Casa. Mai come in questo ultimo anno ci siamo ritrovati a pensare e riflettere sul significato che questo termine racchiude. Le quattro mura domestiche hanno rappresentato per lungo tempo l’unico luogo con il quale interfacciarci, l’unico in cui cercare riparo e conforto, anche se non per tutti è così. È proprio attorno a questo concetto che My Girl Is Retro ragiona nei mesi di lockdown, chiedendo anche sui suoi profili social cos’è casa per ciascuno.
Una stanza disordinata, il cane sul divano, la caffettiera sul fornello, un terrazzo al sole. Insomma, quei piccoli dettagli che abbiamo dovuto necessariamente rivalutare nei giorni in cui quello era tutto ciò che potevamo vedere. Carlo Cianetti, classe ’99, sa che c’è sempre tempo per tornare ad amare. Sono stati dei mesi in cui abbiamo dovuto necessariamente essere forti, dando così valore all’attesa, perché ci farà amare ancora più di prima.
“La strada verso casa è un inno alla memoria, affinché allevi la distanza, e all’amore sincero, quello che sa accettare che a volte le cose sono più grandi di noi e non possiamo spiegarle. È la speranza di tornare a fare tutte le cose che amiamo con le persone che amiamo”. Così My Girl Is Retro spiega il suo brano, ma noi de Lo Sbuffo lo abbiamo incontrato per scambiare due chiacchiere, da cui sono emerse interessanti considerazioni.
Ciao Carlo, innanzitutto grazie per il tuo tempo. Abbiamo ascoltato il tuo nuovo brano, ma prima di incominciare la domanda viene da sé: ti fai chiamare My Girl Is Retro, perché? Come nasce questo pseudonimo e che significato ha per te?
Il nome My Girl Is Retro nasce per caso: avevo trovato un font con questo nome e mi piaceva l’immagine che dava. Mi ricordo di aver pensato “sarebbe un bel nome per un progetto musicale” e così, quando ho fatto uscire il mio primo EP, l’ho usato. Questo nome ha però ora per me un significato in più: rappresenta Agnese, la mia fidanzata, che anche in questo progetto è una parte fondamentale nel supporto e nella realizzazione dei vari contenuti.
Sei nato ad Assisi, cresciuto ai piedi della pianura di Perugia, ma oggi vivi a Bologna. Hai nostalgia dei tuoi luoghi natii? Vorresti mai tornare nella tua città o non vorresti rinunciare alla tua nuova vita?
In realtà torno spesso da Bologna in Umbria: è un territorio con cui ho ancora un legame profondo e che considero casa mia. È una zona che mi trasmette un senso di tranquillità e pace. Ovviamente vivere a Bologna mi ha però consentito di ampliare molto gli orizzonti, anche e soprattutto musicali: è una città viva, piena di eventi, concerti, studenti. Ho conosciuto tante persone che mi hanno aiutato nella crescita del progetto. Non credo di poter rinunciare a nessuna delle due realtà.
Abbiamo avuto molto a che fare con il concetto di “casa” nell’ultimo anno. Cos’è “casa” per te? Dove ti senti a casa?
Paradossalmente, in questo ultimo anno, credo che abbiamo capito davvero come “casa” non sia solo il luogo fisico, fatto da quattro mura – dove siamo rimasti chiusi – ma sono tutte quelle persone che amiamo e che proprio in questo ultimo periodo, per la maggior parte del tempo, ci sono mancate. In fondo mi sento a casa dovunque ci siano persone che mi ci fanno sentire, che sia a Bologna o Perugia.
Per molti è stato difficile trovare ispirazione per la propria arte, trovandosi costretto nelle mura domestiche di punto in bianco. Per te non sembra essere stato così. Come trovi l’ispirazione per scrivere?
Non è stato facile neanche per me trovare le giuste ispirazioni. Spesso passano lunghi periodi, anche mesi e mesi, in cui non scrivo, ma penso. Poi arriva il giorno giusto e in un pomeriggio inizio e finisco una canzone. Credo che il mio processo di scrittura funzioni per “immagazzinamento”, assorbendo tutti gli input e gli stimoli possibili che poi esplodono all’improvviso. Scrivo solo quando ho davvero necessità di dire qualcosa, quando la sento come urgenza.
Passiamo al nuovo brano, La strada verso casa. Dal testo emerge una dedica di speranza e intimità: pensi a qualcuno quando scrivi e canti?
“La strada verso casa” in particolare è dedicata alla mia fidanzata: ad aprile festeggiava il compleanno, ed essendo in pieno lockdown non potevamo vederci. Così scrissi questa canzone che racchiude un po’ tutti i sentimenti, le incertezze, le speranze di quel periodo e la usai come regalo. Fu molto catartico.
Ormai stiamo imparando a convivere con questa nuova realtà in cui siamo immersi e abbiamo avuto modo di riprendere qualche attività che nel mese di marzo, quando hai composto il singolo, siamo stati costretti ad abbandonare. Cosa non vedevi l’ora di fare e cosa aspetti di fare quando le cose si saranno ufficialmente sistemate?
Sicuramente ricominciare a uscire, rivedere gli amici, passare anche solo qualche ora insieme ad un bar sono momenti di semplicità che mi ha fatto molto piacere recuperare. La grande speranza, per quanto mi riguarda, è quella di poter ricominciare ad andare ai concerti, sia da pubblico che da artista: poter portare l’album, in qualche modo, in tour, sarebbe una grande soddisfazione. Io sono giovane, ancora non vivo di musica, ma da un anno tanti lavoratori dello spettacolo – che sono molti anche tra le mie conoscenze – sono fermi ed in grande crisi. Spero che presto, in qualche modo, si riesca a ridare fiato a questo settore.
Nel brano ti chiedi “il vero amore cos’è”. Hai trovato una risposta?
Sicuramente non ne esiste una assoluta. Diciamo che ho cercato di dare la mia risposta personale, che sentivo giusta in quel momento, ovvero “tenere la porta aperta, anche se non ti sto aspettando”: il vero amore è anche sapere aspettare, con la fiducia che questo, anche quando il mondo sembra stia finendo, trovi una via.
Al termine del pezzo c’è una voce in spagnolo. Qual è il suo significato e chi sta parlando?
Fin dall’EP mi è piaciuto inserire piccoli estratti da film o video nelle canzoni. È un espediente che ho mantenuto anche in questo nuovo brano. In particolare, l’audio viene da un’intervista allo scrittore Borges, che parlava del ruolo dello scrittore e della vita solitaria. Diceva che se è fortunato può accorgersi di aver intorno “amici invisibili”, a cui ha dato voce e che lo amano. Credo che come concetto sia avvicini molto allo spirito di questa canzone.
La strada verso casa si distanzia notevolmente dal tuo singolo precedente, Tango!, atto I. Quali sono state le tue influenze musicali sotto questo punto di vista?
Entrambi i singoli sono frutto della ricerca musicale che ho fatto in questi due anni e mezzo: ho cercato di essere al passo con le nuove uscite, soprattutto estere, e di recuperare grandi artisti del panorama internazionale che mi ero perso, avendo ascoltato sempre musica italiana. Per fare qualche nome, direi che nei nuovi brani c’è molto di Sufjan Stevens, Phoebe Bridgers ed Helado Negro, ma anche artisti nostrani come Andrea Laszlo De Simone o Colapesce. L’intenzione è quella di ridare spazio e valore anche alla parte musicale e produttiva dei brani, oltre che ai testi che per me sono sempre stati centrali.
Sei molto giovane ma hai mosso i primi passi nel mondo della musica nel 2018. Ti senti cresciuto da quel momento? In cosa sei cambiato, lavorativamente parlando?
Assolutamente sì. Il primo EP è stato quasi un gioco, un salto nel buio. Adesso invece ho più consapevolezza di come funziona questo mondo, del grande lavoro che c’è dietro ogni brano e l’obiettivo è quello di impegnarsi sempre di più per fare le cose al meglio, con più professionalità possibile. Ho avuto la possibilità di lavorare con grandi professionisti, come Francesco Pontillo e Luca Agnolini al Deposito Zero Studios, dove ho registrato il disco, ed entrare in contesti del genere ti fa crescere molto.
Il futuro oggi più che mai, soprattutto per noi giovani, è assolutamente incerto. Ma nessuno ci ferma dal sognare e pensare in grande. Quali sono i tuoi obiettivi? I tuoi progetti più attuali, invece?
Il focus al momento è sul finalizzare al meglio il disco. Sono ormai passati tre anni dall’uscita dell’EP ed è elettrizzante tornare con qualcosa di nuovo. Anche questo sarà una sorta di salto nel buio, perché per certi versi è un lavoro molto diverso da “Bordopiscina”. Spero che sarà apprezzato e come dicevo prima, l’importante sarà poterlo portare live, che è spesso la parte più gratificante e divertente del ciclo di vita di un album.