grande ombrello della distopia, nel genere “cli-fi” ovvero “climate fiction”, letteratura che parla del cambiamento climatico. Il nome riecheggia sci-fi ovvero fantascienza, ma non può essere avvicinato a questo genere perché ormai fantascienza non è. Non a caso molti libri di climate fiction si ambientano in un futuro piuttosto immediato. I temi esplorati dal genere cli-fi sono generalmente quelli della forte connessione tra la crisi climatica e le ingiustizie sociali legate anche al razzismo e al sessismo; delle grandi migrazioni che la crisi provocherà; della violenza e brutalità della lotta alla sopravvivenza a tutti i livelli, da quello quotidiano a quello delle relazioni internazionali. Inoltre queste storie ci spingono a considerare la crisi climatica e quella migratoria come sfide alla democrazia e soprattutto come sfide che dobbiamo saper vincere, pena il disastro.
Forse scrivere libri che parlino di tutto questo sta diventando necessario perché potrebbe veramente accrescere la consapevolezza delle conseguenze tragiche a cui andiamo incontro. La letteratura potrebbe creare uno spazio di discussione sulle implicazioni sociali della crisi climatica e, forse, se crediamo veramente che i libri possano cambiare il mondo, potrebbe portarci su una più retta via. È il momento di chiedersi: qual è, e quale sarà, il ruolo della letteratura quando ci troviamo sull’orlo del disastro? Su questo Amitav Ghosh, in La grande cecità, propone una importante riflessione:
In un mondo sostanzialmente alterato […], i lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce e segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro? E allora questa nostra epoca, così fiera della propria consapevolezza, verrà definita l’epoca della Grande Cecità.
FONTI
John Lanchester, Il muro, trad. Federica Aceto, Sellerio, 2020
Amitav Ghosh, La grande Cecità: Il cambiamento climatico e l’impensabile, trad. Anna Nadotti e Norman Gobetti, Neri Pozza, 2017