Il Partenone: simbolo della classicità, il più delle volte mitizzato, idealizzato come un punto di non ritorno e oggi considerato uno dei più grandi monumenti culturali del mondo.
La storia
Il Partenone fu realizzato nel V secolo a.C. per ordine del tiranno e mecenate Pericle, a partire da un precedente risalente al 480 a.C. e distrutto dai Persiani. Pericle volle ricostruire quello che poi divenne il tempio greco per eccellenza, dedicato alla Dea Atena. L’acropoli divenne il più grande centro culturale del suo tempo, avviando un progetto di costruzione ambizioso destinato a durare per tutta la seconda metà del secolo
Il cantiere Pericleo
Completato nel 432 a.C. il Partenone è un tempio dorico octastilo e periptero con caratteristiche strutturali ioniche. Callicrate, Ictino, e Mnesicle furono gli architetti che lo progettarono, realizzandolo a prosecuzione di un progetto già avviato con Callicrate sotto Cimone. La costruzione avvenne sotto la stretta supervisione dello scultore Fidia, il quale oltre ad essere nominato Episkopos, realizzò anche le decorazioni scultoree e la statua di Athena Parthènos destinata al naòs.
Famosi divennero i fregi scolpiti da Fidia e i suoi allievi. Questi ultimi, tra Settecento e Ottocento, divennero oggetto di contesa fra Francia e Inghilterra durante il periodo in cui, grazie alla riscoperta della classicità con gli scavi di Ercolano e Pompei, numerosi aristocratici da molti Stati diversi, fecero continue depredazioni.
L’esplosione del 1687
Il Partenone mantenne la sua integrità fino al periodo Medievale, quando i Turchi lo trasformarono in una Moschea. Successivamente, tra XIV-XV secolo, sotto il potere spagnolo e quello francese, l’acropoli nel complesso fu trasformata in un castro Medievale, aggiungendogli anche un campanile. Perse completamente la sua faces origines a partire dal 1687, quando avvenne una grande esplosione; infatti la Repubblica di Venezia inviò una spedizione guidata da Francesco Morosini per attaccare Atene e catturare l’acropoli, che era stata fortificata dai turchi, e usò il Partenone come polveriera, pur conoscendo i rischi di questo uso e sapendo del rifugio per la comunità turca della città.
Fra Settecento a Ottocento
L’Acropoli di Atene fra Settecento e Ottocento versava in condizioni disastrose e durante i Gran Tour, nobili intellettuali e letterati si recavano ad Atene dove gli abitanti del luogo, incuranti e inconsapevoli del patrimonio che possedevano, erano ben felici di vendere loro i frammenti di arte classica. Questa compravendita di reperti archeologici si mutò in una vera e propria competizione, soprattutto nell’ultima metà del Settecento, quando l’ambasciatore francese alla corte ottomana, grazie alla grande amicizia che lo legava con i funzionari della corte turca, riuscì a ‘’staccare’’ dall’edificio un frammento di fregio per portarlo a quello che fu prima definito Museè de la Revolution (oggi Louvre), poi Museè Napoleon per formare quella che doveva essere la Nuova Atene.
I marmi di Lord Egin
Tra il 1801 e il 1814 l’ambasciatore inglese Lord Egin, che si trovava presso la corte ottomana, mandò i suoi agenti per tutta la Grecia alla ricerca di ricchezze antiche. Tra queste, le più desiderabili erano soprattutto i fregi del Partenone, ricostruiti attraverso dei disegni poi pubblicati e resi noti da vari intellettuali nel 1789.
Se oggi questa corsa ai frammenti classici appare inconcepibile, basti pensare che all’epoca fu resa possibile dal fatto che la zona dove si trovava il Partenone era un luogo poco frequentato e abbastanza malfamato, pieno di capannoni e baraccopoli ai piedi dell’acropoli.
Ottenuto il permesso dal Governo centrale di Costantinopoli per rimuovere parti dei detriti, Lord Egin rimosse i fregi addossati al Partenone in maniera spietata rispetto ai suoi predecessori e soprattutto organizzata, grazie alla numerosa equipe di cui disponeva (oggi il documento originario è andato perduto e nella sintesi autentica che possediamo non si parla di alcun fregio, ma solo di detriti e frammenti).
Tale violenta depredazione fu giustificata dall’ambasciatore dal fatto che solo in questo modo in Inghilterra si sarebbero promosse maggiormente le arti e l’architettura. In realtà, egli aveva interessi molto più personali: era pieno di debiti e solo in questo modo, vendendo o a privati o allo stato Britannico tali opere, sarebbe riuscito a riparare i suoi debiti.
La compravendita dei Fregi
Quando i fregi giunsero nel 1816 in Inghlterra, a seguito di un trasporto difficilissimo che vide la perdita di una parte di questi, il governo doveva decidere se acquistare tali sculture o meno. Erano impreparati nel giudicarle in quanto era qualcosa di nuovo a cui nessuno sapeva dare un valore. E, inoltre, nessuno sapeva giudicarle per il loro valore stilistico e artistico. Intervennero alla compravendita tre grandi intellettuali: Ennio Quirino Visconti, Richard Knit e Antonio Canova, l’unico a riconoscerne la grandezza artistica. La vicenda si concluse con la compravendita dei capolavori di Fidia da parte dell’Impero Britannico per ben Trentacinquemila Sterline.
Gli scavi nell’Acropoli
I primi lavori di restauro di cui si ha traccia furono eseguiti nel 1895 dall’architetto e archeologo greco Nikolaos Balànos, che fu direttore dei restauri dell’Acropoli su cui pubblicò, nel 1938, una monografia. Durante gli scavi, si decise di radere completamente al suolo tutti gli elementi dopo il periodo antico e più precisamente, tutti quegli elementi che non appartenevano al V secolo a.C. con l’idea che solo in questo modo si sarebbe potuta restituire un’immagine cristallizzata e inviolata nel tempo.
A partire dagli anni Ottanta del Novecento si cominciò a parlare di un processo di restituzione alla Grecia da parte del British Museum, dove oggi sono conservati i frontoni. All’epoca anche Melina Mercuri, attrice divenuta Ministro dei Beni Culturali Ellenici, lanciò la cosidetta “campagna di Restituzione” che ancora oggi è oggetto di grande dibattito.
FONTI
Marcello Barbanera, Storia dell’archeologia classica in Italia: Dal 1764 ai giorni nostri, Laterza, 2015.