Nel corso della storia, il genere umano è ripetutamente sprofondato nell’orrore e nella mostruosità. Ma questo comportamento putrido e cariato è frutto soltanto di volontà consapevoli oppure anche della spaventosa indifferenza con la quale l’uomo impara a convivere con il germe del male? Su questa domanda affonda le radici il romanzo Stella di Takis Wurger: una storia d’amore ossessivo, di vittime e di carnefici, sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale e della segregazione razziale.
“Chi è la vittima e chi il carnefice?” ci si domanda, leggendo le pagine di Stella. La co-protagonista, una donna ebrea realmente vissuta, è una modella e una cantante nota in tutta Berlino, torturata dal governo nazista a causa delle sue origini. Eppure, diverrà una delle più grandi cacciatrici di ebrei berlinesi. Perché? È pazza? È un mostro? Viene ricattata? Niente di tutto questo. Come afferma Niccolò Rinaldi in Piccola anatomia di un genocidio,
un genocidio non è un affare di mostri, è una questione di vicini, di gente semplice, di artisti, di politici, di uomini di chiesa, di psicopatici e di persone ragionevoli, di gente come tutti. È roba di tutti noi: è questa banalità che è raccapricciante.
Ed è proprio ciò che accade in Stella: la facciata di fidanzata affettuosa o di amico fidato convivono, con disinvoltura e talvolta con indifferenza, con quella di spietato aguzzino. E la Shoah ci ricorda ogni giorno che quando l’altro viene rifiutato, quando viene segregato perché considerato inferiore da menti dotate di giudizio, il cammino verso l’apocalisse è irreversibile.
Genesi e sviluppo dei campi di concentramento nazisti
Adolf Hitler diventa cancelliere del Reich il 30 gennaio del 1933. Da quel momento il nazismo prende il controllo del territorio tedesco, abbattendo la democrazia e avviando una politica fortemente repressiva nei confronti degli oppositori politici. Proprio al fine di neutralizzare questi nemici fastidiosi, il 22 marzo del 1933 apre il primo campo di concentramento nazista: è quello di Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera. In questa prima fase vengono segregati dalla Gestapo “soltanto” sindacalisti, socialdemocratici e comunisti.
Dopo le prime ondate di arresti, il numero dei prigionieri politici registra un inevitabile attenuamento. Se da una parte, quindi, la lotta contro l’opposizione politica sembra momentaneamente concludersi, lo stesso non può dirsi per le aspirazioni sciovinistiche del Partito Nazista. Il suo progetto più ambizioso, infatti, diviene la realizzazione di una società tedesca ariana, cioè privata delle “erbacce” che ne contaminano la purezza: chiunque non venga considerato, per motivi biologico-razziali, parte integrante della “comunità popolare tedesca”, non può più ritenersi un cittadino del Reich. Così, nello spietato mirino di persecuzione nazista finiscono anche ebrei, zingari, omosessuali, portatori di handicap, persone affette da disturbi psichici, testimoni di Geova e comuni criminali. Nel 1939 viene pianificata l’operazione segreta Aktion T4, un programma di eutanasia forzata rivolto a tutte quelle vite che il regime considera “indegne di essere vissute”. Si stima che gli individui affetti da patologie mentali o malattie genetiche inguaribili soppressi attraverso la T4 siano oltre 250.000, di cui 5000 solo i bambini.
Nella prima fase della perversione nazista, il lavoro forzato nei lager è finalizzato alla punizione e alla rieducazione dei detenuti. Ma dal 1938 qualcosa cambia: la SS (la “squadra di protezione” tedesca) comincia a servirsi della manodopera prigioniera per costruire numerose imprese, dando così vita a un impero economico di cui diviene proprietaria. È inevitabile che il numero delle deportazioni riprenda a crescere.
Nella notte tra il 9 e il 10 novembre del 1938, nota come “Notte dei cristalli”, i nazisti irrompono nei quartieri ebraici di numerose città tedesche, saccheggiando e radendo al suolo migliaia di negozi, sinagoghe e uffici. Sono i cocci di vetro delle vetrine distrutte a dare il nome all’avvenimento, che sancisce l’inizio della fase più drammatica e violenta della persecuzione antisemita e che aprirà le strade alla Soluzione Finale. Sono trentaseimila gli ebrei che vengono inviati nei lager a seguito di questo episodio. Tuttavia, non si tratta ancora ufficialmente di un piano di sterminio: se, dopo essere stati torturati e spogliati di ogni bene, gli ebrei deportati accettano di emigrare fuori dai confini del Reich, allora possono essere rilasciati. Tale politica volta all’emigrazione ebraica perdura fino al 1941. Con l’imperversare della guerra, però, la brama hitleriana di creare un “nuovo assetto europeo” si accentua, trasformando la cacciata degli ebrei dal Reich in un vero e proprio piano di eliminazione.
Prendono avvio i massacri indiscriminati. Circa un milione e mezzo di ebrei, tra uomini, donne e bambini, vengono inizialmente prelevati dalle proprie abitazioni, trasportati in luoghi defilati dal centro città, costretti a scavare enormi fosse comuni e qui fucilati senza pietà. Poi, tra il 1941 e il 1942, entrano ufficialmente in funzione i campi di sterminio immediato, nei quali resta in vita soltanto chi viene giudicato “idoneo” al lavoro forzato. Per tutti gli altri (e si parla di migliaia di vittime), il cammino verso le camere a gas e i forni crematori è immediato.
La segregazione agli occhi dei carnefici
Non c’è pazzia né malattia mentale dietro al credo nel Partito Nazista. Ci si chiede come sia stato possibile che così tanti cervelli pensanti abbiano fermamente sostenuto l’ideologia antiebraica. Banalmente – ed è proprio questa banalità ad essere agghiacciante -, i nazisti consideravano gli ebrei e tutti gli altri perseguitati esseri “sub-umani”; un impedimento alla creazione di una nuova razza superiore destinata al dominio del mondo intero. E tutti coloro che anche non credessero davvero nell’inferiorità degli ebrei, accettavano di buon grado il nuovo assetto tedesco perché “così voleva la legge”. Per noi è fantascienza. Per gli uomini di ottanta anni fa era normalità.
Ogni campo di concentramento rappresenta la realizzazione materiale di un ideale razionalmente concepito dalla perversa mentalità nazionalsocialista. Per i nazisti quei recinti di filo spinato servivano a contenere niente di meno che bestiame, da sfruttare fino allo sfinimento per poi abbattere senza pietà. Gabbie nelle quali rinchiudere un’umanità (che tale non era per gli aguzzini) privata della propria identità, ridotta a “nudi corpi disabitati”.
Nel momento in cui gli ebrei cominciano a essere esclusi da scuole, negozi e luoghi pubblici, per molti la vita sembra proseguire immutata. Sono poche le persone che rimangono interdette di fronte a un comportamento così assurdamente irreale: una di queste è proprio Friedrich, il protagonista di Stella.
Stella, una storia vera
Stella, secondo romanzo dello scrittore e giornalista Takis Wurger, è ispirato alla reale storia di Stella Goldschlag, ebrea collaboratrice della Gestapo a Berlino. Ma Stella è molto più di un semplice libro. È uno scorcio di vita quotidiana ai tempi del nazismo, nonché una preziosa fonte di storia contemporanea.
Il protagonista del romanzo è Friedrich, nato nei pressi di Ginevra nel 1922 da un matrimonio infelice. La madre, un’aspirante pittrice alcolizzata, è il primo personaggio a inoltrare nel romanzo (e nella vita di Friedrich) il tema dell’antisemitismo.
Quando nella primavera del 1941 iniziò l’Operazione Girasole e i carri armati tedeschi entrarono in Libia, mamma issò sulla torretta della nostra villa una bandiera con la svastica. Fu l’unica volta nella vita in cui sentii mio padre urlare. Con voce tranquilla disse a una dei ragazzi di togliere la bandiera dall’asta, poi andò nella serra, chiuse la porta ed emise l’urlo che annunciava la fine del matrimonio.
Ancora ragazzino, Friedrich comincia a entrare in contatto con la realtà della guerra: le voci che circolano in paese su alcuni furgoni che di notte, a Berlino, caricano decine di ebrei lo sconvolgono a tal punto da spingerlo, qualche anno dopo, a trasferirsi proprio nella capitale. Friedrich non si capacita del perché gli ebrei – uomini proprio come lui – debbano essere odiati, e per questo non crede a nessuna delle voci in merito. Lui vuole vedere con i propri occhi: il suo scopo è quello di distinguere le menzogne dalla verità. Una volta giunto a Berlino, però, lo spazio riservato al dubbio si riduce in polvere.
Nel 1942 Berlino è una città torbida, nel cui quartiere governativo è proibita la circolazione agli ebrei. È un territorio disseminato di manifesti nazionalsocialisti e controlli delle pubbliche autorità, i cui abitanti sono divisi tra chi porta cucita sui vestiti una svastica e chi una stella gialla.
Da piccolo, nella mia mente, i tedeschi erano esattamente ciò che io volevo essere. Al cinematografo avevo visto immagini di soldati in marcia. Non volevo essere un soldato, ma – chissà – forse una parte di quella forza si sarebbe riversata in me. […] Da lontano i tedeschi mi erano sembrati grandi; ora, da vicino, erano piccoli come me. Grande era solo la scenografia.
Un giorno, nella scuola d’arte berlinese nella quale si è da poco iscritto, Friedrich incontra Kristin, una giovane donna intraprendente e sicura di sé. È lei a prendersi cura del protagonista che, timido, disorientato e un po’ ingenuo, non ha ancora capito come muoversi nella spaventosa Berlino degli anni Quaranta. I due, tra locali alla moda, camere d’hotel e calici di champagne, cominciano una folle storia d’amore. Friedrich percepisce che la trasparenza di Kristin non è assoluta: troppi dettagli inspiegabili avvolgono la ragazza in un alone di mistero, ma Fritz, offuscato dall’amore, non fatica a passarci sopra. O almeno fino a quando Kristin bussa alla sua porta, sanguinante e in lacrime, e gli confessa di non avergli detto tutta la verità.
Kristin, il cui vero nome è Stella, è in realtà figlia di ebrei berlinesi. Sebbene, una volta smascherata, venga crudelmente torturata e i genitori deportati e uccisi ad Auschwitz, diventerà una delle più spietate delatrici della Gestapo. La donna affettuosa, energica e intraprendente di cui Friedrich si è innamorato si rivela per lui una sconosciuta.
Non è mai stato stabilito con certezza quanti ebrei Stella Goldschlag abbia effettivamente consegnato alle grinfie naziste, ma si stima siano centinaia di persone. Il 31 maggio 1946 un tribunale sovietico la condanna a dieci anni di carcere per complicità in omicidio. Morirà gettandosi da una finestra della sua abitazione nel 1994. Del perché abbia deciso di dare la caccia agli ebrei, nonostante non fosse più ricattata dalla Gestapo, non ha mai fornito una spiegazione.
Stella ci invita a non dimenticare che la persecuzione razziale e biologica avvenuta nel Novecento è stata frutto del pensiero umano, di qualcosa, cioè, di “razionale”. Ebrei, omosessuali, prigionieri politici, sinti e persone con disabilità fisiche o mentali non videro stroncate le proprie vite per una tragica fatalità o per una catastrofe naturale, ma per una spietata distorsione del cervello umano. Essere consapevoli della brutalità di questo aspetto è il primo passo per un futuro migliore, un futuro nel quale la realtà si basi sull’incontro con l’altro, e non sulla sua segregazione. Ecco perché «Lo Sbuffo» continuerà a dare voce a questo fondamentale tema: il prossimo appuntamento è fissato per l’11 marzo nella sezione di arte.
FONTI
Takis Wurger, Stella, Feltrinelli, 2020.
Livio Senigalliesi, In treno per la memoria, Almayer, 2012.
CREDITS
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