La storia delle donne del mito ne “Il canto di Calliope” di Natalie Haynes

Il canto di Calliope, pubblicato a maggio 2019 in Inghilterra e da poco portato in Italia da Sonzogno (traduzione di Monica Capuani), è un retelling delle storie dei personaggi legati alla guerra di Troia, ma che segue, invece degli eroi del mito, le donne che da sempre si sono mosse ai margini della storia. L’autrice, Natalie Haynes, è una scrittrice e giornalista britannica che, tra le altre cose, ha diretto per la BBC un programma radiofonico, Natalie Haynes Stands up for the Classics, in cui racconta la cultura antica greca e romana in modo diretto e accessibile. Haynes inoltre aveva già tratto ispirazione dal mito per i suoi libri precedenti, ma si era sempre rivolta alla tragedia, mai all’epica.

‘Cantami, o Musa’ dice, e dall’urgenza bella voce si capisce che non è una richiesta.

Nel libro la narratrice è la musa della poesia epica in persona, Calliope. Invocata dal poeta si chiede “Di quanta poesia epica c’è davvero bisogno al mondo? […] Crede davvero di avere qualcosa di nuovo da dire?“, decide allora di cantare non quello che il poeta si aspetta, ma la storia che vuole lei, la storia delle donne ignorate e dimenticate troppo a lungo. Calliope, in verità, non viene mai nominata né nell’Iliade dove viene invocata come “dea”, né nell’Odissea dove invece viene chiamata semplicemente “musa”.

Per questo motivo, applicando una sorta di contrappasso, Natalie Haynes decide di non nominare Omero. L’aedo che invoca Calliope viene descritto come cieco per questo presumiamo che sia lui, ma il suo nome non appare mai sulla pagina. Haynes, confrontandosi con il suo editor sulla difficoltà che alcuni lettori avrebbero potuto avere a riconoscere la figura dell’aedo come quella di Omero, è arrivata alla conclusione che non fosse così importante citarlo in quanto questo libro non parla di lui.

Calliope dunque guida il poeta nella costruzione di una storia corale: non parla di una sola donna, ma di tutte coloro che vengono toccate dal conflitto, o almeno di quelle di cui ci sono rimaste fonti da cui Haynes potesse attingere. La scelta della coralità si oppone a quella dell’individualità del racconto dell’eroe, alla storia di una singola forza brutale o di un solo ingegno acutissimo.

Questo risulta in una struttura a episodi, alcuni più lunghi, altri più corti, articolati su due linee temporali, una che torna indietro nel passato e una che procede nel futuro a partire dal crollo di Troia, raccontato attraverso gli occhi di Creusa. Creusa è la moglie di Enea, secondo il mito si perde mentre cerca di fuggire da Troia con il marito ed Enea non se ne accorge finché non ha già portato in salvo il padre e il figlio. Quando torna a cercare la moglie gli appare la sua ombra che lo sprona ad andarsene per compiere il viaggio voluto dagli dei. Ne Il canto di Calliope di Creusa sappiamo molto di più; anche se ovviamente la fine del mito non può cambiare, Haynes ci offre uno spaccato della vita interiore di una figura che nella tradizione è a malapena abbozzata. Infatti, a differenza di altre operazioni simili che cercano di raccontare la brutalità della storia delle donne attraverso l’estrema concretezza di ciò che devono sopportare, Il canto di Calliope decide di mostrare tutto ciò esplorando l’interiorità dei personaggi.

Penelope, John Spencer-Stanhope

Le donne presenti nel libro sono greche e troiane, mortali e dee, più e meno note. Vengono raccontate la storia di Laodamia, moglie di Protesilao, il primo a morire nella guerra di Troia, e quella di Enone, la ninfa sposata con Paride prima che questi abbandonasse lei e loro figlio per ottenere il premio che Afrodite gli aveva promesso in cambio della mela d’oro, l’amore della donna più bella del mondo. L’unica grande assente è Elena, che compare in più punti, ma a cui non è dedicato nessun capitolo: del resto la sua storia non è mai stata dimenticata. Haynes inoltre seleziona accuratamente le versioni del mito da usare come fonte, per Clitmnestra per esempio si affida alla versione di Eschilo in cui è Clitemnestra stessa, non il suo amante Egisto, ad uccidere Agamennone, restituendo in questo modo alla regina la sua agency. Per Penelope invece la fonte è, almeno in parte, pseudo-Apollodoro in cui Penelope, da sempre immagine della moglie fedele, è attratta da uno dei suoi pretendenti, Anfinomo.

Penelope è un personaggio a cui il libro dà molto spazio, infatti è l’unica a cui sia affidata la narrazione degli eventi presenti nell’Odissea. A Penelope sono dedicati sette capitoli in cui leggiamo le sue lettere al marito lontano, inizialmente amorevoli e poi sempre più piene di rancore e distaccata ironia. La regina di Itaca si chiede come mai il marito sia l’unico eroe della guerra che sta impiegando così tanto tempo per tornare a casa: forse la sua relazione con la fama è più stabile di quella con sua moglie che intanto lo aspetta, cresce da sola il loro unico figlio e deve farsi scudo solamente con una tela dall’arroganza dei suoi pretendenti. Dopo il massacro dei Proci, finalmente Penelope ritrova il marito, è contenta certo, ma ha anche qualche dubbio: dopo vent’anni chi è tornato a casa? L’uomo che aveva sposato odiava la guerra eppure il nuovo Odisseo non ha esitato a fare strage dei suoi pretendenti, è tornato “un guerriero distrutto così assuefatto agli spargimenti di sangue da pensare che ogni problema vada risolto con la spada“.

La guerra non è uno sport da decidersi in una rapida sfida su una striscia di terra contesa. È una ragnatela che si estende verso le parti più lontane del mondo trascinando tutti dentro di sé.

La voce di Calliope diventa il mezzo di Natalie Haynes per portare alla luce alcuni dei temi del romanzo, creando dei veri e propri momenti di spiegazione che tengono insieme le diverse storie delle donne. Uno di questi temi è la guerra e il modo in cui questa ha effetti che non riguardino solo chi la combatte, ma anche il resto della popolazione che è costretta a fare i conti con le sue conseguenze. Una guerra trasforma nel profondo tutti coloro che la vivono, “non ignora la metà della gente di cui tocca le vite. Quindi perché dovremmo ignorarla noi?“.

Elena, Antonio Canova

A questo si riconduce anche il problema del genere: c’è spazio nel filone epico per le donne? Il timore del poeta davanti alle storie che gli ispira Calliope è che alla fine il suo racconto sia più tragedia che epica, del resto le gesta del singolo eroe sono di solito il centro del genere epico, mentre un coro di donne si trova di solito nel filone tragico. Eppure Haynes attraverso Calliope ci pone una domanda: “Enone è forse meno eroica di Menelao? Lui perde la moglie e muove un esercito perché gliela restituiscano, al prezzo di innumerevoli vite e lasciando dietro di sé vedove, orfani e schiave. Enone perde il marito e cresce il loro figlio. Quale di questi è il gesto più eroico?“. E poi cos’è l’epica se non innumerevoli tragedie tessute insieme?

Secondo Haynes c’è eroismo anche nella pura e semplice sopravvivenza, nella continua lotta che questa impone. I dolori degli uomini cessano con la morte in battaglia, quelli delle donne invece no, le aspettano schiavitù, attesa o solitudine, tipica di chi ha perso tutto. Prendiamo per esempio la storia di Andromaca: suo marito, Ettore, viene ucciso in battaglia e il suo cadavere viene sfigurato; dopo la caduta di Troia il figlio neonato, Astianatte, viene ucciso e lei è costretta a diventare schiava del suo assassino, Neottolemo, a cui dà anche un figlio. Costretta a vivere in una terra straniera, dopo aver perso tutti i suoi cari, Andromaca non ha altra scelta se non adattarsi per sopravvivere.

L’approccio alla materia è sicuramente contemporaneo: del resto, quando si vuole ritrattare una storia come questa, un’altra chiave di lettura sarebbe impossibile. La dissonanza tra la materia prima e ciò che si vuole fare, però, fa’ sì che ci siano momenti in cui l’autrice vuole essere certa che i lettori stiano capendo il messaggio, peraltro perfettamente integrato nelle storie delle donne. In queste situazioni quindi fa parlare Calliope che esplicita per il lettore quello che sta succedendo.

Nonostante questo problema sia condiviso da altri romanzi che rientrano nel “genere” del retelling, questi libri sono sempre di più e hanno anche molto successo, per esempio Il canto di Calliope è stato candidato nel 2020 per il Women’s Prize for Fiction. I motivi di questo successo sono molteplici, ma uno è sicuramente il rinnovato interesse per la storia delle donne e l’attualità dei temi.

Se il movimento Me Too ci ha mostrato qualcosa è che, così come per condannare i nostri eroi del passato abbiamo avuto bisogno di molto tempo e di molte autrici che dessero voce a personaggi femminili rimasti nell’ombra, così oggi abbiamo bisogno di tempo e di un coro di voci perché emergano le testimonianze di chi è stato abusato e perché i colpevoli vengano affidati alla giustizia. Spesso serve che più donne si facciano avanti per condannare un uomo famoso, per esempio: anche se le donne hanno una voce, questa vale meno di quella di un uomo. Le cose, però, stanno cambiando e forse questo interesse nel ritrattare le storie del passato è una spia di questo cambiamento.


FONTI

Natalie Haynes, Il canto di Calliope, Sonzogno, 2020

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