Etiopia, Tigray e la guerra scoppiata nel silenzio

Cosa sta succedendo in Etiopia? Perché c’è una guerra di cui nessuno parla?

Il 4 novembre scorso il Primo Ministro etiope, Abiy Ahmed Ali, vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 2019, ha dato vita ad un’offensiva militare nella regione del Tigray contro la polizia locale e il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (FPLT).

Il Tigrè, o Tigray, è la più a nord tra le regioni dell’Etiopia. Ha una lunga storia, per lo più legata a conflitti e guerre e quello che sta succedendo ora mette a rischio l’instabile pace che da 30 anni regna nella zona.

Antefatti storici

Il Tigray è una regione piccola, che ospita solo un’esigua porzione della popolazione etiope, ma ha sempre occupato una posizione rilevante all’interno delle dinamiche del paese. Quando nella metà degli anni Settanta venne instaurata una terribile dittatura da Mengitsu Haile Mariam, dal Tigray partì la resistenza che, dopo aver vinto nel 1991, introdusse il modello federale in Etiopia.

Insieme ad altre forze popolari il FPLT liberò il paese e rimase al potere per oltre 15 anni. Dopo la morte di Meles Zenawi, leader del FPLT, sono iniziati i problemi per la popolazione tigrina, che, piano piano, ha assunto una posizione sempre più marginale. La situazione generale si è aggravata quando il Primo Ministro Abiy Ahmed, nel novembre del 2019, ha unificato i partiti che costituivano la coalizione al governo in un nuovo, unico Partito della Prosperità .

L’escalation di eventi fino allo scoppio della guerra

Il FPLT non ha riconosciuto valida questa unione , definendola illegale. Nel settembre del 2020 è stato deciso, insieme ad altri partiti di opposizione, di formare un consiglio elettorale indipendente dal governo federale, dando vita alle elezioni regionali, alle quali hanno partecipato oltre 2 milioni e mezzo di persone. Il governo centrale, guidato dal Primo Ministro Ahmed, ha dichiarato di non riconoscere in maniera ufficiale i risultati delle elezioni e, inoltre, ha imposto il divieto ai giornalisti stranieri di recarsi nella regione.

L’inizio del conflitto

Il 4 novembre, a seguito di un presunto attacco contro una caserma dell’esercito, il Primo Ministro ha inviato le proprie truppe nel territorio. Durante i primi scontri, nel Tigray viene dichiarato lo stato d’emergenza e sia le linee telefoniche che quelle internet vengono tagliate.

Quella che, secondo Abiy Ahmed, doveva essere una missione di polizia si è trasformata, nelle settimane successive, in una vera e propria guerra. Il governo di Addis Abeba ha schierato nel territorio decine di migliaia di uomini, mezzi blindati e aerei. Nei giorni successivi all’inizio del conflitto, il FPLT, che è stato dichiarato pubblicamente un’associazione ribelle da Abiy Ahmed, ha lanciato vari missili contro gli aeroporti controllati dal governo federale.

Una situazione come questa lascia presagire un conflitto che potrebbe durare a lungo, con le forze del Tigray che hanno deciso di attuare delle strategie di guerriglia in una zona che conoscono molto bene e il Governo che sembra non avere l’intenzione di operare le operazioni.

 

Il coinvolgimento dell’Eritrea

Ad aggravare una situazione già complicata di per sé, è il massiccio spiegamento di forze da parte dell’Eritrea nella regione del Tigray. Dalle prime settimane del conflitto giravano voci, sempre smentite sia da Addis Abeba che da Asmara, del coinvolgimento nella guerra delle truppe eritree. Il FPLT già nel mese di novembre aveva lanciato dei missili su un aeroporto della capitale eritrea, con l’accusa di sostenere l’esercito federale etiope. Dopo tre mesi dall’inizio dell’ostilità si ha la conferma, della presenza stabile dell’esercito eritreo nella regione.

Nonostante il governo centrale abbia dichiarato concluse le operazioni il 27 novembre, a seguito della presa del capoluogo Macallé, i capi della regione ribelle non hanno intenzione di arrendersi.

Dopo due mesi di silenzio, il leader del FPLT è tornato ad esprimersi pubblicamente. Attraverso delle emittenti locali ha dichiarato “guerra a oltranza contro gli invasori”.

Sia i nostri nemici che i nostri amici devono sapere che, finché non otterremo la vittoria, non ce ne andremo da nessuna parte.

Ha, inoltre, garantito che i membri del Fronte continueranno a combattere e ha accusato il Primo Ministro Abiy Ahmed e le truppe dell’Eritrea di saccheggi e genocidi.

La crisi umanitaria

A più di tre mesi dall’inizio della guerra, crescono sempre di più le documentazioni, attraverso i media ei social network, sulle uccisioni e le violenze subite dalla popolazione civile nella regione. Con il passare dei giorni aumentano anche le testimonianze di genocidi e saccheggi commessi dalle truppe eritree e dall’esercito etiope.

Il governo federale afferma che Abiy Ahmed non garantisce ancora il libero accesso alle ONG e agli aiuti agli umanitari. Le Nazioni Unite hanno dichiarato che lungo il confine tra il Sudan e l’Etiopia si sta verificando una “crisi umanitaria su vasta scala”. Sono in migliaia i profughi ad arrivare nei campi di accoglienza, disorientati e con lo sguardo perso. Molti hanno dovuto abbandonare la loro casa, altri hanno visto morire i propri famigliari.

Si stima che circa 3 milioni di persone abbiano perso la propria abitazione, siano senza cibo e non abbiano accesso a nessun tipo di servizio sanitario. Il numero delle vittime causate dal conflitto sconosciuto ma il quadro generale è allarmante. Le associazioni per gli aiuti umanitari hanno raggiunto solo i grandi centri abitati, mentre, cresce il numero degli sfollati nelle zone rurali, ancora scenario di guerriglia, dalle quali la gente cerca di fuggire.

Le tensioni con il Sudan e la comunità internazionale

In seguito all’offensiva del 4 novembre circa 56 mila profughi etiopi sono fuggiti dal Tigrai attraversando il confine con il Sudan. I due paesi, però, non sono in buoni rapporti. Da mesi si dibatte sulla grande diga che Abiy Ahmed sta facendo costruire sul Nilo. Nel caso venisse terminata, renderebbe impossibili i raccolti nella maggior parte della zona fertili, rese tali proprio dallo scorrere del grande fiume. Inoltre, dopo che il governo sudanese aveva denunciato lo sconfinamento di alcuni aerei da guerra etiopi sul proprio territorio, il Sudan ha reso noto che, a seguito di alcuni scontri con le truppe sudanesi, sono morti almeno 50 soldati etiopi.

Nel frattempo, sul conflitto nel Tigrai , aumenta la pressione della comunità internazionale per consentire il libero accesso agli aiuti umanitari per tutta la popolazione a rischio. Dopo gli interventi dei Capi di Stato europei anche la nuova amministrazione Biden  ha espresso il suo pensiero su quello che sta succedendo. Il neopresidente si è dichiarato preoccupato, denunciando il comportamento dell’Eritrea, accusata di atrocità, stragi e di aver attaccato ospedali e luoghi di culto.

Il governo etiope ha da poco concluso un’indagine sul FPLT, accusando i suoi vertici di alto tradimento. Gli sfollati ei morti aumentano, la situazione, aggravata dalla crisi pandemica, non sembra poter migliorare. Il conflitto fratricida attualmente in corso sembra, per ora, non volgere al termine.


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FONTI

avvenire.it

huffingtonpost.it

internazionale.it

CREDITI

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