L’abito fa il monaco: lo spiega la psicologia dell’abbigliamento

Dimmi cosa indossi e ti dirò chi sei. Tra i vari test più o meno psicologici che cercano di rivelare la personalità, che vanno dal come si mangia la pizza alla posizione durante il sonno, la psicologia dell’abbigliamento non poteva mancare. Cosa prendiamo dall’armadio alla mattina? Cosa ci attrae in un negozio? La risposta a queste domande sembra avere uno stretto legame con i processi identitari.

Probabilmente è esperienza comune quella di ritrovare, nei meandri dell’armadio, abiti che non si indossano da tempo, di cui ci si stupisce addirittura dell’acquisto. Ancora, di tornare a casa con il capo nuovo, provarlo davanti allo specchio della camera e chiedersi: “Come ho fatto a prenderlo?

L’abito fa la persona

Chi pensa, quindi, che la sola funzione dei vestiti sia quella di riparare e proteggere dalle intemperie e dallo sguardo altrui è bellamente smentito. Vi è, infatti, addirittura una branca della psicologia a occuparsi nello specifico dell’argomento: la psicologia dell’abbigliamento. L’assunto principale teorizzato è che gli abiti scelti si ripercuotono su molti aspetti della vita di una persona, dall’umore alla percezione di sé.

Il test di Pine

C’è chi si è dato la briga di verificare l’ipotesi attraverso un esperimento ad hoc. La dottoressa Karen Pine, dell’Università di Hertfordshire, ha raccolto un campione di studenti universitari. A metà ha fatto indossare una maglietta con tanto di stampa di un famoso supereroe, mentre all’altra metà una semplice t-shirt. Dai risultati si evince che i soggetti del primo gruppo si stimavano più attraenti da un punto di vista prettamente fisico. Inoltre aumentava anche la percezione della loro forza, ritenendo essi di essere in grado di sollevare un peso maggiore rispetto ai soggetti del secondo gruppo.

L’esperimento, tuttavia, non si ferma a stime soggettive. Ai partecipanti sono stati somministrati test per la rilevazione di prestazioni cognitive. Anche in questo caso si riscontra una sostanziale differenza con un punteggio medio molto più elevato per i “supereroi”.

Anche il contesto fa la sua parte

Un altro interessante esperimento è quello di Adam e Galinsky che ha coinvolto due gruppi. A entrambi è stato dato un camice bianco, ma per un gruppo rappresentava la divisa di un medico, per l’altro quella di un imbianchino. Anche in questo caso sono stati somministrati dei test per rilevare le prestazioni mentali. Nuovamente i risultati delineano una significativa differenza a favore del gruppo dei medici.

L’abito come biglietto da visita

Non è, però, solo una questione di percezione personale relativa a prestanza o a capacità intellettiva. L’abito gioca un ruolo decisivo anche nelle relazioni sociali. È risaputo che in certi luoghi di lavoro, in particolare banche e aziende, si chiede ai dipendenti uno stile formale di abbigliamento, anche laddove non vi sia contatto con il pubblico. In merito a questo la psicologia ci dà una chiara spiegazione suffragata da studi pubblicati sulla rivista scientifica «Evolution and Human Behaviour».

È certamente risaputo che l’abito gioca un ruolo fondamentale nella prima impressione durante un colloquio di lavoro, in particolare per le donne. Meno immediato il legame che intercorre tra abbigliamento e relazioni sul luogo di lavoro. Sembra che un outfit formale induca i colleghi ad atteggiamenti più collaborativi. Oltre a questo, si ottengono maggiori benefits e stipendi più alti.

La donna manager non può essere provocante

Alcuni ricercatori sono andati ulteriormente ad analizzare l’effetto dell’abito sul luogo di lavoro. In particolare, per le donne che rivestono alti incarichi aziendali i risultati mostrano che è preferibile evitare look troppo audaci e provocanti. Ricevono, infatti, valutazioni significativamente negative rispetto a caratteristiche personali e cognitive (come a dire che ha raggiunto alte posizioni per meriti non professionali).

Ma quale colore?

Intuito che la forma conta, quale colore darle? Sempre secondo la psicologia dell’abbigliamento il colore è una forma di comunicazione, sottende un messaggio. Pronti a prendere appunti per i prossimi acquisti! Se si desidera veicolare un messaggio di sobria sofisticazione, ma con un certo retrogusto di impenetrabilità, meglio optare per il nero. Se ciò che si vuole trasmettere ha più a che fare con l’essere responsabile e giudizioso, allora il colore giusto è il grigio.

Di che colore sei?

Poi, il blu che corrisponde all’essere affidabili e leali, il rosso che anche il senso comune vede come messaggio di passionalità e al contempo una certa dose di aggressività. Se si desidera un’aurea intrigante allora è bene dirottarsi sul viola, mentre al verde per lanciare il segnale di una persona equilibrata e con profondo carisma.

La Fashion Therapy

A quanto pare i fashion addicted avranno di che sbizzarrirsi. Tuttavia è bene prestare attenzione al proprio rapporto con i vestiti. Due studiosi italiani, infatti, nello specifico Sacchi e Balconi, hanno analizzato nel dettaglio la relazione che la persona ha con i propri abiti. Il termine coniato è “Fashion Therapy” e indica quanto adeguato o meno è il rapporto che una persona ha con il proprio abbigliamento.

Quattro stili di personalità

Gli autori individuano addirittura quattro stili di personalità in base al tipo di rapporto che si instaura con felpe, jeans e maglioni. Ci sono quelli che hanno difficoltà nell’apparire in modo eccessivo e cercano nell’abbigliamento una sorta di invisibilità. Sono persone spesso asociali e con scarsa autostima, tanto che la definizione per loro è modadepressi.

Un’altra categoria è quella dei modainsensibili coloro che non curano minimamente la scelta del vestito e vanno, perlopiù, sul classico abbinamento t-shirt e jeans. È associato a un non esporsi, al desiderio di volersi uniformare in modo così accentuato da risultare insensibili e menefreghisti.

L’altro versante

Si passa poi ai soggetti un po’ troppo estrosi, stravaganti e fantasiosi. Prendono molto sul serio il loro aspetto esteriore tanto da risultare nevroticamente sofisticati, proprio per questo sono definiti modanevrotici.

Dulcis in fundo, i modaschizzati quelli di cui non si coglie una precisa relazione tra ciò che sono e il modo di abbigliarsi, sembrano quasi appena usciti dalla lavatrice, per questo definiti schizzati.

Consigli d’uso

A quanto pare è preferibile prestare attenzione a ciò che si pesca dall’armadio se si desidera che il proprio outfit rispecchi ciò che si sente di essere. Ecco allora qualche suggerimento che può tornare utile per le prossime spese di cambio stagione. Quando sono tristi, le donne tendono a vestirsi con il jeans. Se si ama il vintage o il datato è altamente probabile che si riceverà una discreta quota di rifiuti e allontanamenti; le persone, infatti, sembrano non amare chi si veste fuori moda. Vestirsi come il proprio superiore aumenta la probabilità di essere assunti od ottenere avanzamenti di carriera. Per concludere, si stima che le donne indossino indicativamente la metà del contenuto del proprio armadio. Parola più di mariti e compagni che della psicologia dell’abbigliamento.


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