Carla Capponi fu una partigiana che partecipò all’attentato di via Rasella e si distinse per la determinazione e l’audacia. In un’epoca dove la donna veniva ancora vista come madre e casalinga, volle mettersi alla pari dei compagni uomini, impugnando armi e decidendo insieme a loro le sorti di un’Italia devastata dalla guerra.
Le premesse di quasi ottant’anni fa
Il 23 marzo è stato l’anniversario dell’attentato di Via Rasella, a Roma, avvenuto nel 1944 per mano dei Gruppi di Azione Patriottica (GAP), unità partigiane del Partito Comunista Italiano contro un reparto delle truppe d’occupazione tedesche. L’11ª compagnia del III battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d’ordinanza) era solita passare in quella zona ogni giorno. Quella via, situata nel pieno centro della capitale, fu strategica non solo per la presenza costante di soldati tedeschi, ma anche per la sua conformazione: stretta e priva di negozi (quindi poco frequentata). Anche la data, seppur scelta apparentemente in maniera casuale, era in realtà l’anniversario della fondazione dei Fasci italiani di combattimento.
I ricordi a un bivio
A causa di ciò, le opinioni sull’attentato di Via Rasella sono da sempre contrastanti: se da una parte i fatti accertati hanno portato a una sentenza della Corte suprema di cassazione che lo qualificò come “legittima azione di guerra”, dall’altra c’è chi non si è risparmiato teorie di complotto e falsi storici.
Da ragazza di buona famiglia a compagna
Carla Capponi, come donna partigiana, fu parte integrante dell’attentato di via Rasella e di un ideale che mirava a liberare l’Italia dalla guerra e dall’invasione straniera. Carla nacque come una ragazza di buona famiglia, antifascista, di origini marchigiane. Franco Calamandrei, altro gappista, la ricorderà come “una signorina di buona famiglia con la R moscia”. Carla iniziò il suo impegno politico a poco più di vent’anni, quando a causa della morte del padre lasciò gli studi di Giurisprudenza. Dovette trovarsi un impiego per sostenere economicamente la famiglia: arrivò così a lavorare presso la segreteria dell’Ufficio Informazioni del PCI, entrando in contatto con tutti gli esponenti più importanti della Resistenza romana.
L’unica eredità lasciata dal genitore fu un appartamento, che fu usato successivamente per le riunioni dei militanti. La sua educazione fu di grande aiuto per i suoi compagni: durante le riunioni, per camuffare i rumori, suonò tutti i Notturni di Chopin al pianoforte.
Una donna con gli uomini
In una di queste riunioni conobbe Rosario “Sasà” Bentivegna, l’uomo che amerà per tutta la vita e che sposerà nel dopoguerra. Non accettò mai di stare nelle retrovie: varie volte, sia dal fidanzato che da altri uomini dei Gap, si sentì dire che le donne dovevano stare a casa. Dimostrò di voler essere una loro pari; un giorno, su un tram, sfilò la pistola a un milite fascista di nascosto; sotto provocazione degli altri, usò quella stessa arma per uccidere un ufficiale tedesco in mezzo alla strada. Raccontò poi di essere rimasta così scioccata, che scappando si era dimenticata di mettere la pistola nella borsetta. D’altronde, pure il padre aveva detto: “Meno male che è femmina, almeno non farà mai la guerra”. Ma Carla la guerra la voleva fare, perché le sembrava l’unica decisione possibile.
Una donna in prima linea
Le conseguenze
L’attentato di via Rasella uccise 33 tedeschi e da lì i 335 italiani massacrati per “vendicare” l’attentato. Si scoprì che i tedeschi avevano diffuso la falsa notizia che, se i responsabili dell’attentato si fossero presentati, non ci sarebbe stato un numero così alto di sacrifici.
La forza di volontà mostrata nell’attentato di via Rasella stupì successivamente anche gli Alleati. Il generale Harold Alexander, comandante di tutte le truppe alleate nel Mediterraneo, disse che lui aveva cominciato a rispettare gli italiani quando aveva scoperto che Roma era “una città che ha osato sfidare in pieno centro un battaglione tedesco armato”. Caso fortuito volle che, nei due mesi successivi, Roma non fu più bombardata. Carla Capponi fu deputato del PCI e premiata con la Medaglia d’Oro al valor militare; morì nel 2000.