Émile Édouard Charles Antoine Zola, meglio conosciuto come Émile Zola, è stato un critico, uno scrittore, un fotografo, il maggior esponente del naturalismo francese.
Nasce a Parigi nel 1840 e affermatosi come critico d’arte difende la corrente dell’en plein air. La sua attenzione verso l’arte è accompagnata, fin dagli anni della giovinezza, da un approccio scientifico ispirato alle influenze di Claude Bernard, fisiologo francese considerato il fondatore della medicina sperimentale.
Questo rigore nei confronti della realtà, ispirato a un metodo scientifico, emerge già a partire dai suoi primi scritti, come in Thérèse Raquin e nel ciclo de I Rougon-Macquart, composto da venti romanzi, ciascuno ambientato in un luogo specifico, che osservano e documentano la vita del suo tempo senza filtri né sconti per alcuna realtà.
Descrivere come fa Zola non significa solamente dar la possibilità al lettore di vedere attraverso le parole, ma mostrare come la patria della Rivoluzione, che gridava alla libertà e all’uguaglianza, fosse in realtà corrotta e impassibile di fronte a ogni sopruso.
E questa volontà di denunciare e testimoniare – che è cosa ben diversa dal solo atto di denunciare – diventa evidente in particolar modo con l’affaire Dreyfus.
Per capire appieno quanto l’atto di Zola sia stato rivoluzionario è fondamentale conoscere il momento storico e politico in cui tutto ciò avvenne: nel 1894 Alfred Dreyfus, un ufficiale dell’esercito francese di origine ebrea, veniva arrestato sotto l’accusa di alto tradimento per aver apparentemente rivelato informazioni segrete all’Impero tedesco.
Quello di Dreyfus divenne un caso di stato, che provocò una spaccatura di opinione fra tutta la popolazione francese che vedeva opporsi i dreyfusards e gli antidreyfusards. I primi, secondo gli ideali socialisti che si stavano affermando all’epoca, vedevano come valori chiave della loro presa di posizione la libertà e il progresso; i secondi, legati ai più antichi principi della patria e dell’esercito e con l’appoggio delle forze del clero, rintracciavano nel caso Dreyfus una delle tante prove secondo cui la causa di ogni male sarebbero stati gli ebrei.
E se l’opinione pubblica spaccata a metà non è sufficiente per definire il peso di questo caso, è opportuno sapere che costituì per la Francia lo spartiacque tra la guerra franco-prussiana e la Prima guerra mondiale, comportò la dimissione di ministri, la creazione di nuovi gruppi politici e un tentato colpo di Stato. Dreyfus venne infine condannato alla deportazione a vita sull’isola di Caienna.
Dopo la sua condanna, i familiari di Dreyfus e pochi intellettuali francesi, si mobilitarono con l’obbiettivo di riaprire il processo e dimostrare l’innocenza del condannato, ma non ci fu alcuna svolta, se non fino a quando, tre anni dopo, Émile Zola decise di intervenire nel caso.
Zola decise di agire quando, venuto a conoscenza di ulteriori elementi sul caso, sospettò che Dreyfus fosse stato accusato senza alcuna vera prova contro di lui, ma solo in ragione della necessità di un capro espiatorio.
Lo scrittore francese si schierò quindi in modo molto netto contro l’esercito e la politica e la sua presa di posizione determinò la svolta di questo caso. Decise di pubblicare sul giornale socialista «L’Aurore» una lettera, ormai da tutti riconosciuta come il J’accuse di Zola.
L’affaire Dreyfus può essere considerato il primo caso d’Europa in cui l’arte degli intellettuali, nel caso più specifico di Zola la scrittura, intervenne in difesa dell’uomo e della democrazia.
Questi interventi non furono affatto vani, le parole di J’accuse ebbero un grande peso sull’opinione pubblica. Si tratta di un testo breve in cui si ripercorre il caso Dreyfus, nel quale vengono rivelati gli errori del caso, forse meglio definibili come complotti e, non meno importante, fa nomi e cognomi di coloro che avevano tentato di sabotare un innocente.
L’intento di Zola era di dare all’ex ufficiale dell’esercito francese un processo civile integro, privo di corruzione.
Formulando queste accuse, non ignoro che mi metto sotto il tiro degli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 29 luglio 1881, che punisce le offese di diffamazione. Ed è volontariamente che mi espongo. Quanto alla gente che accuso, non li conosco, non li ho mai visti, non ho contro di loro né rancore né odio. Sono per me solo entità, spiriti di malcostume sociale. E l’atto che io compio non è che un mezzo rivoluzionario per accelerare l’esplosione della verità e della giustizia. Ho soltanto una passione, quella della luce, in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità.
Le sue parole non trovarono solo sostenitori: i poteri politico-militari iniziarono a perseguirlo per diffamazione dell’esercito. Zola fu processato e condannato al massimo della pena, un anno di carcere e 3000 franchi di multa. Lo scrittore però optò per l’esilio a Londra.
Il caso era tutt’altro che chiuso. Da questo momento iniziò a rivelarsi la verità sul caso Dreyfus. Il ministro Cavaignac arrestò il colonello Henry, accusato da Zola di fabbricazione di prove false: l’ufficiale dopo la confessione si uccise. La Corte di Cassazione accettò di riaprire il processo per una revisione: era ormai chiaro che non si trattava di un errore, ma di un intrigo architettato per trovare una vittima da rendere colpevole.
Dreyfus, anche nel secondo processo, venne inizialmente dichiarato colpevole di tradimento e fu condannato a dieci anni di lavori forzati, ma grazie alle parole di Zola ci fu una mobilitazione generale che portò alla concessione della grazia. L’imputato doveva scegliere o di confessare la propria colpevolezza, con la conseguente riappropriazione della libertà, o di continuare a dichiararsi innocente scontando però la pena.
Scelse, deludendo molti dei suoi sostenitori, la prima opzione: ammise una colpa non vera per chiedere la grazia al presidente della Repubblica, Emile Loubet.
Nel dicembre del 1900 venne concessa una grazia per tutti i reati connessi all’affaire Dreyfus: sia Zola che i militari colpevoli furono assolti.
Nel luglio del 1906 anche la sentenza di Dreyfus fu annullata e il generale venne reintegrato nell’esercito, ma solo 60 anni dopo la sua morte, nel 1995, l’esercito francese confesserà in modo definitivo l’innocenza di Alfred Dreyfus.
Senza le parole di Zola questo caso non sarebbe probabilmente stato riaperto; grazie al suo coraggio Zola ha rinunciato alla tranquillità della sua vita, nonostante fosse già molto noto e non avesse bisogno di intervenire in un simile caso per farsi conoscere, diventando il simbolo dell’intellettuale che interviene e prende posizione, mettendo a rischio la sua stessa vita, la cui fine non è tuttora molto chiara.
FONTI
Émile Zola, J’accuse, a cura di G. Pintorno, La Vita Felice, 2002
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