Essere un figlio d’arte non è mai stato semplice. Fin dall’inizio, si è costretti a correre per inseguire i traguardi, spesso precoci, dei propri genitori. Inevitabilmente si subiscono dei pesanti paragoni che divengono macigni per le spalle di un giovane che si affaccia timidamente al mondo.
Talvolta, ciò corrisponde, specialmente nell’ambito artistico, a una condanna. Altre volte, invece, può essere uno stimolo a intraprendere una strada diversa, alla ricerca di un’identità e una voce proprie. Pietro Castellitto, figlio di Sergio Castellitto, uno dei più grandi attori italiani della sua generazione, non può sottrarsi a questo gioco delle parti. Eppure, grazie alla sua personalità fuori dal comune, riesce a rompere le regole del mondo dello spettacolo e a imporsi come un interessante astro nascente del panorama cinematografico italiano di questi anni.
Un Castellitto al di sopra di ogni sospetto
Pietro nasce a Roma nel 1991, dalla coppia d’arte formata da Sergio Castellitto e Margaret Mazzantini, scrittrice e attrice italiana.
Il cinema è quindi il pilastro su cui si fonda la sua famiglia e fin da subito si presenta al Pietro bambino come un panorama con cui può relazionarsi. Difatti la sua prima comparsa sui grandi schermi è molto precoce. Nel 2004, a soli tredici anni, interpreta una piccola parte in Non ti muovere, film diretto dal padre Sergio. Quest’ultimo lo dirigerà in altri due lungometraggi, La bellezza del somaro del 2010 e Venuto al mondo del 2012. Ricoprendo di volta in volta ruoli con più respiro, Pietro ha la possibilità di maturare e mostrare le proprie qualità in campo attoriale.
Sempre nel 2012 è scelto da Lucio Pellegrini come protagonista per la propria commedia È nata una star?. Questo film, più leggero e scanzonato, sarà l’ultimo prima di una sosta di sei anni che lo separerà dal ruolo con cui salirà alla ribalta. Durante questa pausa Pietro arricchisce la sua formazione laureandosi in filosofia, con una tesi sulla Genealogia della morale di Nietzsche.
La filosofia sarà parte integrante dell’estro artistico di Pietro che a diciannove anni compie un viaggio alla scoperta dei luoghi di Nietzsche. Le sue idee registiche, che lo porteranno a firmare l’interessantissimo I predatori, nascono in questo contesto e saranno coadiuvate, nella loro trasposizione, dagli anni passati come assistente tra i vari set cinematografici. Nessuna scuola di cinema ma la voglia di imparare mediante la pratica. Un trial and error volto a fare esperienza diretta di un mondo che gli appartiene.
– Non ti interessava fare esperienza in quei gruppi di sceneggiatura?
– No, non servono a nulla. Poi va a finire che esordisci a 40 anni e prendi tre stelle su Mymovies, ma intanto un’intera generazione è morta.
L’eroe della Profezia
Il 2018 è l’anno della consacrazione per Pietro Castellitto, grazie al ruolo del Secco in La profezia dell’armadillo di Emanuele Scaringi. Il film si ispira all’opera omonima che a sua volta portò sotto le luci dei riflettori il fumettista italiano Zerocalcare e vede come protagonista Simone Liberati nei panni di Zero, di cui il Secco è “la spalla”.
Il film di Scaringi non è stato particolarmente apprezzato per una serie di fattori che ne minavano la fluidità e la qualità. Tuttavia, la critica ha premiato la prova attoriale, incredibilmente personale, del giovane Castellitto. Questo riconoscimento sarà per Pietro il punto di partenza della propria crescita artistica.
Lo stile di interpretazione del personaggio rispecchia molto il carattere fuori dalle righe di Pietro. Il Secco, in tutta la sua ostentata romanità, vive di espressioni popolari, ma al contempo ragiona filosoficamente oltre i confini del proprio status sociale. La tematica della rivalsa, la moderna lotta di classe agognata ma solo teorizzata in discorsi da pub dinnanzi a una birra 0,5 bionda, rappresentano il disegno perfetto, a tratti fortemente caricaturale, del giovane del nuovo millennio. A questo si aggiungono poi comportamenti grotteschi e incomprensibili, dalle tinte volutamente no-sense, che saranno un marchio di fabbrica di altri personaggi di Castellitto, come Federico ne I predatori.
I predatori, un esordio imprevedibile
Arriviamo dunque al primo film vissuto dietro la macchina da presa. I predatori, uscito a Novembre 2020 e vincitore del Premio Orizzonti per la miglior sceneggiatura alla Mostra del Cinema di Venezia, è un film coraggioso e sprezzante. L’autenticità è sicuramente la chiave di lettura più giusta e appropriata per questa pellicola che riflette al meglio l’ideale cinematografico del Pietro Castellitto artista. Le reazioni alle situazioni presentate dalla finzione scenica vanno ricercate con semplicità e spontaneità. Questo è il modo in cui Pietro recita e questo è il modo in cui Pietro gira.
Per la sua opera prima ha scelto come protagonisti attori dotati di un carisma inconfondibile. Pensiamo a Massimo Popolizio, attore teatrale di prim’ordine, e Giorgio Montanini, uno tra i più spregiudicati stand-up comedian in circolazione. Il giovane Castellitto si è così circondato di personaggi imprevedibili e istrionici, vicini al suo stile di recitazione borderline.
L’elemento del grottesco è ciò che traccia le linee dei dialoghi e delle situazioni in perenne sospensione tra credibilità e inverosimiglianza. Questo ricercato fascino del grotesque è una firma di Castellitto che viene volutamente esaltata da uno stile di ripresa insolito. La macchina da presa, infatti, sembra più volte indugiare su scene già concluse, lasciando un attimo di respiro nelle inquadrature. Al contempo vi è un valzer di preziosismi tecnici (come il piano sequenza iniziale), apparentemente pleonastici ma fondamentali per la creazione dell’atmosfera di straniamento. Questo stile di ripresa prende le distanze da quello più conformista che possiamo normalmente apprezzare in sala e costituisce un ulteriore attestato di personalità.
Novant’anni vengono compiuti dalla sinistra radical chic e trent’anni vengono compiuti dai fascisti.
Pietro Castellitto, in un’intervista a Wired, ha confessato che quest’opera era già stata concepita all’età di ventidue anni, nel pieno degli studi di filosofia. Ciò risulta evidente nel personaggio di Federico, interpretato dallo stesso Castellitto. Quest’ultimo è modellato sulle orme del regista stesso, con la sua incredibile passione per Nietzsche e il riconoscimento dell’importanza delle grandi personalità. Accanto alla indiscutibile impronta filosofica troviamo poi la forte connotazione satirica nei confronti della borghesia. I predatori è un film dichiaratamente anti-borghese, che gioca in maniera brillante con stereotipi e ostentato intellettualismo. Il turpiloquio, quando usato, diviene un fine stratagemma linguistico per smontare una categoria ricca di superbia e malcelata volgarità di ideali. Castellitto, inoltre, dimostra di non temere argomenti tabù come il fascismo. Sa rileggere questi temi, svuotandoli della vetusta matrice politica e sfruttandoli abilmente come pretesto narrativo “scorretto”.
Futuro prossimo giallorosso
Le prossime fatiche di Pietro Castellitto saranno di tutto rispetto. Lo vedremo prima al centro dell’intreccio di Freaks Out di Gabriele Mainetti e poi nei panni di un’icona dello sport italiano che ha portato la bandiera di Roma per venticinque anni. Castellitto sarà Francesco Totti nella nuova serie, targata Sky, Speravo de morì prima. Un ruolo delicato, specialmente se sei di Roma. Specialmente se, come Pietro, sei cresciuto con i poster del Capitano giallorosso. Un simbolo, una leggenda. Di una cosa però possiamo essere certi: Castellitto non avrà alcun timore reverenziale nei confronti della parte. La affronterà con la sua spregiudicatezza e il suo essere fuori dalle righe, un po’ come, in fin dei conti, è stato lo stesso Francesco Totti. Rimaniamo in trepidante attesa di vedere l’ennesima prova di affermazione di un Pietro Castellitto ormai incontenibile e inarrestabile.