Negozi tinti di cuoricini rossi e vetrine travolte da cascate di cioccolatini: febbraio è il mese dell’amore, almeno secondo le convenzioni sociali. Atteso dai romanticoni seriali e detestato da chi la considera soltanto una ricorrenza sfruttata dalle aziende per meri fini commerciali, il 14 febbraio resta comunque la data che tutto il mondo riconosce come San Valentino, “il giorno più romantico dell’anno”. Anche se il 2021 non è un anno come gli altri, e lo spazio concesso al romanticismo è andato via via restringendosi, osteggiato da decine di Decreti Ministeriali e notizie drammatiche. Una vicenda simile, seppur naturalmente distante dalla situazione attuale, è quella di Torquato Tasso, per anni segregato in un manicomio e separato dalla sua amata. L’operetta che ci accompagnerà in questo febbraio non troppo romantico è proprio Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare.
Che cos’è un’Operetta morale?
Le Operette morali sono ventiquattro brevi dialoghi e novelle moraleggianti che ospitano creature immaginarie come gnomi e folletti, personaggi illustri come Tasso o Copernico, oppure allegorie naturali come la Morte, la Luna e il Sole. La sorprendente modernità di questo capolavoro firmato Giacomo Leopardi risiede nella scelta dei temi e nel tono satirico con i quali sono trattati: il rapporto dell’uomo con il mondo, le sue relazioni con gli altri individui, la degradazione dell’epoca moderna e l’infelicità.
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare è l’undicesima operetta della raccolta, nella quale il poeta rivive, attraverso un onirico dialogo con sé stesso, il ricordo dell’amata Leonora: dolci memorie che tengono Tasso avvinghiato alla vita, permettendogli di non cadere nel baratro della disperazione.
Se non fosse che io non ho più speranza di rivederla, crederei di non avere ancora perduta la facoltà di essere felice.
Torquato Tasso è poeta alla corte estense di Ferrara dal 1565. Inizialmente i suoi rapporti con l’ambiente cortese e con il duca Alfonso II sono sereni: Tasso non è trattato come un semplice cancelliere, ma come un vero e proprio artista, libero di dare sfogo al proprio estro creativo. Questa stabilità, tuttavia, entra in crisi nel momento in cui il poeta presenta al Duca e alle sorelle Eleonora e Lucrezia la sua celebre Gerusalemme liberata. Nonostante a corte il suo successo sia immediato, Tasso non ne è pienamente soddisfatto, e comincia una febbrile correzione dell’opera che non gli darà mai pace. Da questo momento l’equilibrio psichico di Tasso inizia a vacillare, portandolo addirittura ad autodenunciarsi al Tribunale dell’Inquisizione.
Il Duca Alfonso, preoccupato da questi comportamenti malsani e deciso nel proteggere la reputazione della sua corte, dapprima invita Tasso a ritirarsi nel Convento di San Francesco, poi lo reclude forzatamente nel Manicomio di Sant’Anna, che si rivelerà per lui un’angosciante prigionia a tutti gli effetti. Proprio a Sant’Anna Leopardi immagina che Tasso, in preda a uno stato di alterazione esistenziale e psichica, cominci a dialogare con il proprio Genio familiare, una sorta di proiezione della sua coscienza.
Durante la solitaria prigionia, Torquato ripensa spesso all’amata Eleonora D’Este, sorella di Alfonso II: la tradizione biografica cara ai romantici vuole che questo amore segreto segni l’origine delle disgrazie di Tasso (sebbene sia risaputo che i reali motivi della sua segregazione sono legati all’imbarazzo che i suoi comportamenti arrecavano all’immagine della corte). Il pensiero di Leonora è tutto ciò che tiene in vita il poeta, che altrimenti sarebbe sopraffatto dalla disperazione.
Ogni volta che ella mi torna alla mente, mi nasce un brivido di gioia che dalla cima del capo mi si stende fino all’ultima punta de’ piedi: e non resta in me nervo né vena che non sia scossa. Talora, pensando a lei, […] mi pare di essere ancora quello stesso Torquato che fui prima di aver fatto esperienza delle sciagure e degli uomini, e che ora io piango tante volte per morto.
Tasso, dunque, non è più lo stesso uomo di un tempo: ora che ha fatto “esperienza delle sciagure e degli uomini” è una persona diversa, più disillusa, triste e rabbiosa. Ha perso lo slancio vitale e la sensibilità del passato, ai quali può sperare di riavvicinarsi soltanto ripercorrendo i momenti di una vita lontana, nei quali Eleonora irradiava le sue giornate di luce. Una situazione analoga sotto alcuni punti di vista può riscontrarsi anche a distanza di oltre cinquecento anni: oggi, tutti coloro che hanno vissuto nel biennio 2020/2021 sono entrati in contatto con la tragicità della pandemia, e sono inevitabilmente mutati nel profondo.
Il romanticismo nel 2021
È ancora possibile parlare di romanticismo in un mondo che da un anno a questa parte altro non è che l’ambientazione di un angosciante romanzo distopico? Assuefatte al dolore e alla paura, le persone hanno inevitabilmente perso parte della loro sensibilità. Il bombardamento mediatico di notizie drammatiche a cui l’uomo contemporaneo è sottoposto ogni giorno, a lungo andare sta alimentando in lui una spaventosa apatia: centinaia di vittime al giorno – di persone morte – non ci stupiscono più; le nostre vite proseguono, assuefatte, come se nulla fosse. La gentilezza spesso cede il posto alla cattiveria rabbiosa, l’ottimismo all’assenza di aspettative, lo sfinimento alla negazione. Dov’è finita la nostra sensibilità? Dov’è la nostra empatia? Noi tutti siamo profondamente cambiati.
Tornare a essere le persone di un tempo, le versioni spensierate e leggere “pre-pandemia”, è impossibile: l’esperienza del Coronavirus segnerà in modo irreparabile la vita di chiunque abbia attraversato consapevolmente questo periodo storico. Tuttavia, come sosteneva Tasso e come Leopardi credeva fermamente, soltanto la passione amorosa è capace di elevare l’uomo, valorizzandone le caratteristiche più nobili e smussandone i difetti. L’amore è l’unico elisir in grado di preservarlo dal tedio e dalla cattiveria da cui inevitabilmente verrebbe infettato. Esso è uno dei pochi strumenti di salvezza a cui la vita offra un reale appiglio. E l’uomo vi si deve aggrappare forte, senza mai lasciare la presa.
Io mi maraviglio come il pensiero di una donna abbia tanta forza da rinnovarmi, per così dire, l’anima, e farmi dimenticare tante calamità.
FONTI
Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di Laura Melosi, Bur, 2008.
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