Il concetto di Internet of Things sta creando una società tutta nuova, che può essere definita a tutti gli effetti una cyber società. Ci stiamo quindi abituando a circondarci di oggetti connessi a Internet, che con lo sviluppo delle tecnologie ci possono offrire i servizi più diversi. L’IoT sta certamente portando dei miglioramenti evidenti alla vita dell’uomo, uno fra tanti il poter ottenere informazioni e servizi in maniera più efficace e in tempi più rapidi. Allo stesso tempo, però, il continuo dibattito etico sulla privacy online, sulla raccolta dei dati e sull’alienazione che una vita puramente digitale può creare portano a un grosso scetticismo sull’argomento.
Come nasce l’idea dell’Internet delle cose
Il primo ad aver usato l’espressione “Internet of Things” fu Kevin Ashton che la impiegò durante una presentazione per Procter&Gamble, nel 1999. All’epoca Kevin Ashton svolgeva il ruolo di Assistant Brand Manager e si accorse che alcuni prodotti molto popolari non erano mai disponibili in circa il 40% dei negozi. Indagando, determinò che il problema dipendeva dai sistemi informativi dei negozi che avevano dati molto approssimativi sullo stato dei propri magazzini: venivano infatti inseriti dai dipendenti, in maniera manuale tramite scansione del codice a barre. L’errore umano era decisamente frequente e da qui si comprese la necessità di far raccogliere dati a computer.
Negli anni Novanta la creazione di sensori collegati a Internet non era pratica diffusa, così Ashton, l’autore, ha deciso di proporre un’espressione più familiare. Volendo collegare la parola al “mondo fisico”, espresse il concetto con il termine “cose” (“things”), coniando l’espressione “Internet delle cose”.
Il concetto di Internet of things, spiegato
Detto in termini pratici, IoT è l’idea usata per descrivere le più svariate tipologie di oggetti connessi a Internet. Cristina Mele, professoressa di Economia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, in un’intervista a Inside Marketing ha definito l’IoT come “connessione fra tutti gli oggetti grazie alla tecnologia digitale, quindi la capacità degli oggetti di essere connessi e di poter scambiare dati e informazioni fra di loro.” Il giornalista tech Gabriele Di Matteo, ha invece presupposto che la diffusione dell’IOT sarà un “ripensare delle cose che noi conosciamo”.
Dalla fine degli anni Novanta le cose sono parecchio cambiate, tant’è che, qualche anno fa, l’azienda Cisco trovò quasi limitante questa espressione. Sostennero che, in realtà, la potenzialità di connessione non è soltanto fra gli oggetti ma è fra ogni cosa: da qui dunque si introdusse e si diffuse nel linguaggio comune l’espressione “Internet of everything” (“Internet di ogni cosa”).
Come funziona l’IoT?
L’IoT si sta sviluppando sempre più grazie ai miglioramenti della sensoristica, la disciplina che si occupa, per l’appunto della creazione di sensori. Questi dispositivi sono in grado di raccogliere dati specifici a seconda dello scopo predeterminato, consentendo dunque di rilevare informazioni e di trasformarle in dati di tipo digitale che possono essere comunicati attraverso Internet.
I requisiti essenziali affinché un oggetto possa essere connesso sono due: deve innanzitutto avere un indirizzo IP, avendo così un’identificazione in rete; deve poi essere in grado di scambiare dei dati in Rete senza bisogno dell’intervento umano. Gli oggetti possono interagire con noi attraverso l’uso dei dispositivi mobili, in particolar modo attraverso applicazioni dedicate a potenziare e facilitare al meglio la loro fruibilità.
L’applicazione IoT nelle aziende
L’IoT ha semplificato e sviluppato le attività produttive di molti tipi di aziende. L’ingegneristica fa continuamente passi da gigante e da sempre si cerca il modo ideale per raggiungere il massimo profitto con il principio del minimo sforzo, in modo da sostenere al meglio l’economia circolare.
Un settore particolarmente avanzato con la tecnologia IoT è il settore automobilistico: le smart car rappresentano circa un terzo delle auto che circolano in Italia. Esistono, ad esempio, tecnologie IoT che consentono di monitorare lo stato di salute del conducente, fermando l’auto autonomamente in caso di valori anomali.
Altre applicazioni dell’IoT particolarmente diffuse e interessanti sono quelle riguardanti il settore medico e della salute, potenziato in particolare dallo sviluppo di dispositivi indossabili. I dispositivi misurano parametri come il livello di ossigenazione nel sangue e il battito cardiaco, i quali vengono poi registrati in un database del paziente.
L’IoT nei nostri oggetti di uso comune
Le cosiddette smart homes non sono più un sogno degno di un film di fantascienza: ogni oggetto o impianto della casa, dall’illuminazione e la termoregolazione, dal frigorifero fino al tostapane possono essere regolati tramite applicazioni, anche da remoto. Anche oggetti impensabili come le piante d’appartamento possono essere dotate di sensori in grado di rilevare l’illuminazione o il bisogno d’acqua del terreno. L’Internet delle cose consente così di semplificare i piccoli compiti del quotidiano, aiutati anche dai dispositivi vocali che ci permettono di controllare le azioni tramite l’uso della nostra voce. Le statistiche dimostrano che nel 2019 le vendite di smart speakers (come l’Echo Dot di Amazon o Google Home) in Italia hanno raggiunto i 95 milioni di euro.
Internet of Things come risorsa economica
Il vantaggio iniziale da considerare della diffusione delle tecnologie IoT è sicuramente il vantaggio economico. Primo fra tutti, l’ottimizzazione delle tempistiche: un macchinario tecnologico e intelligente permette di effettuare l’operazione in minor tempo e con più precisione. Questo porta anche a un approccio più sostenibile: il monitoraggio dei macchinari permette di rilevare i consumi in maniera tempestiva e prevenire eventuali guasti o malfunzionamenti dei macchinari, evitando in questo modo gli sprechi.
Il vantaggio più considerevole, però, è la quasi completa assenza dell’uomo nell’interazione fra oggetti. Pensando a una produttività gestita in maniera indipendente da automazioni, si può constatare che l’uomo, da qui, potrà gestire tutte quelle operazioni in cui il contatto umano è ancora necessario, come ad esempio il customer care. In questo modo, l’impiego di tempo di qualità investito in relazioni umane può portare a sua volta un beneficio economico.
L’IoT e le nostre ricerche nel World Wide Web
L’impatto sociale più evidente è quello di cui gli esperti di marketing vanno più ghiotti, ovvero la guida alla customer experience attraverso l’IoT. È universalmente noto che i servizi che riceviamo gratuitamente su Internet, in realtà ci vengono forniti in cambio della raccolta di dati che noi stesso doniamo.
Il maestro in affari in questo caso è Google, che tramite le nostre ricerche ci indicizza i contenuti ad hoc per noi. Le aziende, dal canto loro, investono in posizionamenti organici in prima pagina nei motori di ricerca o attraverso annunci a pagamento. Un buon investimento porta sicuramente a essere poi rilevati dalle tecnologie IoT, ragion per cui se chiediamo a un’assistente vocale le informazioni che ci servono, lui ci risponderà quasi sempre con ciò che noi aspettavamo, arrivando nel migliore dei casi a soddisfare un bisogno, diretto ma spesso anche latente.
Il dilemma della privacy
Come accennato in precedenza, su Internet nulla è gratis e il mercato dei Big Data sta diventando sempre più potente. La maggior parte degli utenti non conoscono le dinamiche della targetizzazione e dell’indicizzazione Web. Quante volte ci siamo sorpresi a pensare: “Sembra che ci spiino?”, per esempio, quando anche solo parlando su Whatsapp di un prodotto che ci interessa e poi ci troviamo i contenuti sponsorizzati.
Anche gli oggetti domestici con tecnologia IoT possono in un certo “spiare” le nostre azioni. Anche i produttori di elettrodomestici connessi sfruttano l’analisi dei dati per implementare i propri prodotti, in base alle preferenze e ai comportamenti degli utenti. Ma se i nostri dati finiscono nelle mani degli hacker, la nostra privacy e la nostra incolumità fisica e psichica potrebbero essere in pericolo.
Siamo davvero “connessi”?
Ci possono essere diversi spunti di riflessione su tutto ciò che è “social”, per esempio i Social Network. Senza se e senza ma, tutti i Social Network, anche se con l’utilizzo di mezzi diversi, sono stati creati tutti con il medesimo scopo: creare interazione e condivisione tra gli utenti che si iscrivono. Anche a livello biologico, siamo sempre stati descritti come animali sociali, abbiamo quindi fisicamente bisogno di relazionarci fra di noi. Con l’Internet of Things si è così creata quella che può essere definita a tutti gli effetti una cyber società.
Ma possiamo ritenerci davvero uniti e connessi? Soprattutto con l’ultima pandemia da Covid-19, in mancanza di confronti fisici ci siamo affidati a quelli virtuali. L’altra faccia della medaglia è l’alienazione che una vita troppo connessa può portare a una sorta di alienazione dal mondo reale, con un successivo danneggiamento delle nostre competenze al di fuori del mondo Web.
Le macchine prenderanno il sopravvento?
Isaac Asimov, lo scrittore e biochimico sovietico, scrisse le tre leggi della robotica negli anni Quaranta; apparvero poi nell’antologia Io, robot e rese poi famose con il film con Will Smith nel 2004.
Queste regole sono
- Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, un essere umano riceva danno.
- Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non vadano in contrasto alla Prima Legge.
- Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché la salvaguardia di essa non contrasti con la Prima o con la Seconda Legge.
Tre regole all’apparenza semplici, ma che riassumono un pensiero che sembra non essere più così fantascientifico: le macchine prenderanno il sopravvento sull’uomo? Al momento pare ancora impossibile, dato che il cervello umano è tuttora irreplicabile: ma non si può negare che i continui miglioramenti della tecnologia IoT non si siano perfezionati abbastanza per capire non del tutto, ma in buona parte che cosa cerchiamo, anche senza esprimerlo.