I canoni di bellezza non sono mai statici, ma cambiano e vengono influenzati dalle epoche e dal momento in cui l’essere umano vive. Seguono e rappresentano il tempo in cui essi stessi vengono vissuti.
Il corpo femminile, dalla Venere di Willendorf alle donne rinascimentali
Una delle prime e più famose rappresentazioni di un corpo femminile è la Venere di Willendorf. Questa statuetta scolpita in pietra calcarea e dipinta in ocra rossa, è alta all’incirca 11 cm e rappresenta un corpo femminile abbondante, con pancia, seni e glutei enormi. Un corpo grosso era venerato e considerato socialmente bello in molte società anche successive. Una donna formosa dava infatti l’impressione di essere sana, capace di procacciare il cibo per sé stessa e per la futura prole.
Questa visione della donna florida è perdurata anche in epoche successive, come quella greca, ma anche quella medievale e rinascimentale. Specialmente in periodi di carestia, questa caratteristica era riconosciuta positivamente poiché dava l’idea di geni forti e pronti a superare anche le avversità ambientali. Diversa era invece l’opinione sul volto, che, se in epoca preistorica aveva poca importanza, nei periodi successivi è diventato simbolo.
L’estetica maschile: è bello ciò che è forte
Pensando alle rappresentazioni maschili delle statue greche, si pensa subito alla bellezza dei muscoli, che paiono scolpiti quasi naturalmente nel marmo. In periodi storici dove l’occupazione principale di un uomo era la guerra, un corpo muscoloso e prestante era certamente da considerare bello, poiché ai muscoli si collegava immediatamente il successo fisico in battaglia. La forza come sinonimo di bellezza si è riscontrata anche nel Medioevo: un uomo che aveva il volto segnato da cicatrici era considerato più interessante, poiché aveva su di sé i segni delle sue eroiche gesta, visto che quasi sempre erano ferite procurate in battaglia.
Le Guerre Mondiali e il successivo boom economico
Con la crisi economica e sociale tra le due Guerre Mondiali, la visione della donna ritorna a essere quella antica: florida, formosa, icona di forza e di resilienza.
Il modello cambia radicalmente con gli anni Sessanta e Settanta. I vestiti di alta moda erano pensati principalmente per fisici alti, longilinei e androgini. La modella Twiggy divenne così un modello di bellezza . Questo immaginario dei fisici statuari delle modelle continuò fino ai primi anni Duemila, con esempi come Kate Moss e Naomi Campbell.
I canoni di bellezza 2.0
L’inclusività controcorrente
L’esposizione massiva del Web ha portato a dei fenomeni di denuncia e di lotta a favore di una normalizzazione del corpo umano e dei difetti. Basti pensare a modelli recenti come Armine Harutyunyan, la modella armena di Gucci, o a Frances McDormand, l’attrice premio Oscar. Le due donne hanno esposto con orgoglio i loro volti non canonici o i loro segni d’età e culturali, sottolineando che quello che stavano trasmettendo era il loro talento a prescindere dall’aspetto estetico.
Il benessere del mondo occidentale ci ha portato inoltre a considerare irrilevanti aspetti che ritenevamo potenzialmente discriminanti in periodi storici differenti, come l’abbronzatura o il colore della pelle in generale.
Diversi canoni di bellezza aiutano la specie
L’inclusività mentale e sociale e l’unione di diverse popolazioni hanno portato perciò anche a un rafforzamento della specie umana, portando ad apprezzare di più a livello estetico quello che prima poteva essere considerato “diverso”.
Il mito del bello
La riflessione filosofica sulla bellezza è sempre stata un tentativo di cogliere e spiegare l’intensità e le emozioni che una situazione, un oggetto, una persona ci trasmettono. Per questo motivo, non si può considerare la bellezza come un valore assoluto. L’estetica, infatti, viene definita “scienza delle sensazioni”, ed è per questo che definire ciò che è bello significa determinare come una cosa o una persona ci fanno sentire.