memoir da leggere

Tre memoir da leggere nel 2021

Il memoir è, per sua natura, un genere complesso. Non è il mero resoconto di una vita, una sorta di Bildundsroman, ma il racconto di una specifica esperienza, un evento, un ricordo che hanno segnato a tal punto l’identità di una persona da portarla a raccontare. Un memoir dovrebbe essere come un’inchiesta intima in uno stile meticolosamente studiato e assolutamente incapace di offrire verità definitive.

Questo è un genere dalle infinite possibilità, in particolare per quanto riguarda la costruzione di una propria narrazione: riordinando gli eventi gli si attribuisce un forte significato che diventa una parte importante di chi siamo e di come ci presentiamo al mondo. Questo deriva da una capacità innata degli esseri umani di dare un senso alla propria vita attraverso le storie, costruendo un percorso tra le casualità degli eventi che ci accadono.

C’è di più: non solo una narrazione si può costruire, la si può anche ricostruire. Spesso nella visione comune alcune storie appaiono semplificate perché troppo lontane dall’esperienza considerata standard e normale. Eppure queste storie hanno un valore immenso per chi le vive e il genere del memoir può essere un modo di riappropriarsene, di scendere in profondità e raccontare tutte le trame e complessità nascoste. Quando questo accade si crea spesso un territorio sconosciuto per il lettore che è confrontato con la propria percezione degli altri e delle loro esperienze, visione che spesso è distorta o parziale.

I tre memoir che seguono sono testi che trattano temi particolarmente forti e complessi, le voci delle tre autrici non si accontentano di raccontarli seguendo strade battute, li liberano dall’appiattimento a cui sono costretti perché il pubblico li trovi digeribili e al contrario donano loro tridimensionalità. Attraverso la scrittura le esperienze traumatiche vissute acquistano un senso e le protagoniste ne riprendono il controllo. Questi temi e queste voci non si possono più ignorare.

Fame, storia del mio corpo di Roxane Gay

La storia del mio corpo non è la storia di un trionfo. Non è la storia di una dieta dimagrante. […] La mia non è una storia di un successo. La mia è, semplicemente, una storia vera.

copertina memoir

Questo memoir è adatto a tutti coloro che credono che scrivere della propria esperienza costruisca in verità una storia falsa in cui la realtà viene modificata per aderire al messaggio che si vuole dare. La storia che Roxane Gay racconta si costruisce più come una riflessione sulle mille contraddizioni dell’essere una persona grassa in un mondo grassofobico, costruito su misura per persone magre, una società che anzi arriva ad ostracizzare chi non vuole o non riesce a rientrare in quello che è considerato il “corpo perfetto”.

Nel libro coesistono due facce della stessa autrice, da un lato Roxane Gay la scrittrice che ragiona sulla questione, dall’altra Roxane Gay la persona che invece racconta quanto sia esasperante convivere ogni giorno con una società che vede il tuo corpo come una sorta di problema pubblico, al punto che le persone si sentono giustificate nel darti consigli non richiesti arrivando a rimuovere prodotti calorici dal tuo carrello della spesa.

Il lettore viene apertamente fronteggiato: anche tu, sembra dire Gay, sei stato convinto che il grasso è disgustoso, anche tu provi pietà perché vedi grasso come sinonimo di triste. Nessuno può prendere le distanze, chiamarsi fuori. Nemmeno l’autrice che ammette di aver internalizzato tutto questo, di averci creduto, di crederci ancora a tratti.

L’arco narrativo descritto nel libro più che un arco è un labirinto, la storia non conosce una vera fine, un momento di sollievo, non esiste una possibilità di confronto netto tra Roxane Gay prima e Roxane Gay dopo, l’esperienza che ci viene raccontata è troppo complessa. Eppure è proprio questo che allontana Fame, storia del mio corpo da tutti gli altri libri sulla questione. Le storie che la società ci racconta sul grasso e la grassezza sembrano sempre voler rinforzare l’equazione tra magrezza e felicità serrando la vigilanza attenta sui corpi la cui desiderabilità determina il valore delle persone. Questo tipo di messaggi è rivolto a tutti, ma in particolare alle donne come ci fa notare più volte Roxane Gay, perché, diceva Susie Orbach, “Fat is a feminist issue“.

Io ho un nome di Chanel Miller

copertina memoirDopo aver vissuto per due anni dietro lo pseudonimo di Emily Doe, Chanel Miller ha deciso di riappropriarsi della propria storia distruggendo le narrazioni che i media avevano creato intorno al suo personaggio. La vicenda sembra un copione ormai visto e rivisto. Nell’atto primo una ragazza va a una festa e un uomo si prende quello che vuole senza chiedere il permesso, negli atti successivi si susseguono ospedali, tribunali, avvocati, terapeuti, poliziotti. La ragazza aveva bevuto? Perché era andata alla festa? Perché si era allontanata dagli amici? Cosa vuole ottenere denunciando questo ragazzo, promettente stella del nuoto?

Nel 2015 durante una festa all’Università di Stanford, Chanel Miller è stata stuprata dietro a dei cassonetti dell’immondizia mentre era incosciente. Il suo aggressore, Brock Turner, non è rimasto impunito solo perché altri due studenti lo hanno fermato mentre cercava di allontanarsi dalla scena del crimine. Tuttavia, la sua condanna è stata leggera vista la gravità dei suoi crimini e ha per questo generato rabbia e perplessità.

Questo memoir però è molto più di quello che sembra, il caso è noto e la storia non è nuova, ma il racconto di Chanel Miller ci porta dove il nostro sguardo di solito non arriva: dietro le quinte del processo, coperta dall’etichetta di “vittima”, c’è una persona che è molto di più, infinitamente di più di quello che le è successo. Miller racconta con estrema chiarezza i fatti, quello che ha provato, come la sua vita sia stata stravolta e cambiata, ma non smette mai di ricordarci che, anche se le sue esperienze sono simili a quelle delle altre vittime, questa è la sua vita, la sua esperienza, la sua storia. L’enorme fardello che è costretta a portare non cancella con un colpo di spugna il resto della sua identità e delle sue passioni.

In uno dei passaggi più complessi del libro Miller spiega anche che il suo è stato, per assurdo, un caso fortunato: c’erano abbastanza prove, c’erano testimoni, l’attenzione ricevuta dai media ha fatto avanzare in fretta il processo. Per molte donne non è così, per molte non solo non c’è possibilità di ottenere giustizia, non c’è nemmeno la possibilità di chiederla.

Nella casa dei tuoi sogni di Carmen Maria Machado

copertina memoirLa nostra realtà è formata da storie che si intrecciano creando la nostra visione del mondo. Questo Carmen Maria Machado lo sa bene, non a caso il suo memoir si costruisce come una serie di brevi capitoli giocati sull’intertestualità. Il capitolo “La casa dei tuoi sogni come gotico americano” usa i due elementi principali della storia d’amore gotica (“donna più abitazione” e “sposare qualcuno che non conosci“) per spiegare la situazione di abuso vissuta dall’autrice; “La casa dei tuoi sogni come Lost in Translation” riconduce il concetto alla base del film di Coppola alla relazione tossica al centro del memoir. O ancora “La casa dei tuoi sogni come creazione di un mondo immaginario” usa la costruzione di un’ambientazione per un’opera di finzione per spiegare la dislocazione delle vittime di abuso domestico.

In particolare Machado usa a più riprese il Motif-Index of Folk Literature, un libro che raccoglie gli elementi ricorrenti nel folklore, per mostrare come certe storie permeino ormai la nostra cultura al punto di ripetersi sempre uguali nei secoli. Eppure le linee guida delle fiabe conoscono infinite variazioni e alcune di queste sembrano non emergere mai nel mare di ciò che raccontiamo. È la violenza dell’archivio con cui si apre la premessa a questo libro: “A volte le storie sono distrutte, e a volte non sono mai neanche pronunciate; in entrambi i casi, nelle nostre storie collettive qualcosa di molto significativo va irrevocabilmente perduto. […] Inserire o escludere qualcosa dall’archivio è un atto politico“. Allora Carmen Maria Machado decide di scrivere questo libro con un intento ben preciso:

Il memoir, in fondo, è un atto di resurrezione. Chi scrive un memoir ri-crea il passato, ricostruisce un dialogo. Evoca un significato da eventi che per lungo tempo sono rimasti dormienti. Impasta tra le argille della memoria, del saggio, dei dati di fatto e della percezione, le riduce a una palla e la appiattisce come una sfoglia. Manipola il tempo, resuscita i morti. Inserisce se stesso, e altri, nel necessario contesto. 

Io inserisco nell’archivio il fatto che l’abuso domestico tra partner che condividono la stessa identità di genere è possibile e non insolito, e che può somigliare a qualcosa di simile a questo. Io parlo dentro il silenzio. Getto la pietra della mia storia dentro un immenso crepaccio. E il rumore esiguo che rimanda mi dà la misura del vuoto. 

Raccontare è difficile, forse anche per questo Machado usa la seconda persona singolare, ma ciò non elimina la necessità di combattere la violenza dell’archivio perché raccontare diventa della massima importanza.

Il corpo delle donne, vulnerabile ed esposto agli occhi del pubblico, si presenta in questi tre memoir come il centro di un dibattito acceso e problematico in cui le autrici si pongono, creando uno spazio, un solco in cui discutere non solo le sue contraddizioni e difficoltà, ma anche l’importanza della sua integrità fisica e non.

Nessuna delle tematiche portate alla luce da questi memoir può essere trattata in modo esaustivo in un solo libro, ma se comprendiamo l’importanza di ciò che ci viene raccontato possiamo usare questo come un punto di partenza per avvicinarci a una comprensione più completa del mondo in cui viviamo e delle esperienze delle persone che ci stanno intorno.


FONTI

Chanel Miller’s impact statement 

Roxane Gay, Fame: storia del mio corpo, Einaudi, 2018

Chanel Miller, Io ho un nome, La Tartaruga, 2019

Carmen Maria Machado, Nella casa dei tuoi sogni, Codice edizioni, 2020

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