La democrazia è necessaria per la pace e per minare le forze del terrorismo. (B. Bhutto)
Se prendete un aereo e volate in Pakistan, a Islamabad, atterrate all’Aeroporto Internazionale Benazir Bhutto. Questo luogo, che fino a pochi anni fa era noto semplicemente come Aeroporto Internazionale di Islamabad, è stato intitolato nel 2008 ad una figura che ha segnato la storia del Paese per sempre. Benazir Bhutto è stata una donna, una leader e il simbolo di un cambiamento che, purtroppo, il Pakistan sta ancora aspettando.
Chi era Benazir Bhutto
Nella vita della Bhutto ci sono state due grandi costanti: la politica e il conflitto. Nata il 21 giugno del 1953, era la figlia di Zulfiqar Ali Bhutto, diventato Primo Ministro nel 1973, ma deposto e impiccato nel 1979. Seguendo le orme del padre, Benazir si laurea in scienze politiche ad Harvard e si specializza in politica, filosofia ed economia a Oxford, prima di tornare in Pakistan e iniziare la sua carriera politica. Dopo la deposizione del padre passa cinque anni agli arresti domiciliari prima di poter tornare nel Regno Unito, dove diventa il leader esiliato del Partito Popolare Pakistano (PPP).
Già dai primi anni, Benazir Bhutto ha fatto della lotta all’estremismo politico e religioso il suo punto focale. Nel 1988, dopo la morte del dittatore Zia-ul-Haq, fa ritorno in Patria per correre alla carica di Primo Ministro. Al suo ritorno, quello che trova è un Pakistan molto cambiato. Durante gli anni della dittatura, Zia ul-Haq impose una visione integralista, islamizzando le forze armate e tentando di rifondare il Califfato. Non solo, in una cornice da Guerra Fredda gli Stati Uniti finanziarono generosamente il Pakistan per combattere il governo comunista dell’Afghanistan, sostenuto dall’Urss.
Il contesto in cui si inserisce la Bhutto non è certamente semplice, ma nonostante questo riesce a vincere le elezioni e diventa il Primo Ministro più giovane di sempre e la prima donna a rivestire tale carica in un Paese musulmano. Il suo mandato dura un anno e mezzo appena. Nel 1990 viene destituita dal Presidente della Repubblica in seguito ad accuse di corruzione.
Le accuse di corruzione
La figura di Benazir Bhutto è senz’altro controversa. Alla determinazione e al coraggio di questa donna si aggiungono accuse di corruzione che la accompagneranno per il resto della vita. Dalla sua elezione in poi, infatti, si sono susseguite diverse accuse a suo carico e soprattutto a carico del marito Asif Ali Zardari. La Bhutto ha sempre negato ogni insinuazione, definendo ogni accusa una “mossa politica” posta in essere dal Governo pakistano per screditare la sua persona.
Va comunque detto che i sospetti sulle presunte attività di corruzione e riciclaggio condussero all’arresto del marito, condannato a cinque anni di carcere, e a una serie di indagini condotte dai governi di Svizzera, Polonia e Francia. Nel 1993 Benazir vince nuovamente le elezioni, ma a causa della reputazione del marito e di nuove indagini a suo carico, si dimette nel 1996. Non potendosi più ricandidare, in quanto la costituzione vigente al tempo vietava il terzo mandato, va in esilio volontario a Dubai.
Rientro in Pakistan
Otto anni dopo Benazir Buhtto rientra in Pakistan, dopo una negoziazione con l’allora presidente Musharraf, per una divisione dei poteri nel Paese. In seguito a tale trattativa, Musharraf concede un’amnistia che permette alla Bhutto di tornare a casa.
Il 18 ottobre 2007, a Karachi, una folla di sostenitori festeggia il ritorno in Pakistan della loro leader. Quel giorno si consuma uno dei peggior attentati del Paese. Al passaggio del corteo, un kamikaze si fa esplodere tra la folla, uccidendo 139 persone. Benazir non si ferma, coraggiosa e determinata a portare avanti il processo di liberalizzazione del Pakistan, continua la sua campagna elettorale per le elezioni che si sarebbero tenute nel 2008.
L’omicido di Benazir Bhutto
I militanti islamici scrivevano e distribuivano opuscoli in cui si diceva che era un dovere dei musulmani credenti ammazzarmi perché come donna avevo usurpato il posto di un uomo.
La sua corsa elettorale durò ancora pochi mesi. Benazir Bhutto fu assassinata il 27 dicembre 2007 durante un attentato a Rawalpindi, al termine di un comizio. Mentre si allontanava a bordo di una Toyota blindata, un proiettile sparato da un poliziotto lì vicino la colpì. Pochi istanti dopo, un kamikaze si fece esplodere vicino alla sua vettura, provocando la morte di venti persone. A pochi mesi dal suo ritorno, dopo una vita passata a lottare e a difendersi dagli attacchi degli oppositori, il Pakistan perdeva il suo simbolo di emancipazione.
All’indomani dell’omicidio, il presidente pakistano Pervez Musharraf condannò l’attentato, accusando “terroristi islamici” di essere i mandanti. Sulla vicenda, tuttavia, restano molti dubbi. Pochi giorni dopo, infatti, Mustafa Abu al-Yazid, capo delle operazioni dell’organizzazione terroristica al-Qa’ida in Afghanistan, confermò il coinvolgimento dell’organizzazione terroristica nell’attentato a Rawalpindi.
Il marito della Bhutto, malgrado ciò, accusò il presidente Musharraf, con cui la Bhutto aveva incrinato i rapporti dopo che il Presidente aveva imposto lo Stato di Emergenza. Il governo, in sua difesa, annunciò di aver identificato il mandante nel leader talebano Baitullah Mehsud. Tuttavia, questa volta, Al-Qa’ida negò escludendo ogni coinvolgimento nella vicenda. Le indagini non si fermarono.
Nel 2017 il tribunale antiterrorismo di Rawalpindi ha condannato Musharraf latitante in merito al caso di omicidio della Bhutto, dopo che quattro anni prima una corte Pakistana l’aveva condannato agli arresti domiciliali con la medesima accusa.
Cosa è cambiato?
Benazir Bhutto è morta nel tentativo di combattere l’estremismo e di rendere il Pakistan un Paese più civile e democratico. A distanza di anni, viene naturale chiedersi se la lotta della Bhutto abbia portato da qualche parte e se in Pakistan sia cambiato qualcosa. In realtà non molto. Dopo la morte di Benazir Bhutto le lotte tra gruppi di estremisti di stampo islamista sono continuate, gli attentati hanno subito un incremento e diverse ONG denunciano da anni sistematiche violazione dei diritti umani.
È diventato sempre più difficile lottare per i diritti umani in Pakistan in un momento in cui le autorità continuano a far scomparire forzatamente persone, censurare giornalisti, reprimere manifestazioni pacifiche e applicare la repressione attraverso leggi draconiane.
Qualcosa sembra essersi smosso con l’elezione a Primo Ministro nel 2018 di Imran Kahn, leader del “Movimento per la Giustizia”. Kahn si è posto in modo maggiormente tollerante con le minoranze religiose, dimostrando di non essere un estremista. Inoltre, il Primo Ministro spinge per un’economia più liberale e attenta alle esigenze del popolo e per un Pakistan più democratico. Se sia un scelta populista per attirare consenso o se sia l’inizio di un reale cambiamento ce lo potrà dire solo il tempo.
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