Su Clubhouse il Medio Oriente riprende la discussione pubblica

Nell’ultimo mese Clubhouse ha registrato l’accesso di moltissimi utenti in diversi paesi del Medio Oriente, soprattutto in Egitto, tra i giovanissimi. Il nuovo social network è nato negli Stati Uniti, ma ha fatto fin da subito il giro del mondo. A metà febbraio Clubhouse, a cui si accede su invito di un utente già attivo, era già il social network più scaricato dall’App Store in Arabia Saudita. Mentre in paesi come la Francia o l’Italia questo forum orale di dibattito ha registrato un trend in discesa, nonostante il grande entusiasmo iniziale, in Medio Oriente i suoi utenti continuano a prenderlo d’assalto, provenendo dagli ambienti più diversi.

Fin da subito sono nate centinaia di “stanze audio” che, oltre a temi meno controversi e di intrattenimento, hanno cominciato ad affrontare argomenti sensibili e non conformi, dal femminismo alle riforme politiche, dalla sessualità alla religione. Dentro questi salotti virtuali, dove ognuno è libero di avviare una discussione sull’argomento che preferisce o partecipare a una conversazione già in corso, gli arabi rivendicano il diritto alla libertà di parola. “Clubhouse è dove gli egiziani stanno riprendendo le loro discussioni del passato”, scrive il quotidiano online egiziano indipendente «Mada Masr».

In questo contesto Clubhouse permette però anche di essere liberi dall’aspettativa di presenza o partecipazione. Si può essere solo un visitatore silenzioso e percepire comunque la collettività nell’impegno. La comunicazione diretta con persone non sempre facili da raggiungere, come esperti e specialisti, è una delle caratteristiche più importanti dell’applicazione. Molti dei nuovi iscritti hanno commentato che i dibattiti sembrano ancora legati al periodo tra il 2011 e il 2013, gli anni di discussione animata e urgente che seguirono le rivolte arabe. Questo perché proprio dal 2013 la discussione pubblica si è interrotta.

Una stanza tutta per sé

Oltre alla politica, vengono fuori soprattutto dibattiti sulla libertà sociale e sulle questioni femministe fondamentali, portando con sé domande sulla correttezza politica e sulla cultura dell’annullamento. Secondo molti osservatori, in paesi dove la pressione sociale e la censura ufficiale soffocano le voci e le opinioni non conformi, Clubhouse costituisce uno spazio di respiro unico nel suo genere. Su Twitter Sofia, un’utente saudita, spiega che su Clubhouse si parla di “velo, lavoro femminile e matrimonio minorile”, temi impossibili da affrontare altrove.

Secondo Alia, utente di Clubhouse dal Kuwait, l’improvvisa popolarità della piattaforma in Medio Oriente è dovuta al fatto che le persone vogliono qualcosa di genuino, che non è filtrato e non si può modificare una volta detto. Ma in una regione in cui alcuni argomenti sono ancora considerati tabù e altri suscitano dibattiti appassionati, ospitare o partecipare a una sala Clubhouse può anche essere impegnativo. Khalifa Al Haroon, esperto di social media in Qatar, ha condiviso le sue osservazioni sul decoro delle stanze di Clubhouse, dichiarando di aver trovato interessante il modo in cui le diverse comunità gestiscono i gruppi. “Alcuni sono rispettosi e le persone si alternano, mentre in altri gruppi parlano tutti più forte dell’altro in modo che possano sentire il suono della propria voce“.

Ciò che è particolarmente interessante è che la maggior parte delle persone non esprime opinioni in modo anonimo. Sempre Khalifa ne valuta i benefici:

Fa parlare le persone di argomenti importanti, vedendo che non sono sole, incoraggiando il dialogo con le persone con cui potresti non essere d’accordo e, si spera, inducendo gli altri a pensare.

Questo spazio permette difatti anche a coloro che hanno credenze culturali o religiose più conservatrici, di impegnarsi o ascoltare in silenzio discorsi che altrimenti non sarebbero possibili nel mondo reale.

Clubhouse: in guardia dalla risposta delle autorità

Per la giornalista Yousra Samir Imran il successo di Clubhouse è dovuto al fatto che “le conversazioni audio non si possono modificare”. Ma altri mettono in guardia dalla risposta delle autorità e dai rischi insiti nell’applicazione. I social media hanno da sempre svolto un ruolo importante nelle rivolte arabe, ma nell’ultimo decennio i regimi autoritari li hanno usati per impegnarsi contro gli attivisti e per diffondere la propaganda di stato. Piattaforme come Twitter e Facebook hanno visto il loro utilizzo da parte dei regimi in tutto il Medio Oriente per scopi di sorveglianza e controllo.

Amani al-Ahmadi, un attivista saudita americano, ha creato una stanza sul tema del “razzismo in Arabia Saudita”. Poco dopo, gli account Twitter sauditi hanno catturato screenshot e conversazioni  tra i presenti, registrando le loro identità e opinioni. Una situazione simile si è ripetuta in un’altra stanza in cui i sauditi stavano discutendo della potenziale legalizzazione dell’alcol, dalla quale è stata estrapolata una registrazione video presto pubblicata su Twitter. La stessa piattaforma vieta la registrazione delle conversazioni, ma non può controllare che questo processo non avvenga. L’applicazione, inoltre, raccoglie diversi dati sugli utenti nel momento della registrazione, rendendoli facilmente identificabili.

Intanto negli Emirati Arabi Uniti molti utenti hanno segnalato numerose interferenze che rendevano impossibile ascoltare alcune discussioni. Allo stesso modo, in Arabia Saudita alcuni dibattiti sono stati disturbati da troll legati al regime. L’Egitto invece ha preso il controllo entrando nell’applicazione e ora molte stanze tematiche sono animate da politici o simpatizzanti del governo. Il timore di alcuni è che l’assalto dei regimi arabi a Clubhouse sia appena cominciato, essendo improbabile che il dissenso politico su larga scala possa rimanere invisibile sull’app.

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