sostenibilità

Moda e sostenibilità. Liberté, Égalité, Fraternité e… Durabilité

L’industria della moda, per soddisfare la sovrapproduzione di capi d’abbigliamento, ha un forte impatto sulle nostre risorse naturali. La fashion industry deve ripensarsi in un’ottica di sostenibilità ambientale e di giustizia sociale.

Il 2020 è stato l’anno della sostenibilità. Tutti i grandi marchi hanno ripensato le loro produzioni per avviarle verso un percorso che tuteli la salute del nostro pianeta. Nell’anno passato è aumentato l’impegno per lo sviluppo nel rispetto dell’ambiente, per consegnare alle future generazioni un mondo migliore di quello che abbiamo ricevuto.

Se vogliamo un futuro diverso e non peggiore, dobbiamo portare alti gli stendardi della responsabilità e della sostenibilità in campo ambientale, economico e sociale.  Bisogna approdare ad un nuovo modello che vada nella direzione della salvaguardia dell’ambiente e che persegua uno sviluppo economico equilibrato, che si impegni ad investire nella produzione di energia da fonti rinnovabili e nell’efficienza energetica. Il profitto non esiste se la conseguenza è il declino del nostro ambiente e il peggioramento della nostra salute.

“Liberté, Égalité, Fraternité” è il motto nazionale della Repubblica Francese. Oggi, moda e sostenibilità camminano sullo stesso binario. Tanto che al slogan francese si potrebbe aggiungere la parola Durabilité (che significa “sostenibilità”).

Fashion e sostenibilità

Una delle ultime tendenze alla difesa del pianeta è vestire sostenibile. Anche il settore della moda si è unito al trend e si sta trasformando per cercare di rendere la propria produzione più etica ed eco-compatibile. L’inversione di rotta ha avuto inizio soprattutto dopo la denuncia di episodi di sfruttamento all’interno dei processi produttivi e dopo la strage del 2013 a Rana Plaza: più di mille operai (principalmente donne) hanno perso la vita nel crollo di una fabbrica in Bangladesh. Queste persone erano costrette a cucire vestiti per 12 ore al giorno con uno stipendio mensile inferiore a 30 euro. I capi d’abbigliamento prodotti in questa fabbrica servivano a rifornire alcune delle più famose catene di fast fashion del mondo, tra cui Mango, Primark e Benetton.

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La fashion industry si sta impegnando per garantire il benessere dei propri lavoratori e non sfruttare i dipendenti, riconoscendo loro una retribuzione equa e buone condizioni sul posto di lavoro. D’altronde tutti ci sentiremmo più tranquilli se sapessimo di indossare capi d’abbigliamento che non prevedono lo sfruttamento dei lavoratori e l’inquinamento senza controllo. Lo slow fashion sta prendendo piede e per alcuni ha molto più appeal del cosiddetto fast fashion, che spesso si traduce nel cedere ad acquisti compulsivi di capi a basso prezzo e di scarsa qualità che seguono mode che tramontano poco dopo. Chi aderisce allo slow fashion si propone di dedicare più attenzione alla qualità e ai dettagli, senza cedere all’impulso consumistico dell’acquisto non ponderato.

Il prezzo troppo basso è una spia d’allarme

Il costo così basso e allettante dei capi che vediamo appesi nei negozi dovrebbe farci riflettere. Se pensiamo che dietro il prezzo di un capo si nascondono i costi di produzione, di trasporto e di vendita, possiamo capire che c’è qualcosa che non va. Quando il prezzo è troppo basso è probabile che i materiali siano scadenti e altamente inquinanti, che le industrie di moda in questione non rispettino i diritti della persona e impongano invece salari bassi e lavoro minorile.

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Sostenibilità nel quotidiano

Ma come possiamo rendere sostenibili le nostre azioni quotidiane? Bisogna essere consapevoli.

Quando si acquistano vestiti si dovrebbe: leggere sempre le etichette, informarsi sui brand di proprio interesse, investire in capi d’abbigliamento di alta qualità e che sappiamo che dureranno negli anni. Sarebbe meglio evitare di comprare vestiti in fibre sintetiche (che con i lavaggi vengono disperse nell’ambiente) e preferire invece materiali naturali e biodegradabili.

Chi se la sente può acquistare capi già esistenti e non di nuova produzione, quindi approcciarsi al vintage e al second hand (che spesso permette di acquistare capi di alta moda a prezzi irrisori).

Un armadio organizzato e sempre aggiornato

Per un armadio “smart e contro gli sprechi bisognerebbe dedicare due o tre giorni durante l’anno (che possono anche essere le giornate in cui normalmente facciamo il cambio di stagione) alla pratica del decluttering, anche detta “pulizia armadi”. Durante il decluttering sarà possibile infatti avere una visione chiara di ciò che possediamo, cosa ci sta ancora bene e cosa no, ciò che può essere messo da parte, ciò che è rovinato ma può essere riparato, e fare delle liste sui capi che nei mesi successivi andremo a comprare.

I capi che non vogliamo più mettere possono essere regalati ad amici, venduti su Depop o altre piattaforme, portati in negozi vintage (per lasciare i capi in conto vendita), regalati agli enti benefici o portati negli appositi punti di raccolta.  Tutto questo in un’ottica di economia circolare e sostenibile. I capi che non usiamo non vanno buttati via: finirebbero nelle discariche dove verrebbero bruciati producendo gas nocivi – o sotterrati – con un impatto negativo sull’ambiente.

Anche questo procedimento può essere utile a sedare la voglia di shopping compulsivo che ci spinge a comprare abiti fuori taglia o capi che non si accordano con il nostro stile (ad esempio quelle scarpe col tacco a spillo che non hai mai messo perché sono troppo scomode per prenderci la metropolitana), anche perché spesso succede di avere nell’armadio capi d’abbigliamento che non ci ricordiamo più di avere, ma che possono essere valorizzati.

Non comprare compulsivamente

Una soluzione per non cadere nello shopping irrazionale e compulsivo (e di conseguenza rimanere con il portafogli vuoto e l’armadio pieno) può essere quella di comprare in inverno capi estivi e in estate capi invernali. Sapere che stiamo acquistando qualcosa che ci servirà tra qualche mese può far comprare megsostebilitàlio e con più razionalità (piuttosto che acquistare compulsivamente un capo per la smania di indossarlo subito e lasciarlo invecchiare nell’armadio). Così facendo sarà più facile anche pagare meno gli abiti che in stagione costano molto.

Una buona pratica è quella di evitare di comprare vestiti che vanno di moda e che buttiamo dopo tre volte. Sarebbe bene chiedersi “quella gonna mi serve davvero? Non ne ho altre cinque uguali? Si abbina con altre cose che ho nell’armadio?”. Bisognerebbe avere un numero limitato di indumenti e puntare a capi che si possano abbinare facilmente tra di loro e adatti ad ogni occasione (evitando di avere “il vestito buono” a fare la polvere nel guardaroba).

Siti e app per acquisti sostenibili

La tecnologia ci viene incontro: sono nate numerose applicazioni che assegnano punteggi di valore ai brand di moda sostenibile, come ad esempio Good On You, app che ci permette di controllare le recensioni sul brand di moda che stiamo acquistando e anche di scoprire nuove realtà consapevoli. L’applicazione Depop, ci permette di comprare vestiti vintage o second hand, dai più economici ai più cari, tra cui capi mai indossati e ancora con etichetta (e non dimentichiamoci del caro e vecchio e-Bay). Se l’interesse verte verso capi sfarzosi, il sito Vestiaire Collective è un e-commerce dedicato proprio all’acquisto e alla vendita di articoli di lusso di seconda mano.

Dopo il Covid un nuovo modello per l’abbigliamento

L’emergenza sanitaria ha fatto rinsavire molte persone, resesi conto del declino a cui va incontro il nostro pianeta. L’umanità, di fronte a questa crisi mondiale, si è trovata costretta a rivalutare le psostenibilitàroprie priorità e a frenare i ritmi allucinanti che aveva raggiunto. Il mondo ha potuto rallentare, respirare, e in molti ambiti si è dovuto pensare ad un cambiamento di rotta verso la sostenibilità.

Nel settore della moda questo cambiamento è stato innescato anche dal lock-down: stando chiusi in casa ci si è preoccupati meno dell’abbigliamento.

Inoltre, l’emergenza sanitaria – ed economica – ha sancito il revival del “made in” che protegge e incentiva l’artigianato locale (che per molti è anche garanzia di qualità).

Dopo la crisi il fashion deve fare un cambiamento radicale

Una grande inchiesta sui nuovi modelli economici nella moda, curata dal  Comitato strategico della filiera moda e dal Comitato per lo sviluppo e la promozione dell’abbigliamento e pubblicata in Francia con la partecipazione della Fédération de la couture e di grandi nomi del fashion (tra cui Chanel, Hermès, Balenciaga e altri big), fa emergere come la moda del futuro sarà molto diversa: sarà flessibile, slow e orientata sul cliente.

Gli analisti sostengo che, in seguito alla crisi, il comparto del fashion dovrà orientarsi verso un cambiamento radicale; dovrà impegnarsi a modificare la sua immagine di industria poco preoccupata all’impatto ambientale e sociale. Secondo l’inchiesta il 78% dei consumatori si informa sulla provenienza e sulla composizione di un capo prima di comprarlo e molte persone sono pronte a pagare di più i prodotti per valorizzare il sostegno etico ed ecologico.

Insomma, meno saldi (che il più delle volte si traducono in un momento di acquisti compulsivi e di scarsa qualità e che implica lo spreco di materiali e di energia, traffico, imballaggi eccessivi) e più tutela della nostra Terra. Meglio resistere agli acquisti di fast fashion e optare per pochi acquisti, ma di ottima qualità.


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