La visione di FVE editori: intervista a Valentina Ferri

Come è ben noto a ognuno di noi, il 2020 ha portato via con prepotenza molte libertà ma la possibilità di creare, di portare avanti idee, difficilmente può essere fermata. A dimostrarcelo è Valentina Ferri che, durante il lock-down, con una visione ben precisa, porta sulla scena editoriale FVE editori.

L’intervista

Wear your book! Questo è lo slogan di FVE editori, com’è nato?

Vengo da una famiglia di editori e di pubblicitari. Negli anni ’50, quando la pubblicità era estremamente importante, c’erano i caroselli: sembravano veri e propri corti cinematografici. Tra questi, a fare la storia, fu quello dei collant Omsa con le gemelle Kessler, sex symbol dell’Italia di un certo periodo.

Lo slogan, ancora oggi ben noto, era “Omsa che gambe!” […] il direttore creativo era Giorgio Pierotti Cei, mio nonno. Preciso: non era soltanto questo. La mia famiglia si è dedicata anche alla direzione e creazione di periodici femminili all’avanguardia, direi visionari rispetto al mondo di quel tempo, tra cui La vispa Teresa e Mimosa.

A un certo punto, mentre preparavo la storia delle origini, mi sono resa conto che l’immagine trasmessami da quel ricordo, ovvero dei collant, di una biancheria da indossare che fosse confortevole, aveva qualcosa di abbastanza vicino alla mia concezione di libro: bello, comodo, elegante, in cui la carta fosse importante. Lo slogan “Wear Your Book” l’ho fatto in inglese perché sembrava più agile.

Ma quello stesso proposito di vestire un libro era affine un po’ anche allo spirito, se vogliamo, pubblicitario, che mi era tanto vicino. Il libro per me, che amo leggere, e per tutti coloro che in effetti ne sono amanti, è un oggetto da indossare. Quando ti piace un libro te lo porti dietro, te lo senti, ti piace la carta, ti piace annusarlo, ne tocchi la copertina. E quindi questo slogan deriva in parte da tutta questa storia, ma soprattutto dalla mia idea di libro in carta e ossa, come mi piace spesso dire. Ovvero un testo che sia veramente possibile toccare, sentirselo addosso. Un po’ come una seconda pelle.

Quale storia vi ha portato alla creazione di una nuova casa editrice e in cosa consiste la mission di questa vostra avventura imprenditoriale?

La storia, in verità, credo sia in parte quella di essere circondata da parole. Veniamo da un’esperienza di giornalismo, io a mia volta scrivo, ho pubblicato dei romanzi, dei saggi. Quindi il mondo dell’editoria, da una parte o dall’altra che sia, è sempre stato familiare. Nel periodo del lock-down, a un certo punto, ho sentito l’urgenza di dare vita a qualche cosa, di muovermi. Tutto quello che sapevo fare sostanzialmente era leggere, scrivere – almeno spero di saperlo fare! – e costruire qualcosa che abbia a che fare con la parola. “Però io voglio fare dei libri”, ho pensato e così ho cominciato.

Nel momento in cui non si poteva fare veramente nulla, con delle persone, dei giovani, ho cominciato a lavorare, cercare dei testi che mi piacessero, delle occasioni, degli anniversari. Ed è stato, devo dire, molto bello. Perché in un momento così cupo e stagnante, ti rendevi conto che, muovendoti tra i libri continuavi comunque a sentirti in movimento, a creare entusiasmo. Anche Francesca Bianchessi, con cui lavoravamo per la creazione delle copertine, così come altri, era piena di entusiasmo. Insomma, ci siamo ritrovati tutti a gioire in un momento in cui di felicità ce n’era ben poca.

Quindi il progetto è nato in quel momento e la mission direi che è quella proprio di progettare bellezza, seguire un po’ la “visione”: mi piace credere in una casa editrice visionaria. Quando nasci in un certo periodo devi avere un po’ di follia e quindi anche di lungimiranza, di andare avanti con lo sguardo superando gli ostacoli. La mission è quella di creare dei libri che siano belli fisicamente, proprio come oggetti, ma soprattutto che abbiano tanto da dire. Per cui anche ritrovare dei testi, magari di un secolo fa, scritti da donne o da uomini che siano, e accorgersi che sono ancora di una straordinaria attualità, insomma, dando loro una voce, così come ad autori di oggi con uno sguardo verso il domani.

Qual è il percorso che ti ha portata oggi a essere direttrice della FVE editori?

Allora, mi preme dirlo: FVE editori sta per Francesco, mio figlio, V sono io, Valentina, la E è Enrico, mio marito. Certo, il nome si prestava anche a tante altre cose. Siamo un’azienda di famiglia, seppur piccolina, e i ruoli si sono creati in modo naturale. Essendo io colei che aveva più esperienza ne ho un po’ ideato il progetto, perché nato da un’urgenza. Non intesa come fretta, ma di prepotenza, di fuoco mio: inevitabilmente sono stata io a diventarne direttore editoriale. Poi io sono sempre stata un po’ creativa, vengo anche dal teatro, dalla musica, quindi mi piace pensare a dei progetti ecco, mi piace muovermi. Quindi penso sia proprio nella mia natura, non poteva che andare così, mi vien da dire.

Avete già pubblicato più di una collana, parliamo di Visionarie. Cosa e chi rappresenta?

Visionarie è una collana che al momento riunisce autori e autrici che sono stati e sono fuori dal coro, che hanno visto più avanti degli altri o che, pensando in modo un po’ rivoluzionario, sono sono stati autori scomodi. Mi piaceva l’idea che dalla visione nasca soprattutto la bellezza, da qui l’esempio di Ada Negri: ha questo tattilismo che è premonitore di Marinetti. O ancora, l’esempio di Virginia Tedeschi Treves che scriveva nel 1883 pagine tali da renderla una sorta di influencer ante litteram senza neanche saperlo.

Tra altri nomi che avremo c’è anche Andrea Bellandi Saladini, per Accademia Civica Digitale, e altri autori e narratori che hanno saputo e che sanno guardare veramente in modo visionario. La caratteristica di questa collana che mi sta molto a cuore, e che poi è la caratteristica della scrittura, è che è una sorta di veggenza, no? Quindi si va più oltre, più in fondo e si va più lontano con lo sguardo.

Le Solitarie di Ada Negri è stato scelto come pubblicazione di novembre 2020, verosimilmente a ridosso della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, perché la vostra scelta è ricaduta su quest’autrice in particolare?

Ada Negri è un’autrice di cui lo scorso anno si celebravano i 150 anni della nascita e ho pensato che non solo era doveroso, ma era affettivamente importante per me poterla festeggiare, poterne parlare. Lo dico perché è un’autrice nata vicino a Pavia, a Lodi, e di cui ho sentito raccontare tanto quando andavo alle elementari. La maestra ce ne parlava, ci faceva studiare anche qualche verso di poesia a memoria.

Ada Negri faceva parte del mio paesaggio interiore. Detto ciò, ci sarebbero stati i 150 anni da festeggiare, ma come ben saprai è stato tutto sospeso. Questo non soltanto in Lombardia bensì in tutta Italia perché è stata una grande scrittrice italiana. Direi che quello che mi ha colpita in modo particolare è stata la modernità dei temi che lei ha trattato. Non è mai stata un’autrice, e con questo intendevo l’“esser fuori dal coro”, che ha partecipato a movimenti letterari. “I veri scrittori e poeti non appartengono a gruppi e chiesuole”, diceva. Non dico sia caduta nell’oblio ma per questo motivo forse è stata un po’ trascurata.

È sempre stata dalla parte delle donne. Aveva creato l’asilo Mariuccia, che era un ricovero per donne indigenti e soprattutto per coloro che erano costrette a prostituirsi. Ne Le Solitarie, le protagoniste sono donne che hanno una vita prevalentemente di sventura. Ada Negri dice di essersi riconosciuta in tutte. E i temi di cui parla sono temi molto forti. […]

È la prima raccolta in prosa, lei veniva dalla poesia. Qualcosa di quello stile c’è ma anche molto di quello che poi sarà lo stile giornalistico acquisito dalle sue collaborazioni. Ha degli incipit secondo me che sono potentissimi. Ho trovato bello lo stile, fortissimi questi personaggi e molto vicino alla situazione di alcune categorie di donne oggi, il modo in cui lei ha raccontato la vita di queste donne costrette in fabbrica, di queste ragazze prive di libertà, prive di dignità perché trattate come delle serve. […] sono tutte donne dolenti, vittime, però non sempre deboli, ecco, questo sì. Essere vittima non corrisponde realmente al fatto di essere debole. È tutto un mondo che le circonda che è creato in un certo modo. Questo soprattutto nella prima parte.

Poi nella seconda ci sono altri racconti. C’è anche un diverso ceto sociale quindi cambia un po’ la possibilità per una donna di studiare, di leggere, di viaggiare. Però ho trovato che questo fosse un libro importante. A emozionarmi molto è stato che, pur essendo la sua una scrittura del suo tempo, ha saputo avvicinarsi anche ai giovani di oggi.

Una mia amica che insegna italiano le sta facendo leggere ai suoi studenti. L’altro giorno abbiamo fatto un incontro via Zoom con loro, mi diceva che ci sono alcune ragazze e ragazzi che si stanno appassionando ad alcune di queste novelle. Questo vuol dire che sono attuali, che ci sono temi che arrivano profondamente dentro. Non che mi faccia piacere che si parli di violenza però, che un libro continui a parlare, ecco, questo sì. Trovo che sia la grande potenza della parola. E la missione, per tornare al discorso di prima, di una casa editrice o chiunque come noi, come stai facendo anche tu, è che si parli di libri e si scriva.

Le solitarie di Ada Negri: ritratti di donna

La casa editrice visionaria ha così collocato nel novero di quelle autrici fuori dal coro Ada Negri, dallo spessore e notorietà tali da ottenere la nomination del Nobel per la letteratura nel ’26 (attribuito poi a Grazia Deledda). L’autrice lodigiana dall’animo irrequieto, ha un trascorso di lotte e tormenti. Contro ogni pregiudizio, col sacrificio e lo studio, dalle sue origini proletarie si impone ai vertici della letteratura italiana della prima metà del XX secolo. Il vissuto politico e la strenua lotta per la condizione femminile del suo tempo sono solo il motore delle sue opere. A distinguerla è la visione umanitaria con cui guarda alla solitudine, allo sfruttamento, al dolore: tematiche onnipresenti che rendono Ada Negri un’autrice indimenticabile.

Ho consegnato il manoscritto delle mie novelle Le Solitarie. Vi è contenuta tanta parte di me, e posso dire che non una di quelle figure di donna che vi sono scolpite o sfumate mi è indifferente. Vissi con tutte, soffersi, amai, piansi con tutte.

Nelle quattordici novelle de Le solitarie del 1917 l’autrice ritrae “umili scorci di vita femminile“. Si tratta di un’amara e potente denuncia alla discriminazione ed all’emarginazione di donne il cui destino si dimostra così grigio. È dal suo vissuto personale che emerge questo universo femminile: donne umili che combattono la povertà e gli abusi, e cercano riscatto portando sul proprio corpo i segni della fatica.

Il suo fu un talento riconosciutole fin dalla giovane età con l’esordio della raccolta Fatalità a cura dell’editore Treves nel 1892. Tuttavia, quell’enfasi poetica non è presente nella prosa, più graffiante, più lucida. Manca quella vicinanza emotiva per quel mondo povero e emarginato, in quanto la stessa Negri era ormai riuscita a metterselo alle spalle. Non per questo le donne hanno smesso di abitare in lei perché molte di esse sono lei, maestre, sono la madre Vittoria, operaie, o la nonna Giuseppina portinaia di Palazzo Barni, instancabili lavoratrici.

I suoi sono ritratti di donne a tutto tondo: Anin “nata per servire”, l’anima bianca di Rosanna, il crimine di Cristiana, l’altra vita di Franceschetta, il denaro di Veronetta. La drammaticità delle loro vite, la loro condizione lavorativa, vittime di prepotenze tossiche e violente, infelicità in matrimoni non voluti, donne che annaspano a un senso di riscatto (chi l’ottiene e chi no). Potendosi l’opera dunque definire femminista ante-litteram, queste narrazioni sono diventate testimonianza di notevole rilievo storico: non per questo poco attuali quanto piuttosto tragicamente moderne.


FONTI

Adanegri.it
Enciclopediadelledonne.it
Sololibri.net/Le-solitarie-Ada-Negri

A. Negri, Le Solitarie, Fve editori, 2020

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