In questo triste periodo di restrizioni, uno degli aspetti che più ci mancano è senza dubbio viaggiare. D’altra parte, il turismo è stato tra i settori più colpiti dalle conseguenze della pandemia. Purtroppo, però, spesso il turismo incontrollato può rivelarsi dannoso per gli ambienti visitati: pensiamo semplicemente ai giganteschi hotel costruiti nei luoghi più improbabili, con inevitabili ripercussioni sul territorio.
O ancora, alle grandi navi da crociera che penetrano nella laguna di Venezia, volutamente indifferenti di fronte ai danni che provocano al patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale della città. Per tutelare le bellezze veneziane, di recente il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia di trasporti e per la disciplina del traffico crocieristico nella laguna. Viene così vietato l’ingresso dei “giganti del mare” nel bacino di San Marco.
Queste soluzioni estreme non possono però essere prese ovunque. Si pensi ai numerosi piccoli borghi italiani: non tutti hanno la possibilità di ricevere le attenzioni del Consiglio dei ministri per contrastare il degrado provocato dai turisti, che con noncuranza approfittano delle bellezze culturali e paesaggistiche offerte dal nostro Paese e non si preoccupano di rispettare né l’ambiente né i costumi locali.
Sembra dunque che il turismo sostenibile sia soltanto un’utopia. Ma è davvero così?
Un’ospitalità diversa
Una valida alternativa ai grandi hotel dagli innumerevoli piani è l’albergo diffuso, una struttura ricettiva molto particolare, che si sviluppa, diversamente dagli imponenti grattacieli, in senso orizzontale. L’albergo diffuso non richiede nemmeno la costruzione di nuovi edifici, perché è formato da più abitazioni preesistenti, che per varie ragioni non sono più abitate. Queste ultime vengono così recuperate, spesso ristrutturate, e infine adibite a strutture ricettive di qualità.
Come spesso accade, un’idea innovativa e di rinascita sorge purtroppo da una tragedia. È il caso del concetto di albergo diffuso, elaborato a Carnia, in Friuli Venezia-Giulia, dopo il terribile terremoto del 1976. Il sisma del 6 maggio raggiunse infatti a una magnitudo 6.5 della scala Richter ed è attualmente considerato come il quinto peggior evento sismico che ha colpito l’Italia nel Novecento. I numerosi danni del terremoto, amplificati dalle successive scosse di assestamento nei mesi estivi, colpirono soprattutto i piccoli borghi, che si trovavano in posizioni sopraelevate (alcuni, in cima a delle alture, sono stati in gran parte distrutti) e avevano costruzioni piuttosto antiche.
Negli anni successivi al terremoto, emerse un progressivo spopolamento di queste piccole aree, che pare ancora inarrestabile. Tuttavia, per contrastarlo nasce l’idea di una forma di turismo diversa, che tende a valorizzare le case già presenti, ristrutturate dopo il terremoto. È la struttura decentrata dell’albergo diffuso, che verrà elaborata nel dettaglio da Giancarlo Dall’Ara, docente di marketing turistico. Si tratta di un modello di ospitalità made in Italy, riconosciuto formalmente dalla normativa nel 1998, per un complesso in Sardegna.
Un bene per l’ambiente, ma non solo
L’impatto dell’albergo diffuso sull’ambiente è bassissimo, perché, come si è già accennato, non è necessaria la creazione di alcun edificio ex novo; d’altra parte, ciò non pregiudica la validità del servizio alberghiero offerto, che fornisce tutto ciò di cui il turista può avere bisogno, in forme diverse a seconda della zona. Di solito viene messo a disposizione un servizio di ristorazione completo, che avviene però nei ristoranti del borgo ed è regolato da alcune convenzioni con i gestori dell’albergo.
Tutto ciò ha dunque un impatto positivo anche sull’economia locale, poiché favorisce lo sviluppo turistico del territorio, in una forma meno invasiva rispetto al classico turismo di massa. La rivalutazione dell’ambiente infatti passa anche attraverso il benessere – pure quello economico – che questa forma di turismo porta a tutta la comunità. Favorisce poi il mantenimento della cultura locale, che emerge già dall’arredamento delle case, scelto accuratamente e in armonia con l’ambiente circostante.
È lo stesso Giancarlo Dall’Ara, oggi presidente dell’Associazione Nazionale Alberghi Diffusi, a sottolineare il fatto che questa forma di turismo non si limita a una gestione unitaria di una rete di case, ma costituisce contemporaneamente “una teoria dello sviluppo turistico dei territori e una filosofia dell’accoglienza”, differente rispetto allo standard. Il turista vive il territorio in maniera autentica e trascorre il proprio tempo con i suoi abitanti, mentre fa esperienza di un’ospitalità diversa, caratterizzata da uno sviluppo orizzontale, lontano dal consumo frettoloso tipico degli hotel tradizionali.
Dall’Italia all’estero
L’albergo diffuso è un modello tutto italiano, indubbiamente efficace per valorizzare i piccoli centri storici dei paesini lontani dalle zone centrali, ma custodi di bellezze inestimabili. Nuclei di antica formazione, insediamenti rurali o montani sono piuttosto frequenti nel nostro Paese. È in questi luoghi che si trovano la maggioranza degli alberghi diffusi, benché ciò non escluda la presenza di significative esperienze in contesti diversamente urbanizzati.
Secondo un articolo di Giancarlo Dall’Ara risalente a gennaio 2020, in Italia vi sono 130 alberghi diffusi ufficialmente riconosciuti con questo nome. Vi sono inoltre moltissime altre forme di ospitalità e servizi alberghieri che si ispirano a questo modello. Il riconoscimento del valore di quest’esperienza ha assunto dimensioni internazionali nel 2010, dopo un articolo apparso sul New York Times, in cui sono illustrate le potenzialità di questa innovativa forma di turismo. Da quel momento, gli alberghi diffusi si stanno gradatamente espandendo in tutto il mondo, dalla Germania al Giappone.
Oggi, dopo l’esperienza pandemica, non possiamo dimenticare l’importanza di un turismo responsabile e attento alle specificità locale. Rammentiamo la bellezza di dare valore all’esistente e alle culture locali e magari, in attesa dell’incerta estate che ci aspetta, valutiamo una vacanza un po’ diversa. A voi il (piacevole) compito di trovare la vostra “meta diffusa” preferita.