Il trapianto di organi, grazie ai progressi della medicina moderna, è oggi un intervento chirurgico di routine in grado di salvare migliaia di vite ogni anno. Si ricorre a esso quando non è possibile curare l’organo malato con trattamenti medici alternativi, perché le condizioni sono troppo gravi. Tuttavia, non bisogna dimenticare che alla base di questo intervento salvavita vi è la donazione: un atto volontario, consapevole, gratuito e anonimo.
Il consenso alla donazione in Italia
Attualmente, in Italia è possibile donare i seguenti organi: cuore, polmoni, rene, fegato, pancreas e intestino. Per quanto riguarda i tessuti, dopo la morte si possono donare pelle, ossa, tendini, cartilagine, cornee, valvole cardiache e vasi sanguigni. Secondo la legge italiana, è invece espressamente vietata la donazione del cervello e delle gonadi.
Vi sono vari modi per affermare la propria opinione favorevole alla donazione degli organi dopo la morte: per lungo tempo, l’iscrizione all’A.I.D.O. (Associazione Italiana per la Donazione di Organi, tessuti e cellule) è stata la più comune. Tuttavia, oggi il procedimento più semplice per affermare il proprio consenso (o dissenso) si verifica al momento del rilascio o rinnovo della carta di identità presso gli uffici anagrafe. Insieme con le specificità necessarie al rilascio del proprio documento, verrà infatti chiesto di esprimere la propria volontà in merito a tale donazione.
È sempre possibile cambiare idea: in caso di morte improvvisa, si farà fede alla dichiarazione rilasciata in tempi più recenti. Nel nostro Paese non è obbligatorio esprimere la propria volontà, ma il Ministero della Salute invita caldamente a farlo, per evitare di lasciare eventualmente questa decisione ai propri famigliari, in un momento delicato e di sofferenza.
Nel 1999 era stata introdotta una legge basata sul principio di “silenzio-assenso”, secondo il quale coloro che non rendevano esplicita la propria contrarietà alla donazione, sarebbero stati considerati favorevoli. Tuttavia, tale principio non ha trovato attuazione. Attualmente, dunque, per poter donare gli organi e i tessuti, è necessario fornire il proprio assenso o dissenso esplicito. Quando si tratta di un minorenne, sono i genitori a decidere: se uno solo tra i due non è d’accordo, non è possibile procedere con la donazione.
Donare gli organi, però, non è un procedimento semplice. In Italia, è occorso del tempo perché la donazione dopo la morte venisse percepita come un gesto normale, anzi, di estrema generosità, invece che qualcosa di eticamente controverso. Il merito va certo ai miglioramenti in campo medico e alle nuove scoperte, tuttavia non si possono dimenticare due storie che hanno commosso il nostro Paese, rendendo possibili dei passi da gigante in materia di donazione post mortem.
Don Carlo Gnocchi: un trapianto illegale
La prima riguarda don Carlo Gnocchi, sacerdote lombardo che in vita si era sempre adoperato per la tutela dei malati, in particolare di coloro che avevano subìto mutilazioni nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Don Gnocchi, infatti, era stato cappellano militare volontario tra gli alpini e aveva accompagnato i soldati italiani al fronte russo: un’esperienza tragica che segnerà per sempre il resto della sua esistenza. Al termine della guerra, il sacerdote decise di fondare un’opera di carità che aiutasse specialmente i bambini mutilati e gli orfani di guerra. Per questo, sarà noto come “padre dei mutilatini”.
Per tutta la vita, il sacerdote si dedicò con grande abnegazione ai malati, e la sua opera crebbe fino a trasformarsi nell’attuale Fondazione Carlo Gnocchi, riconosciuta come Onlus. Oltre al progetto di aiuto ai mutilati di guerra, il complesso assistenziale della Fondazione si prodigò nella lotta alla poliomielite e al riconoscimento del valore del processo di riabilitazione per il malato. Tuttavia, intorno alla metà degli anni Cinquanta, a don Gnocchi fu diagnosticato un tumore.
La malattia non scalfì la tempra del sacerdote, il quale, ben consapevole della morte imminente, chiese all’amico dottore Cesare Galeazzi, direttore del Pio Ospedale Oftalmico di Milano (oggi Fatebenefratelli) di trapiantare le sue cornee negli occhi di qualcuno che ne aveva bisogno. C’era un solo problema, non di poco conto: allora, il trapianto di organi non era ancora disciplinato dalla legge. In seguito alla morte di don Gnocchi, avvenuta il 28 febbraio 1956, Cesare Galeazzi compì un doppio trapianto ai limiti della legalità, con il quale riuscì a restituire la vista a ben due ragazzi, Silvio Colagrande e Amabile Battistello.
Nel corso di un’intervista risalente al 2009, la signora Battistello confermerà l’irregolarità di tale operazione, condotta segretamente, trafugando le cornee e rendendo nota al pubblico la vicenda solo una volta terminato con successo il doppio intervento. Fondamentale in questo senso fu anche la presenza di un esecutore testamentario, Giovanni Barbareschi, che attestò le volontà del prete lombardo.
Grazie a questa vicenda, si aprì un dibattito sulla questione della donazione degli organi in ambito legale, etico, ma anche teologico. Lo scalpore del doppio trapianto e la sua perfetta riuscita favorirono una regolamentazione della donazione degli organi da parte del Parlamento italiano, con la promulgazione del D.L. n. 235 del 3 aprile 1957. Per quanto concerne l’ambito religioso, Papa Pio XII, nell’Angelus della domenica successiva alla morte, avallò il generoso gesto, ponendo a tacere qualsiasi dubbio di natura etica che circolava all’epoca. Don Carlo Gnocchi è stato beatificato dalla Chiesa Cattolica il 25 ottobre 2009.
La famiglia Green: dalla morte alla rinascita
La seconda vicenda che contribuì enormemente a diffondere la “cultura della donazione” è, purtroppo, davvero tragica. Era il 1994, quando la vacanza in Italia di una famiglia di statunitensi si trasformò in un incubo. Mentre il padre Reginald guidava lungo la Salerno-Reggio Calabria, l’auto venne improvvisamente assalita da due rapinatori, che l’avevano scambiata per quella di un orafo locale. Reginald accelerò, tentando la fuga: in quel momento partirono degli spari, uno dei quali andò a colpire Nicholas Green, uno dei due figli della coppia, seduto sul sedile posteriore con la sorella.
Dopo una corsa in ospedale e un coma durato due giorni, Nicholas morì. La scomparsa del bambino, di soli sette anni, provocò un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica. Ma ciò che impressionò maggiormente l’Italia all’epoca fu il gesto di estremo altruismo che i genitori del bambino decisero di compiere: donare i suoi organi. Furono ben sette le persone che ne beneficiarono: una delle quali, diventata madre, scelse di chiamare il proprio figlio Nicholas, per ringraziare la famiglia Green di quella generosa scelta.
Nostro figlio si trovava bene nel vostro paese, per questo desideriamo che da tanto dolore possa nascere qualcosa di buono proprio qui
Per il loro gesto, venne conferita a Margaret e Reginald Green la medaglia d’oro al merito civile; vennero inoltre ricevuti di persona dall’allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro al Quirinale e dal sindaco di Roma Francesco Rutelli.
La drammatica vicenda della famiglia statunitense commosse a tal punto gli italiani da generare un notevole aumento di consensi ai trapianti. Si passò dai 7,9 donatori di organi per milione di abitanti del 1994, al 10,1 dell’anno successivo. Nel 2017, i donatori per milione di abitanti erano 24,3. Per quanto riguarda l’aspetto legislativo, all’epoca era stata recentemente approvata la legge 578 del 1993, che stabiliva i termini dell’accertamento della morte finalizzato al prelievo di organi. Dopo il gesto della famiglia Green, in Parlamento si ampliò la discussione in materia, fino alla legge 91 del 1999 che per la prima volta affrontava in maniera sistemica questo difficile tema.
A volte una vicenda così tragica può davvero contribuire ad alleviare le sofferenze altrui, generando, inaspettatamente, una rinascita. Più volte Reginald Green ritornò in Italia negli anni seguenti, tenendo conferenze sul tema del trapianto e parlando di quel Nicholas effect (titolo omonimo del suo libro) che aveva scosso la sensibilità degli italiani dell’epoca. Concludiamo quindi con un’affermazione del padre del ragazzino:
Ogni giorno penso a Nicholas cento volte e ancora con le lacrime agli occhi. Ma da 21 anni le mie lacrime non sono soltanto di dolore, ma anche di gioia per quei sette italiani a cui il mio Nicholas ha donato i suoi organi