Durante la pandemia da Covid-19 ci è stato chiesto, e tuttora ci viene chiesto, di stare a casa. Il fine di questa richiesta è quello di mantenere il distanziamento, fisico e sociale. In questo senso la pandemia sottopone il nostro senso del tatto a una sorta di proibizionismo: non possiamo toccarci, non possiamo avvicinarci tra di noi. Il contatto umano viene dunque considerato, in questo periodo, un medium attraverso il quale il virus si propaga.
Eppure, numerosi studi accademici hanno mostrato e mostrano come il senso del tatto, il con-tatto umano, giochi un ruolo fondamentale per lo sviluppo psico-cognitivo dell’essere umano. Ci troviamo allora a vivere una situazione storica paradossale: qualcosa che è una cura, il senso del tatto, è allo stesso tempo un veleno, il tatto è un portatore del virus. A quali conseguenze può dunque portare questa crisi da non-tatto umano?
La pandemia è un esercizio di sottrazione
La pandemia è dunque un esercizio di sottrazione e questa sottrazione si articola su più livelli: dobbiamo adesso convivere con i vuoti lasciati dalle persone che amiamo, dobbiamo convivere con lo smart working e con la didattica a distanza. Ma queste sono le mancanze più grandi, quelle che sembrano essere le più concrete, ci sono però anche altre assenze e si tratta di gesti che prima consideravamo piccoli, che passavano inosservati, ma che ora sono più grandi che mai: una carezza, un bacio o una stretta di mano.
I corpi e le mancanze
Non siamo mai stati così tanto protagonisti in un periodo storico come lo siamo in questo: siamo i protagonisti delle mancanze, i nostri corpi sono i protagonisti delle assenze. Ma i nostri corpi sono importanti, diversamente da quanto asseriva la tradizione platonica, e sono importanti nella misura in cui interagiscono con altri corpi. Noi non siamo nient’altro che veicoli di emozioni e di conoscenze.
Con l’aiuto di diversi studi accademici vediamo le implicazioni emotive e le implicazioni cognitive causate dall’assenza di contatto tra il nostro corpo e quello delle altre persone: dove ci condurranno queste mancanze? Dobbiamo ripensare il vivere presenziale dell’essere umano?
La dimensione emozionale e affettiva
Una carezza vuol dire felicità
Alberto Gallace, psicobiologista dell’Università di Milano Bicocca, afferma che l’incontro di due corpi, come può essere una semplice carezza, produce piacere.
Il morbido tocco del palmo di una mano su di un viso riesce a stimolare e ad attivare, mediante delle specifiche fibre nervose della pelle, alcune parti del cervello responsabili del piacere: si parla di un rilascio di ormoni come la dopamina, la serotonina e l’ossitocina. Questi ormoni sono capaci di controllare il meccanismo del nostro umore: ci rendono più felici. Il senso del tatto gioca in questo modo un ruolo fondamentale nello sviluppo affettivo ed emozionale dell’essere umano.
Il tatto è fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo
In aggiunta a questo studio, Tiffany Field, direttrice del Touch Research Institute alla Miller School of Medicine (parte dell’Università di Miami), dichiara che il tatto è fondamentale per la sopravvivenza dell’individuo tanto quanto lo sono l’acqua e il cibo.
Non solo diminuisce il livello di cortisolo (o ormone dello stress), ma diminuisce anche la produzione di cellule killer nei pazienti affetti da HIV o da cancro. Al contrario la mancanza di contatto fisico e affettivo alimenta gli atteggiamenti di carattere aggressivo. Così come è vero che l’assenza del calore umano causa nei più dei ritardi a livello cognitivo nei più piccoli.
La dimensione cognitiva
Il nostro corpo è un veicolo
La nostra pelle è dunque il veicolo attraverso il quale interagiamo con le cose e con il mondo circostante. Il nostro corpo è la nostra presenza: esso è situato, contestualizzato. Questo non significa altro se non che è co-estensivo dell’ambiente fisico, sociale e culturale che lo circonda. Ed è attraverso il nostro corpo che noi non solo scambiamo gesti d’affetto, ma conosciamo il mondo.
La conoscenza è situata
La conoscenza è un processo dinamico, storico, situato e relazionale che dipende dalla collaborazione delle intelligenze, cioè delle persone. Confrontarsiè una performance situata, ciò significa che non si fa in solitudine perché ogni volta che noi prendiamo la parola non solo ci rivolgiamo ad altri, ma ci rivolgiamo a un’umanità che è quell’insieme di corpi situati a cui ci rivolgiamo quando ci rivolgiamo a qualcuno.
La situazionalità in questo periodo
Il distanziamento, fisico e sociale, dovuto alla pandemia risignifica la situazionalità dei nostri corpi anche in ambito cognitivo. Le affordances, cioè i significati che sono ontologicamente radicati nelle cose stesse, si studiano con la presenza, il tempo e il confronto. E se la conoscenza è situata, allora anche la formazione degli studenti è situata. Essa non è una parentesi di cinque minuti e nemmeno di un’ora e mezza di lezione, bensì si svolge nel tempo, ha bisogno di tempo. L’educazione di una persona è un processo dinamico, situato, ma soprattutto presenziale.
Piattaforme social
Questa pandemia non ci permette di stare vicini, di viverci, di confrontarci. Non c’è contatto fisico eppure siamo in contatto. WhatsApp, Facebook, Instagram, Teams, Zoom o Skype mediano la nostra non-presenza, e lo fanno in una dimensione immateriale.
In questo modo, lo spazio privato della nostra cameretta è virtualizzato, ed è così da ormai un anno. Allo stesso modo, lo spazio pubblico dell’aula dell’università è mediato da queste piattaforme e il nostro corpo è tagliato visivamente a metà dagli schermi dei nostri pc o dei nostri telefonini. L’aula dell’università continua ad essere lì, ma il nostro corpo intero può solo restare qua. È cambiata l’estetica della presenza, poiché i nostri corpi sono ora imprigionati.
La presenza per emozionarsi, la presenza per imparare
Le persone hanno bisogno delle altre persone per imparare, per conoscere, per educare; hanno bisogno di toccare altri esseri umani e non soltanto gli schermi dei cellulari o dei computer, per emozionarsi, per affezionarsi, per essere felici.
Se l’interconnessione dei nostri corpi, in questo specifico periodo storico, viene meno dovremmo forse parlare di ciò che profeticamente Richard Kearney, professore di filosofia al College di Boston, ha chiamato “crisis of touch”, o crisi di tatto, una “excarnation” che rende la carne immagine.
Una crisi di tatto e contatto è privazione del tatto. Se il tatto, o il corpo, ha così tanti effetti benefici come abbiamo visto sopra, che cosa implica allora la privazione del tatto? Come sarà quando potremo (se potremo) avvicinarci di nuovo?
FONTI
The Economist, February 20th 2021, You’ve lost that lovin’ feeling
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