La Land Art come opposizione alla museificazione dell’Arte

Il fenomeno della museificazione dell’arte ha preso vita nel mondo moderno. Tutto è cominciato con gli  attacchi dei futuristi verso ogni baluardo della tradizione, espressi nel Manifesto del Futurismo redatto da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909. Si è poi passati al grido di Paul Valéry contro il museo quale luogo di sotterramento della cultura.

Quest’ultima posizione è stata rafforzata negli anni Cinquanta dai toni polemici di Adorno e dalle riflessioni di John Dewey. Insomma, voci autorevoli si spiegarono contro la sopravvivenza dell’istituzione museale. Tali  attacchi esplosero negli anni Sessanta in una crociata anti-museale condotta da movimenti anticonformisti, come quelli della Land Art.

John Dewey e la sua Art as Experience

Ma prima facciamo un passo indietro. Ci siamo mai chiesti come mai l’arte sia un’esperienza fruibile solamente all’interno dell’istituzione del Museo? Il filosofo e pedagogista statunitense John Dewey se l’è chiesto, e ha approfondito la questione in Art As Experience (1964), il suo principale scritto sull’estetica.

Nel primo capitolo del libro, Dewey approfondisce la questione della teoria isolazionistica dell’arte. Secondo questa, nel modo comune di vedere, l’opera d’arte viene identificata con l’oggetto, posta su un piedistallo e reclusa in un museo. Si tende a considerare quindi il lavoro artistico separato dall’esistenza quotidiana.

 

Land Art

L’arte sul piedistallo

Agli inizi della Storia, però, non era così. Per i popoli antichi non esisteva infatti una separazione tra utile e bello. In queste società, l’idea dell’arte per l’arte non sarebbe potuta esistere. Le creazioni artistiche, dunque, celebravano e intensificavano la vita quotidiana (ad esempio come utensili, arnesi, arredi). Solo a partire dall’affermazione dell’imperialismo europeo e con la nascita di musei e gallerie, si affermò una concezione dell’arte come separata dalla vita quotidiana e comunitaria.

L’arte, poi, è stata ostentata per esaltare la grandezza e la ricchezza delle nazioni. In questo modo i prodotti artistici si sono conformati a meri esemplari di arte bella. Con il processo di industrializzazione, la produzione artistica si è allontanata ulteriormente dalla vita. Gli artisti sono diventati personalità speciali, eccentriche, e le opere d’arte si sono staccate definitivamente dalla vita comune, tanto da assumere un carattere esoterico.

La concezione museale dell’arte impoverisce l’esperienza

Nell’opinione di John Dewey, questa separazione tra esperienza artistica ed esperienza ordinaria determina un impoverimento dell’esperienza in generale. La concezione museale dell’arte, che vede i prodotti artistici confinati in luoghi e in momenti circoscritti, rende l’arte inutile rispetto alle occupazioni e alle preoccupazioni quotidiane. Questa, isolata e posta sul piedistallo, vive rinchiusa nelle gallerie o nei caveau dei collezionisti. Perde dunque la capacità di comunicare una realtà altra, diversa da quella vigente.

Secondo Dewey, quindi, non esistono oggetti d’arte privati dall’esperienza che ne fa l’uomo. Se li vediamo in un certo modo è perché le istituzioni museali riflettono condizioni sociali ed economiche di antagonismo e separazione. È per questo che oggi le opere d’arte sono vissute come qualcosa di separato dalla vita. Sono dunque meri oggetti di collezionismo o, addirittura, prodotti nati per il mercato. È necessario riscoprire la continuità fra l’esperienza estetica e il normale processo di vita, in modo che l’arte ritorni a essere esperienza nel senso pieno del termine.

 

Land Art

 

La Land Art come volontà di combattere la museificazione dell’arte

Ma cosa intendiamo, dunque, per Land Art? Si tratta di una forma d’arte contemporanea, nota anche come “arte della terra”. Sorge intorno al 1967 negli Stati Uniti ed è caratterizzata dall’abbandono dei mezzi artistici tradizionali per un intervento diretto sulla natura. Al suo apparire, la Land Art nasce come reazione all’iper tecnologizzazione e all’iper urbanizzazione del mondo contemporaneo. Come volontà, quindi, di combattere la mercificazione dell’opera d’arte, dal momento che le sue opere rompono il percorso ordinario del sistema canonizzato dell’arte.

Tali lavori eliminano l’oggetto artistico in sé, così come la rete di gallerie, collezionisti privati e museo, per via del fatto che non sono direttamente fruibili per dimensioni, inacessibilità, distanza, deterioramento. Di fatto, la de-materializzazione dell’opera, spinge diversi artisti – come Richard Long – a vendere riproduzioni fotografiche delle proprie opere. In questo modo le  fotografie acquistano, oltre a un valore documentaristico, anche un valore di mercato.

Un nuovo concetto di esposizione

I land artist hanno quindi iniziato a sperimentare nuove dimensioni espositive, convinti che i musei fossero destinati alla sparizione, oltre che rifiutando di collocare l’opera in una dimensione mercificata. Per questo tali artisti scelgono gli spazi naturali e rivoluzionano il concetto di esposizione dell’opera. Pertanto questa non è più relegata a luoghi istituzionalizzati.

Le opere hanno così un carattere effimero, e la loro documentazione consiste in fotografie, video, progetti, schizzi. Questo poiché – essendo parte dell’arte concettuale – il processo e l’esperienza, sono più importanti dell’opera finale. Insomma, dopo questo breve excursus storico, non ci resta che esaminare più da vicino alcuni degli artisti più autorevoli della Land Art.

1. Christo & Jeanne-Claude

Tra i maggiori rappresentanti della Land Art troviamo gli ormai defunti coniugi Christo Javaše e Jeanne-Claude Denat de Guillebon. I due, in oltre trent’anni di carriera, hanno dato vita a opere colossali, regine della storia della Land Art. L’obiettivo della coppia di artisti era muovere una critica all’arte istituzionalizzata, proponendo lavori al di fuori del mercato.

 

 

Christo e Jeanne-Claude, attraverso una singolare procedura artistica, puntavano quindi a sottolineare il valore simbolico  assunto dagli oggetti quando vengono nascosti alla vista. I due volevano così denunciare la modalità con cui la società dei consumi rivela, occulta e mistifica i propri prodotti.

La coppia è nota in particolare per gli “impacchettamenti” di celebri edifici pubblici – come il monumento a Vittorio Emanuele II di Milano – e di scenari naturali. Pensiamo per esempio a Wrapped Cost del 1969 a  Little Bay, Sidney, ma ci sono tantissime voci sull’elenco.

The Floating Piers, 2016

Tra le opere più recenti e più di spicco figura  The Floating Piers (Jeanne-Claude era già venuta a mancare, ma i due avevano lavorato insieme al progetto). Un sistema di passerelle galleggianti, ricoperte di un telo arancione brillante, lungo complessivamente 3km. Questo univa alla terraferma l’isola di San Paolo nel Lago D’Iseo, in Lombardia.

 

Land Art

 

I visitatori potevano passeggiare sui pontili a pelo dell’acqua, godendo del panorama circostante, visto in maniera nuova, dalle acque del lago. Un’opera romantica, una dichiarazione d’amore alla compagna di vita e di arte, che ha portato oltre  un milione i visitatori per 16 giorni di apertura. Ne è seguito un impatto di 283 milioni sull’economia del territorio, che mai come quel momento era stato così frequentato.

2. Robert Smithson

Un altro importantissimo esponente della Land Art è lo scultore del New Jersey Robert Smithson, figura chiave nell’incontro tra arte concettuale, Minimalismo e Land Art. Parte del suo lavoro muove una critica sia al modo attuale di fare arte, sia all’ampliamento dei suoi limiti. La sua ricerca è quindi legata al territorio. A partire dal concetto di manufatto artistico, lungo la protesta contro il degrado del Pianeta, fino alla ripresa dell’armonia con cui le grandi civiltà del passato hanno dato testimonianza della loro cultura.

Robert Smithson opera quindi una riflessione lucidamente concettuale e ha portato all’elaborazione dei sites e dei non-sites, che definiranno il suo lavoro. Per sites, Smithson intende l’azione di trasformazione di un contesto. Con i non-sites, invece, la documentazione fotografica di un ambiente, naturale o meno, di cui è possibile esporre reperti nelle gallerie.

Un importante lascito ambientale ed ereditario

Il tutto viene poi tradotto in contenitori con frammenti di minerali e materiali. Questi sono corredati da mappe geologiche, piante e fotografie del luogo di provenienza. Tra i suoi lavori più celebri, la più conosciuta è la Spiral Jetty (1970), un’immensa spirale di terra immersa nel paesaggio del Great Salt Lake nello Utah. La sua ultima opera invece, la Amarillo Ramp (1973), nel Texas, gli costò la vita. L’artista morì infatti fotografandola da un aereo che andò in avaria.

 

3. Walter De Maria

Lo scultore italo-statunitense Walter De Maria – ex musicista dei primi  Velvet Underground – è uno dei principali esponenti della corrente artistica detta Land Art. Tra gli anni Sessanta e Settanta, l’artista interviene sul territorio con le sue imponenti earth sculptures. Diventa così una figura chiave del movimento Earthworks, che ha avuto origine dal desiderio di comprendere i processi della natura e di controllarli.

A tal proposito, la sua opera più famosa è The Lightning Field (1977), monumentale installazione posta in un angolo remoto del deserto del Nuovo Messico. Per realizzarla De Maria ha conficcato nel terreno  400 pali in acciaio inossidabile, disposti in una griglia calcolata, coprendo la superficie di 1 miglio per 1 km. Sfruttando l’effetto parafulmine durante i temporali, l’artista è riuscito a raccogliere e triplicare la potenza dei fulmini per realizzare uno spettacolo di luce. De Maria è quindi in grado di collegare lo spettatore e la natura. Gli stessi elementi visivi di quest’ultima vengono infatti trasposti nelle sue opere o negli spazi delle gallerie.

 

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4. Richard Long

Arriviamo ora al già citato Richard Long. Scultore, pittore e fotografo inglese, Long è interessato al rapporto tra arte e natura e al rapporto tra uomo e ambiente come fatto creativo per eccellenza. Un rapporto intimo e primitivo, privo di mediazioni artificiali. L’affermazione di Long avviene agli esordi con opere incentrate sui concetti di spazio e di tempo, in una costante relazione armonica con la natura e il paesaggio.

Long testimonia infatti le sue passeggiate, realizzando sculture con materiali molto semplici e reperiti sul posto, poi riproposti in ambienti espositivi. Il suo primo lavoro, in particolare, si intitola Una linea fatta passeggiando (1967). Questa consiste in una riproduzione fotografica della linea lasciata nell’erba dal suo ripetuto camminare avanti e indietro.

Negli anni successivi inizia a esporre in importanti spazi espositivi. Le sue sono grandi sculture fondate su segni essenziali e archetipici, come spirali e linee. Per queste opere, Long utilizza materiali raccolti nel corso delle sue passeggiate, oppure disegna col fango sulle mura di musei e gallerie d’arte.

 

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Tutti questi esemplari protagonisti della Land Art dimostrano come l’arte cerchi nuovi sviluppi interpretativi. Non è più vincolata all’esposizione museale che, in alcuni casi ne soffoca la libera espressione. La sua natura espositiva si appoggia quindi a diverse forme di contemplazione, quelle che meglio valorizzano il prodotto artistico. Ecco perché la Land Art è un simbolico esempio delle infinite potenzialità artistiche dell’oggi.


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