Da sempre il mese di febbraio, paradossalmente il più breve di tutti, porta con sé una grande condensazione di feste. Queste accompagnano eventi e celebrazioni che lo rendono uno dei periodi più colorati dell’anno. Ma la festività più attesa, soprattutto dai più piccoli, è sicuramente quella del Carnevale, che cade generalmente nei cinque giorni compresi tra il giovedì grasso e il martedì grasso, quest’anno tra l’11 e il 16 febbraio.
Va da sé che, per ovvie ragioni legate alla situazione pandemica, il carnevale 2021, come già quello del 2020, non potrà essere festeggiato come si deve. Scordiamoci quindi i grandi carri allegorici che attraversano le strade dei paesi e delle città, le parate in maschera e i travestimenti variopinti. Questo però non impedisce di vivere il carnevale in altri modi e con altri mezzi, prima tra tutti l’arte. Da sempre questa si è interessata alla rappresentazione di scenari, personaggi e topoi legati alla plurisecolare tradizione carnevalesca. E non manca mai di stupirci.
Carnevale: dalla tradizione ellenistico-romana…
Com’è ben noto, il Carnevale è una festività che ha profonde radici storiche e culturali, che appartengono alla tradizione occidentale cristiana. Spesso, però, ci si dimentica che in realtà la cristianità occidentale non inventò il Carnevale dal nulla. Piuttosto lo elaborò a partire da precedenti tradizioni ellenistico-romane, da cui il cristianesimo ereditò e trasmise moltissimi aspetti del pensiero, della cultura, dell’arte e perfino della ritualità.
Già nella civiltà greco-romana, infatti, esistevano pratiche cultuali che gli antropologi e gli storici delle religioni considerano come precorritrici della ritualità carnevalesca. In particolare, secondo gli studiosi, le origini del Carnevale vanno ricercate nei riti greci legati al culto dionisiaco e in quelli romani legati al dio Saturno. Questi due culti ponevano al centro la sfera dell’irrazionale e avevano come scopo quello di ritualizzare il rinnovamento dell’ordine sociale costituito, mediante il ribaltamento del medesimo. In questo modo la popolazione aveva modo di dare sfogo ai moti sociali interni.
… a quella cristiana
Fu proprio a partire da questa enorme eredità pagana che la società cristiana dettò la nuova magia del Carnevale. Si trattava, sin dalle origini, un breve periodo compreso tra il giovedì e il martedì grasso, durante il quale le norme di condotta sarebbero state annullate. Sarebbe quindi stato dunque possibile assumere comportamenti dissacranti, sovversivi e dissoluti che normalmente, a causa delle regole del comportamento civile, non sarebbe stato possibile assumere.
Dal punto di vista etimologico invece, i linguisti riconducono il termine “Carnevale” al latino medievale carnem – levare, ossia “eliminare la carne”. Probabilmente il riferimento è al digiuno della Quaresima, in corrispondenza della quale cade tale festività.
Il Carnevale e il suo immaginario artistico
Il Carnevale, comunque si diversifica molto a seconda della aree geografiche in cui è praticato. Per questo, nonostante le sintetiche, ma doverose premesse sulle sue origini, vale ora la pena soffermarsi sui modi in cui è stato trattato dalla tradizione artistica europea. L’arte, infatti, si è sempre fortemente interessata alla raffigurazione di motivi, scene e figure inerenti il folklore carnevalesco.
Da questo punto di vista, tale interesse è aumentato soprattutto a seguito degli sviluppi della commedia dell’arte veneziana e della popolarità da questa conquistata nell’immaginario collettivo. Tutt’oggi, il Carnevale di Venezia è tra i più rinomati e gli artigiani hanno per secoli realizzato costumi e maschere della tradizione carnevalesca della Laguna. La loro perizia tecnico-artistica meriterebbero una menzione a sé nella storia dell’arte. Non è un caso che le celebri maschere del cult di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut, furono realizzate proprio a Venezia.
L’origine di Arlecchino e Brighella
Sebbene l’immaginario estetico della festività si formò a partire dal XVIII secolo, buona parte dei suoi personaggi trovano origine diversi secoli prima, in particolare nel Basso Medioevo. Un esempio è dato dalle figure di Arlecchino e Brighella, originarie del folklore bergamasco, ma entrate a far parte dell’immaginario collettivo grazie alla commedia dell’arte. Ed è sempre nel periodo basso-medievale che si riscontrano i primissimi tentativi di rappresentazione di scenari carnevaleschi o, quantomeno, quelli che si sono conservati fino a noi.
Tra questi affiora una miniatura del XIV secolo, contenuta nel cosiddetto Roman de Fauvel. Trattasi di un poema di stampo satirico-allegorico databile al 1314 e attribuito a Gervais de Bus, funzionario della corte di Francia. L’opera, corredata da annotazioni musicali, e dunque scritta per essere musicata, sviluppa una sprezzante narrazione allegorica. La suddetta affronta in maniera critica il tema del rapporto tra Stato (francese) e Chiesa, attraverso la metafora dell’asino che diventa “padrone del suo padrone”, ribaltando dunque i consueti rapporti servo-padrone.
Il Carnevale attraverso una miniatura medievale
Torniamo dunque alla sopracitata miniatura, particolarmente interessante poiché, a detta degli studiosi, costituirebbe la più antica testimonianza letteraria del cosiddetto rito del charivari. Si tratta di una sorta di manifestazione che i cittadini potevano rivolgere contro una figura di alto rango della città, accusata di un qualche reato. Gli abitanti quindi sfilavano in forma di protesta nei pressi della sua abitazione con l’obiettivo di deriderla, sbeffeggiarla e irriderla finché non avesse accettato le accuse e fatto ammenda.
La particolarità di queste proteste consisteva nel fatto che le persone che vi partecipavano molto spesso si travestivano e mascheravano, recando con sé anche utensili per provocare chiasso. Dal punto di vista stilistico invece, interessante è la perizia descrittiva, propria delle miniature di questo periodo. Emerge quindi la cura con cui sono tratteggiate le peculiarità delle maschere, delle vesti e degli strumenti musicali. Non solo, ma anche le due nicchie, terminanti in piccole ghimberghe gotiche, sono ben rifinite e incorniciano la scena come quinte architettoniche.
Lotta tra Carnevale e Quaresima, Pieter Bruegel il Vecchio
Più di due secoli dopo compare uno dei primi grandi capolavori della rappresentazione pittorica del Carnevale: Lotta tra Carnevale e Quaresima (1559) di Pieter Bruegel il Vecchio. Nel dipinto, l’artista, mediante la sua inconfondibile trattazione del dato quotidiano, unisce realismo e allegoria. Rappresenta quindi, all’interno di uno spazio razionalmente concepito, una vivida scena di cittadinanza indaffarata, nelle strade di un paesino di cui si riconoscono case, osterie, panetterie e una chiesa con rosone in facciata (a destra).
In primo piano, però, si può anche osservare la rappresentazione allegorica di un combattimento tra il Carnevale e la Quaresima. Il primo è personificato (a sinistra) nelle vesti di un uomo panciuto che cavalca una botte di vino ed è seguito da un corteo di figure travestite che recano cibi e bevande in abbondanza. La seconda, invece, è rappresentata da una figura magra e deperita. Questa avanza su un carretto rosso, trainato da due figure, recando con sé una penuria di pietanze che allude al periodo del digiuno quaresimale.
Il Carnevale nel ‘700: la melanconia di Pierrot
Sulla scorta della commedia dell’arte, il repertorio artistico carnevalesco si ampliò a dismisura, soprattutto a partire dal XVIII secolo. Da quel momento rivestì un ruolo non indifferente nell’immaginario pittorico. Ed è a partire dall’età moderna che personaggi tradizionalmente buffi e giocosi iniziano ad assumere spesso una caratterizzazione più melanconica.
Tale realtà emerge pienamente nel dipinto del 1719 di Antoine Watteau, esposto attualmente al Louvre. Qui il pittore, mediante composizione e stesura pittorica accademiche, raffigura il celebre personaggio di Pierrot. La figura si staglia quindi in primo piano con espressione nostalgica e alle sue spalle spuntano altri personaggi teatrali, raffigurati, probabilmente, mentre deridono il protagonista dell’opera.
Il Carisma del Pulcinella Innamorato
Di tutt’altro piglio è invece la scena del Pulcinella innamorato, che rincorre a agguanta la sua amata. In questo caso l’opera risale alla seconda metà del ‘700 per mano di Gian Domenico Tiepolo, figlio del grande Giambattista. Originariamente era stata pensata come parte del ciclo di affreschi di Villa Tiepolo a Zianigo (VE), poi staccati a massello per essere rivenduti e infine, nel secolo scorso, ricomposti e collocati a Ca’ Rezzonico dove si trovano tutt’ora.
La scena raffigurata è briosa, spensierata e il pittore, ereditando l’impeccabile stesura pittorica dal padre, è particolarmente abile nel rendere la gestualità delle figure, da cui emergono carattere e intenzioni, pur celando i volti mascherati. La passionalità giocosa e quasi erotica del Pulcinella, che stringe a sé la sua Colombina, è resa infatti dal braccio sinistro. Sembra infatti avvinghiarsi al seno della donna, la quale a sua volta circonda, in modo disinvolto, il collo e le spalle del suo amante.
Differenze tra Monet e Cézanne
Nell’800, invece, un’attenzione particolare meritano le opere di Monet e Cézanne i quali, con mezzi stilistici diversi, mostrano due differenti trattazioni pittoriche del carnevale. Nel Carnevale al Boulevard des Capucines (1873) Claude Monet ci offre una visuale cittadina, colta dal terrazzo dello studio fotografico dell’amico Nadar. Quest’ultimo si affaccia naturalmente sul Boulevard des Capucines gremito di una folla di persone, che si agita in strada avanzando in corteo.
La trattazione stilistica adottata da Monet è qui rigorosamente impressionista. Il pittore, quindi coglie il dato sensoriale del suo punto di vista visivo – sulla strada, dall’alto – e lo riproduce con immediatezza sulla tela. Sembra quasi una fotografia di tutto ciò che si trova davanti ai suoi occhi. Quello che può vedere dal terrazzo di Nadar su cui si trovava.
Decisamente differente, se non quasi opposta, è invece la versione del 1888 di Paul Cézanne. Nell’opera, dal titolo Martedì Grasso, il pittore post-impressionista colloca le due figure di Pierrot e di Arlecchino entro uno spazio di pareti e tendaggi, che potrebbe essere un ambiente interno. Degna di nota però è qui la geometrizzazione intrinseca delle due figure, che Cézanne rappresenta intenzionalmente in antitesi formale tra loro. Da un lato spiccano la sinuosità e la rotondità del personaggio di Pierrot (a sinistra), che emergono dalla sua posa curva e dalle pieghe del vestito.
Dall’altro si distingue l’ortogonalità -non potremmo usare termine più esatto- della figura di Arlecchino, emersa dalla posa rigidamente retta del corpo e dai motivi a losanga del vestito. Per descrivere la composizione del dipinto si potrebbero adottare le stesse parole che il grande teorico dell’arte Rudolf Arnheim ha utilizzato nel suo testo Arte e percezione visiva (1974). L’opera in analisi è però la celebre Madame Cézanne (1888):
La composizione si basa su un gioco contrappuntistico, vale a dire su più elementi formali che si bilanciano: forze antagonistiche che però non sono né contraddittorie né in conflitto, non creano ambiguità.
Il tocco finale di Juan Gris
Abbiamo dunque indagato Monet, considerato da Giuseppe di Giacomo, professore a La Sapienza, come l’iniziatore vero e proprio della pittura moderna. Poi è arrivato Cézanne, il grande punto di svolta radicale della pittura occidentale, rappresentante dalle avanguardie storiche. Ed è proprio una di queste che abbiamo scelto per chiudere idealmente il percorso tra le rappresentazioni pittoriche del Carnevale: il Cubismo.
Generalmente associato al suo massimo interprete, Pablo Picasso, il cubismo fu sperimentato a Parigi anche dal pittore spagnolo Juan Gris, il quale ci offre un’interpretazione in tema del soggetto di Arlecchino. Questo rivive nell’opera del 1919 ed è ritratto in un momento goliardico e del tutto carnevalesco: mentre suona la chitarra. Come chiudere in bellezza, insomma.
Un commento su “Il Carnevale e il suo immaginario estetico dal Medioevo al ‘900”