Il 25 marzo si è celebrato il Dantedì, ricorrenza nazionale istituita l’anno scorso in memoria dell’imprescindibile Dante Alighieri. Tra un excursus di Barbero e una lettura di Benigni, tuttavia, potrebbe essere passata inosservata una controversia scoppiata in Olanda, dove una nuova traduzione della Divina Commedia si è presa un’insolita libertà: quella di tagliarne fuori un passaggio, il passaggio in cui viene menzionato Maometto.
Dante “islamofobo”
Il fondatore dell’Islam fa la sua comparsa nel canto XXVIII dell’Inferno, in mezzo ai “seminatori di scismi e di discordie”. L’ambientazione è la nona bolgia dell’ottavo cerchio, a un passo dal cuore nero del regno di Lucifero; è inevitabile che il tipo di “punizione” immaginata da Dante sia tra le più atroci e raccapriccianti. La rappresentazione del profeta di Allah, infatti, si caratterizza come una figura orrendamente squarciata, con le viscere in vista e traboccanti. “Un destino crudo e umiliante, solo perché è il fondatore dell’Islam” si indigna Myrthe Spiteri della Blossom Books, casa editrice di questa versione.
In effetti, l’operazione qui condotta da Dante ha palesemente un intento discriminatorio. La stessa scelta di identificare Maometto come “seminator di scandalo e di scisma” intende trasmettere una visione della religione islamica come “deviante”, “sbagliata” rispetto a quello che è invece percepito come il canone “buono e giusto” del cristianesimo.
La potenza stilistica del passo
Tutto ciò non toglie, comunque, che il passo in questione abbia un incontestabile valore letterario. Nel corso della trasmissione L’Italia di Dante, andata in onda su Rai 5 la sera del Dantedì, lo scrittore Corrado Augias ha citato proprio il passo di Maometto come testimonianza della portentosa duttilità dello stile dantesco, della sua totale padronanza retorica. Da un punto di vista stilistico, infatti, è doveroso riconoscere a questa immagine una potenza quasi cinematografica: un grande esempio di che cosa sono capaci un paio di metafore ben piazzate. Ma forse è proprio questa straordinaria efficacia visiva a costituire una minaccia, essendo messa al servizio di un oltraggioso spregio.
“Questa versione si rivolge a lettori più giovani” spiega la traduttrice Lies Lavrijsen “e il cambiamento è pensato per non ferire inutilmente gli islamici”. È comprensibile, in fin dei conti, il timore che questo passo possa offrire spunti a un tipo di bullismo assai selettivo. Quello adoperato in questo caso da Dante è il cosiddetto registro “comico-realistico”, che prevedeva il ricorso a un lessico singolarmente aspro e concreto per parlare di situazioni “basse”, oscene. La contaminazione con espressioni del parlato, per un lessico del genere, era praticamente una prerogativa; in particolare, alcuni termini comico-realistici erano destinati a incastrarsi in un anfratto gergale ancor più scabroso, fino a dare vita a quelle che oggi chiamiamo “parolacce”. Nella rappresentazione del profeta, Dante ne definisce lo stomaco “tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia”: l’impatto offensivo e infamante è inequivocabile.
Ora, l’episodio e la descrizione succitata sono riportati per intero nella traduzione olandese: a essere omesso è esclusivamente il nome di Maometto, affinché quella che è una notevole immagine letteraria risulti “redenta” da qualunque sfumatura “islamofoba”.
L’identità del dannato “non è necessaria per la comprensione del testo”, ha sostenuto l’editrice. Una simile iniziativa, è il caso di precisarlo, resta fattibile solo nell’ambito di una traduzione, in quanto solo una traduzione o una parafrasi possono permettersi di non tener conto dell’andamento rimico di un componimento.
Le rime di ciascun canto della Divina Commedia si susseguono secondo lo schema ABA BCB CDC e via di seguito, cosicché ogni terzina (strofa di tre versi) risulta incatenata tanto alla precedente quanto alla successiva. Nel testo originale, giacché la parola “Maometto” (v.31) è situata al termine del proprio verso, finisce per essere determinante in questo inanellarsi rimico: sarebbe impossibile espungerla dal testo senza fare altrettanto con le rime “petto” (v. 29), due versi prima, e “ciuffetto” (v.33), due versi dopo; ma questi tagli presupporrebbero altri tagli, e questi altri ancora, andando a innescare una reazione a catena che richiederebbe la censura dell’intero canto XXVIII.
Cattivo esempio o preziosa testimonianza?
Ma tornando al riadattamento olandese, non si può fare a meno di sollevare un’altra questione capitale. Se anche non ci saranno ripercussioni sulla comprensione generale del brano, lo stesso non si può dire per quanto riguarda l’analisi della mentalità dell’autore e del contesto in cui era immerso.
Dante è figlio della cultura cristiana del suo tempo, e quindi di un’impostazione ben precisa: l’impostazione del crociato, l’impostazione del fedele in armi. Il “Sommo Poeta” (seppur senza aver mai partecipato a una Crociata) era anche questo, un simpatizzante della lotta agli “infedeli”; tacitare questo aspetto significa fingere, dimenticare, rifiutarsi di vedere. Le tinte “islamofobe” della sua visione del mondo costituiscono un parametro inestimabile per scandagliare la temperie morale dell’Italia del XIII secolo.
Si potrebbe obiettare che, per un olandese, non ci sia alcun motivo pratico per darsi a certi approfondimenti su storia, uomini e idee del nostro Paese. Ma la verità è che di un esame genealogico sul fenomeno e sul rimbombo delle Guerre Sante – conflitti che, in forme diverse dalle Crociate, proseguono tuttora – c’è una necessità impellente, a prescindere dalla propria nazionalità.
Il caso della traduzione di Dante è del tutto analogo a quello del film Via col vento, ritirato da HBO Max lo scorso giugno perché portavoce di “pregiudizi etnici e razziali”. Secondo molti, infatti, la pellicola attribuiva una sistematica passività alla messa in scena dei personaggi neri, dando man forte a stereotipi rovinosi. Il fatto aveva scatenato svariate polemiche da parte di chi sosteneva che il film fosse uno specchio della sua epoca (1939) e pertanto servisse da monito alle generazioni future affinché non venissero ripetuti gli stessi errori. Nessuno, d’altronde, si sognerebbe di abolire il Giorno della Memoria, né di eliminare dai libri di storia i riferimenti a Mussolini o all’atomizzazione di Hiroshima e Nagasaki, sebbene certi orrori possano avere influenze negative sugli studenti.
Allo stesso modo, la diffamazione di Maometto a opera di Dante ha indubbiamente un potenziale di pericolosità, e di conseguenza va maneggiata con estrema cautela. Forse, però, per mettere in allarme i giovani sul dilagare senza tempo della discriminazione c’è proprio bisogno di questa presa di coscienza: che persino il soave e innamorato Dante Alighieri era capace di tali abiettezze.
FONTI Dante Alighieri, La Divina Commedia – Inferno, Bulgarini, 2008