Ultimamente, in seguito alla recente vicenda del ban di Trump da parte dei social media, si è molto parlato del diritto alla libertà d’espressione.
La famosissima frase «Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo» (spesso erroneamente attribuita a Voltaire) ci viene incontro nel riassumere in modo efficace cosa si intende con il termine “libertà d’espressione”.
Un diritto che ha confini molto labili
Il diritto alla libertà di espressione è costituzionalmente garantito. L’articolo 21 della Carta Fondamentale della Repubblica inizia recitando: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Questo diritto è stato fortemente condizionato dal rapido progredire delle nuove tecnologie. Grazie alla diffusione di internet e dei social network, la libertà di espressione si è ampliata in modo praticamente illimitato. Tuttavia, il suo esercizio deve conciliarsi con il restante corpus di libertà fondamentali.
Le regole giuridiche non incarnano valori assoluti, immutabili ed incontrovertibili. L’incertezza è costitutiva della libertà d’espressione. Il giorno che la linea tra ciò che si può dire e ciò che non si può dire sarà netta – o perché dettata dalla legge o perché determinata da un algoritmo – vorrà dire che avremo perso la libertà d’espressione.
Questa separazione netta tra ciò che si può dire e ciò che non si può dire descrive quello che avviene nei Paesi autoritari. Nei Paesi democratici, invece, è molto complesso capire con chiarezza quando una parola (in questo caso parliamo di contenuti) può essere rimossa o sanzionata.
È vero quindi che quello della libertà di espressione è un diritto molto complesso, che ha confini molto labili. Ma una cosa è certa: è un diritto che non tollera intromissioni di parte delle pubbliche autorità. Non a caso l’articolo 11 della carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea recita: “Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”.
Tutto ciò che non è definito illegale per legge, non può esser regolato dallo Stato senza che esso incorra in una violazione della libertà di espressione.
Il ban di Trump dai social e la libertà d’espressione
Ma allora viene da chiedersi: perché i profili di Donald Trump sono stati rimossi dai social? E ancora: il ban di Trump dai social infrange il diritto alla libertà d’espressione?
Per rispondere a questa domanda è necessario sapere che, benché sia un diritto fondamentale, a volte, l’espressione “libertà di parola” si svuota di significato e diventa un mero alibi. Una protezione per chi si aggira sul web con cattive intenzioni. Spesso, infatti, quando viene limitata la diffusione di affermazioni o contenuti ritenuti falsi, scorretti o incitanti all’odio, è facile che qualcuno gridi alla censura o all’abuso.
Quindi, è legale che i Social abbiano bannato definitivamente l’ormai ex Presidente?
La risposta è sì. È vero che il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti afferma che la libertà di espressione è prevista come ostacolo specifico a qualsiasi intervento legislativo. Ma è anche vero che questa legge, che proibisce la censura del governo, non si applica alle decisioni prese da imprese private.
La rimozione dell’account da parte di una società privata potrebbe essere contrattualmente illecita, ma non potrà mai essere definita censura. Sarebbe censura se venisse impartita dalle pubbliche autorità.
I rapporti tra fornitore (Social Network) e utente sono stipulati da un contratto. Il fornitore stabilisce regole e condizioni di accesso ai suoi servizi, e quindi può sospenderli in caso di una loro violazione.
Dal punto di vista legale, quindi, i Social hanno tutto il diritto di sospendere l’account di Trump, poiché l’ex Presidente non ha rispettato i Terms of Service e ha presumibilmente usato i propri profili per incitare alla violenza e diffondere fake news.
Anche i Social hanno il diritto alla libertà d’espressione
I termini di servizio (ToS) che regolano le norme di comportamento sui Social, non solo tutelano l’utente, ma tutelano anche l’esercizio della libertà di espressione delle piattaforme stesse e la loro corretta gestione. La scelta di rimuovere contenuti che vanno contro questi termini, li tutela anche dal pericolo di incorrere in accuse di corresponsabilità.
Inoltre, non si può imporre ai Social di ospitare e diffondere un discorso, poiché, proprio per via del diritto alla libertà d’espressione, le piattaforme possono scegliere cosa diffondere e cosa no. È un loro diritto scegliere se ospitare Donald Trump oppure no.
Quando la censura acuisce il Digital Divide e la cristallizzazione delle idee
Non bisogna pensare che per porre fine ai problemi di uso e di abuso della libertà di parola basterà eliminare le fonti di pensiero divergente. La sfida della libertà di parola è proprio quella di tutelare non solo le opinioni comunemente accettate ma anche quelle divergenti.
Non sarà bannando ed eliminando che i vari complottismi raggiungeranno la loro fine. Adottare la censura sui social porterebbe solo a un peggioramento del già esistente digital divide. Così facendo, i social diventerebbero di parte, e le persone si sposterebbero su piattaforme che meglio rappresentano le lodo idee.
Questo è esattamente quello che è successo con il social media Parler. All’interno di questo Social si sono riversati i cittadini americani che si sono sentiti esclusi dal dibattito politico.
Un’azione del genere non facilita il confronto di idee e il dialogo, ma oltretutto cristallizza le posizioni e fomenta la tifoseria politica.
Un dibattito che apre molte domande e porta ulteriori incertezze
Questo dibattito apre un tipo di discussione molto nuovo e attuale. I fatti recentemente accaduti rendono evidente come le Big Tech stiano guadagnando sempre più potere. Queste grandi potenze influenzano la sfera pubblica e determinano l’assetto politico ed economico di tutto il mondo.
La decisione di bannare Trump è stata dettata dalla volontà di non creare disordini sociali, ma non c’è ombra di dubbio che la questione vada approfondita.
La rimozione dei profili social dell’ex presidente crea sicuramente un precedente che dà molto a cui pensare. Soprattutto, fa pensare che si stia rendendo sempre più necessaria la creazione di un ordine pubblico virtuale che sottragga il monopolio del controllo da parte delle grandi potenze digitali.