“Il tempo e l’acqua” di Andri Snær Magnason

Iniziamo con un calcolo: poniamo di essere nati nel 2008 e che la nostra nonna più anziana abbia 94 anni, noi arriveremmo alla sua età nel 2102. Poniamo di avere, nel 2102, un nipote di dieci anni, che vivrà fino ad avere circa 90 anni, questo significa che il nostro ipotetico nipote vivrà circa fino al 2180. Il 2180 è un anno che ci sembra lontanissimo nel tempo eppure noi possiamo “toccarlo”: è un anno in cui vivrà qualcuno che abbiamo conosciuto e che amiamo.

Il vostro arco di tempo è il tempo di qualcuno che conoscete e a cui volete bene e che vi lascia un segno, e il tempo di qualcuno che conoscerete e a cui vorrete bene su cui voi lascerete un segno. Qualsiasi cosa facciate ha una sua importanza. Voi create il futuro ogni giorno che passa.

I numeri per questo calcolo non sono casuali: la nonna di Andri Magnason ha 94 anni e il 2008 è l’anno in cui è nata sua figlia. Questo calcolo stesso è un esperimento che Magnason ha fatto fare a sua figlia perché a volte non riusciamo a immaginare un tempo al di fuori del nostro presente, eppure se ci pensiamo il futuro è più prossimo di quanto ci aspetteremmo. Il 2090 ci sembra un anno lontano, remoto, quasi fantascientifico eppure, con l’aspettativa di vita che si allunga di anno in anno, molti dei giovani di oggi ne vedranno l’alba. Allora perché quando gli scienziati ci dicono che entro il 2090 il nostro mondo si sarà completamente trasformato a causa della crisi climatica non prestiamo ascolto? Perché pensiamo che non ci riguardi?

Andri Magnason lo spiega nel suo libro Il tempo e l’acqua e propone una nuova prospettiva, un nuovo modo per guardare al tempo e a ciò che sta accadendo. La crisi climatica è un evento di tale portata che il nostro cervello quasi non riesce a registrarlo, per questo non agiamo, tutto ciò che sappiamo diventa un sottofondo, si trasforma in rumore bianco. Questo accade anche perché non sappiamo immaginare come si presenterà il mondo a catastrofe avvenuta e non capiamo nemmeno cosa vogliano dire concretamente espressioni come “acidificazione degli oceani” o “riscaldamento globale“.

A questo si aggiunge la difficoltà di capire i dati scientifici: prendiamo per esempio la scala logaritmica, con cui viene misurato il ph dell’acqua. Noi siamo abituati a scale lineari, quelle per esempio con cui si misurano i grammi, gli anni e i gradi di temperatura, in questo tipo di scala a segmenti uguali vengono attribuiti incrementi numerici uguali, dunque allo spostamento di un’unità grafica corrisponde un incremento costante. Nella scala logaritmica invece ogni unità rappresenta un aumento alla decima potenza. Se il latte venisse misurato su una scala logaritmica un litro di latte corrisponderebbe a una unità, dieci litri a due unità e cento litri a tre unità.

La scala logaritmica è utilissima a scienziati ed esperti, ma poco pratica per spiegare i fenomeni alla gente comune. Infatti, se pensiamo ad un passaggio del ph del mare da 8,1 a 7,8 non ci sembra che sia avvenuto un grande cambiamento. Una variazione di 0,3 su una scala lineare è irrisoria, se preparando una torta aggiungessimo 100,3 grammi di farina invece che 100 grammi non ce ne preoccuperemmo, se avessimo 37°C o 37,3°C di febbre non cambierebbe poi molto. Questo ragionamento però non funziona su una scala logaritmica.

Una variazione di 0,3 del ph significa molto per gli oceani perché la saturazione del carbonato di calcio si riduce. Questa sostanza è fondamentale per gli organismi che abitano il mare perché lo usano sotto forma di aragonite per costruirsi gusci e conchiglie; un mare sottosaturo tenderà ad assorbire calcio sciogliendo conchiglie e barriere coralline. Questo significa che gli organismi che contano su una conchiglia per sopravvivere potrebbero ridursi moltissimo e addirittura scomparire con la tragica conseguenza di un crollo dell’intero ciclo alimentare del mare. Se questo accadesse cambierebbe l’intero ecosistema marino.

E le difficoltà non finiscono qui. Magnason spiega come spesso gli scienziati non vogliano dare l’idea della portata dei problemi per non essere tacciati di allarmismo e perché temono che saremo così spaventati da smettere di agire completamente. Non vengono risparmiati nemmeno i politici denunciati in più di un’occasione per il loro piegarsi troppo spesso a interessi economici e per la loro incapacità di avere piani a lungo termine preferendo invece pensare a un arco di tempo che coincide solo con il loro mandato.

A tutto questo contribuisce anche la nostra mentalità legata al capitalismo, un modo di pensare secondo cui il potere di discutere il valore della natura è appannaggio dell’economia. Spesso si parla della perdita di alcuni ecosistemi in termini puramente economici, con il linguaggio dell’utilitarismo: un paesaggio è prezioso se la sua perdita significa una diminuzione del profitto, altrimenti non ha nessun valore. Un ecosistema che non ha visibilità, che non ospita attività dalla popolazione quantificabili può anche andare perduto, la natura e la sua bellezza devono essere usate, non possono avere scopi indefiniti o essere fini a se stesse.

Se le previsioni degli scienziati si rivelano esatte sul futuro degli oceani, dell’atmosfera e del clima, dei ghiacciai e degli ecosistemi delle coste di tutto mondo, dobbiamo chiederci quali parole potranno contenere questioni di tale portata. Quale ideologia può includerle? Che cosa dovrò leggere?

Date queste difficoltà come si fa a parlare di crisi climatica in modo convincente? La soluzione trovata da Andri Magnason è immergersi (e immergere il lettore) nel mito, nel nostro patrimonio culturale e, non da ultimo, nella storia personale. Il mito di Prometeo, per esempio, viene visto solo come l’inizio della nostra “cultura del fuoco” che ci ha portato a questo pianeta surriscaldato, intendendo “fuoco” in riferimento al bruciare combustibili fossili. Non ce ne rendiamo conto perché i fuochi restano nascosti, nei cofani delle nostre auto per esempio, ma quasi ogni nostra azione ha impatto sul clima.

Per Magnason la necessità di raccontare il cambiamento climatico nasce quando partecipando a una conferenza a Monaco parla con Wolfgang Lucht, il responsabile dell’Istituto per la ricerca sull’impatto climatico di Postdam in Germania. Lucht chiede a Magnason perché avendo tanto parlato nei suoi libri della natura e della sua bellezza, non abbia trattato anche della crisi climatica, Magnason risponde che ha sempre pensato che queste questioni fossero appannaggio solo della scienza e degli esperti. “Se tu che sei uno scrittore non senti il bisogno di scrivere di certe questioni allora non hai capito la scienza e nemmeno la gravità del problema, chi capisce cosa c’è in gioco non ha altre priorità” ribatte Lucht, “La gente i numeri non li capisce, ma le storie sì, tu che sai raccontare storie devi raccontare questa“. Questo libro quindi si distacca dal modo in cui spesso si parla della crisi climatica perché ci mostra la bellezza e l’importanza del patrimonio culturale e paesaggistico che, inevitabilmente, perderemo e stiamo perdendo. Per farlo attinge a piene mani dalle nostre storie, mitologie e religioni.

La crisi climatica non è irrisolvibile, ma davanti a tutte le difficoltà che dovremmo affrontare l’indifferenza è seducente, pensare che siamo piccolissimi nell’universo, che non possiamo avere nessun impatto ci tranquillizza: in fondo perché preoccuparsi, prima o poi il mondo finirà comunque, e poi i cambiamenti climatici sono sempre avvenuti. Magnason si oppone: è vero, il mondo prima o poi finirà ugualmente, ma con esso scompariranno anche tutte le nostre storie, anzi la possibilità stessa di raccontare. Per qualche ragione l’ipotesi che tutto questo, tutto il patrimonio di storie che abbiamo creato e accumulato, scompaia ha su di noi un impatto maggiore dell’idea, per noi astratta, di “abbassamento dei livelli delle falde freatiche”.

La speranza non manca: Magnason infatti ricorda che spesso nella storia dell’umanità si sono raggiunti obiettivi straordinari in pochissimo tempo, nel XX secolo l’uomo ha tagliato traguardi che si credevano impossibili come scindere l’atomo o andare nello spazio. Se tutti a livello globale ci impegnassimo per cercare delle soluzioni alla crisi climatica probabilmente una soluzione potrebbe essere trovata. Il tempo e l’acqua però non è una semplice chiamata all’azione, pone anche una serie di domande più complesse. Se riuscissimo a trovare forme alternative di energia e modi per eliminare la CO2 dall’atmosfera, troveremmo un modo per trarre un profitto anche da questo? Se uno stato riuscisse a inventare una formula o un macchinario per invertire il riscaldamento globale, lo brevetterebbe? Saremmo pronti a condividere le nostre scoperte con gli altri?

La riuscita non è certa: ogni cosa finisce e questo vale per il genere umano come per tutto il resto. Se ce la faremo però, il mondo forse non sarà perfetto, ma di sicuro sarà più bello di quanto le parole possano mai descriverlo.

Il libro è un vortice di storie diverse: nonno Arni e nonna Hulda che mappano i ghiacciai, zio John che studia i coccodrilli, e poi una spedizione nei mari caraibici, interviste con il Dalai Lama, riflessioni sulla poesia e sulla storia dell’Islanda. Tutto questo permette ai lettori di pensare a cosa ci sia veramente in gioco nella crisi climatica.
Andri Magnason nel 2019 ha scritto una targa commemorativa per la morte del ghiacciaio Okjökull, la targa legge: “Lettera per il futuro: Ok è il primo ghiacciaio islandese a perdere il suo status di ghiacciaio. Nei prossimi 200 anni si prevede che tutti i ghiacciai avranno lo stesso destino. Questa targa riconosce che sappiamo cosa sta succedendo e cosa dovremmo fare. Solo voi potete sapere se lo abbiamo fatto“.


FONTI

Andri Snær Magnason, Il tempo e l’acqua, Iperborea, 2020

Iperborea.com

Emergencemagazine.org

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